
Per secoli si è ritenuto che lavoro e fatica si annullassero a vicenda. Oggi, la robotica in crescita esponenziale tende a separare gli esseri umani dal loro lavoro, non solo in quello manuale, e la combinazione di IA e robotica viene applicata alla gestione di cose che potrebbero essere definite “intelligenti”, come i processi di mediazione impersonali in piccole cause civili. Gli operai sono talvolta visti come reliquie del passato. Attualmente i robot non sono presenti in gran numero nelle nostre vite, ma molti sostengono che lo saranno tra 15-20 anni. Questo processo ci riguarda anche a livello morale e antropologico e non sappiamo cosa significherà in futuro la virtù del duro lavoro, a lungo cantata come codice morale, nelle scritture e nella saggezza comune. Il ruolo del lavoro deve essere riconsiderato. Il lavoro come mezzo di sostentamento Il lavoro come elemento centrale della maturità umana e dello sviluppo qualitativo. Il lavoro come partecipazione alla vita sociale. Con il rapido declino dell’occupazione e le nuove forme di produzione che allontanano molte persone che non riescono ad adattarsi alle nuove tecnologie, la questione di come garantire il lavoro a tutti diventa chiara e drammatica. I robot saranno una minaccia o un’opportunità. I robot prenderanno posti di lavoro, creando una competizione tra uomini e robot, e i robot non aiuteranno più solo gli uomini. Cosa succederà ai milioni di lavoratori che invecchieranno e perderanno il lavoro e ai giovani che non riusciranno a trovare opportunità. L’intrusione della tecnologia nelle vite umane diventerà più profonda e insidiosa. Il lavoro umano è relazionale e implica rapporti con il materiale da lavorare, con gli altri lavoratori e con la società. In una società robotizzata, il lavoro tenderà a perdere il carattere di relazione del soggetto con la comunità dei lavoratori, e anche la relazione con la natura sarà mediata più di adesso da “servo-robot” che mediano tra il soggetto e la natura. I concetti di professionalità e di competenze specialistiche cambieranno e perderanno gran parte del loro significato. L’impatto della robotizzazione in un mondo globalizzato in cui le disuguaglianze sociali e il benessere sono già incommensurabili sarà enorme, tranne, ad esempio, in Occidente, dove la “disoccupazione tecnologica” derivante dalla quarta rivoluzione industriale (cosiddetta 4.0, mentre la 5.0 è in fase di sviluppo) sarà particolarmente pronunciata. Questo aumenterà inevitabilmente il numero di persone che saranno messe in uno stato di sudditanza nei confronti di coloro che manipolano le leve dell’economia, della finanza e del lavoro. Oltre alla forte riduzione della domanda di lavoro, aumenterà il divario tra lavoratori altamente e scarsamente qualificati. Se un tempo le fabbriche impiegavano un gran numero di operai e impiegati, oggi sono dominate dai lavoratori poco qualificati.
La dottrina sociale della Chiesa ci ricorda che «Il lavoro è una delle caratteristiche che distinguono l’uomo dal resto delle creature, la cui attività, connessa col mantenimento della vita, non si può chiamare lavoro; solo l’uomo ne è capace e solo l’uomo lo compie, riempiendo al tempo stesso con il lavoro la sua esistenza sulla terra. Così il lavoro porta su di sé un particolare segno dell’uomo e dell’umanità, il segno di una persona operante in una comunità di persone» (Enciclica Laborem Exercens, 1981).
L’oggetto del lavoro è e deve rimanere umano. Il lavoro ha dignità e qui sta il valore individualistico del lavoro, se rimane un atto umano che non può essere limitato ai soli aspetti economici. Anche il diritto al lavoro sta cambiando. Il diritto al lavoro non può essere limitato a un reddito sociale garantito o a una vita economicamente dipendente da un assegno. Il diritto al lavoro è prima di tutto e soprattutto. L’economia digitale e robotizzata cambia questo aspetto e aumenta lo squilibrio in cui prevale il primo: il moderno conflitto tra capitalisti e lavoratori che il XIX e il XX secolo hanno cercato di risolvere è ravvivato da un nuovo problema sociale: la crescente sopravvalutazione del lavoro, una dimensione fondamentale dell’esistenza e della dignità umana. La nuova, e finora ultima, rivoluzione industriale non si concentra più sulla fabbrica, che era la realtà e il simbolo della rivoluzione industriale. Un tempo le fabbriche impiegavano un numero enorme di operai e impiegati, ma oggi stanno perdendo terreno a favore di aziende che realizzano profitti molto più alti di quelli precedenti con un numero molto inferiore di lavoratori. I robot non sono pagati, sono sempre obbedienti, non scioperano e non si ammalano. La robotizzazione porterà al dominio del mercato capitalistico. Questo perché relativamente poche persone agiranno come leader sociali e, invece, molte agiranno come amici di coloro che non sono lavoratori, coloro che sono frenati dagli interessi sociali e non hanno un lavoro. Senza dubbio ci sarà più lavoro intellettuale – inventare, progettare, pianificare – ma sarà svolto da pochi. Ma sarà fatto da alcuni. La questione è se, a prescindere da tutte le altre considerazioni, dovremmo perseguire disperatamente straordinari progressi tecnologici, ignorando i frequenti lati negativi e gli ovvi rischi. In molti settori è necessaria una moratoria globale (robotica, potenziamento umano, in particolare nelle biotecnologie e nella modificazione genetica dei microbi) .
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