Lavoro: quando il colloquio va male per colpa di Facebook

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Foto di Pixelkult da Pixabay

L’utilizzo di Internet ha partorito migliaia di nuove parole. Terminologia strettamente legata alla Rete e al suo mondo. Fra queste c’e’ “web reputation”, che non e’ altro che la reputazione che ci creiamo online attraverso le nostre azioni. Probabilmente in pochi, pubblicando un post su Facebook, si interrogano quali possano essere le conseguenze. Per questo e’ di notevole interesse lo studio pubblicato da Adecco – una delle agenzie di risorse umane più famose – circa l’influenza del mondo digitale nella ricerca di lavoro.

Un dato su tutti: lo studio ha stabilito che sempre più colloqui di lavoro vanno male per colpa di Facebook. Come è possibile? Semplice: andare a sbirciare nel privato della persona che si sta per assumere è diventata prassi consolidata fra i recruiter. E se hai un profilo Facebook non troppo privato, dove ti lasci andare con foto esuberanti e considerazioni un po’ estreme, le tue chance di trovare un lavoro si riducono notevolmente.

Il “Work trends study” di Adecco, per il quinto anno in Italia, ha coinvolto 2.742 candidati e 143 recruiter. E i risultati dicono che il digitale ha ormai conquistato il settore delle risorse umane, tanto che per Adecco entro il 2017, più di due candidati su tre (il 71%) verranno individuati attraverso una ricerca online. Da un lato i candidati, che cercano lavoro sul web nell’80% dei casi, dall’altra chi arruola, che utilizza il web ormai il 64% delle volte. Cifre che raccontano un mondo totalmente nuovo, in fatto di lavoro. I siti delle aziende e le aree “lavora con noi” hanno ancora un ruolo determinante, ma l’utilizzo dei social network è crescente. LinkedIn, ma a sorpresa anche Facebook, sono canali sempre più performanti. A trovare lavoro grazie ai social network è – secondo Adecco – l’8,4% dei candidati (+1,4% rispetto al 2014).

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Cosa fa un recruiter su Facebook
Se da un lato c’è il candidato, che dopo l’invio di un curriculum o dopo un colloquio, cerca immediatamente informazioni online sull’azienda e magari sulla persona che lo ha esaminato, dall’altra ci sono proprio i recruiter che fanno la medesima cosa. Questi ultimi adoperano i social network principalmente per cercare candidati passivi (78,3%), verificare i curricula vitae ricevuti (75,5%) e la rete del candidato (67,1%), controllare i contenuti pubblicati (57,3%) e la digital reputation (50,3%). Sempre per ciò che riguarda i responsabili delle Risorse Umane, più di uno su tre (il 35%) ha dichiarato di aver escluso potenziali candidati dalla selezione in seguito alla pubblicazione di contenuti o foto improprie sui profili social. Un grido d’allarme chiarissimo: occhio ai social network e alla loro pervasività. Blindare la privacy del proprio profilo Facebook è una prerogativa. Ne va di mezzo il lavoro.

Biagio Simonetta su Il Sole 24 ore

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