
Non sono un “ex”, sono ancora una persona che soffre di ludopatia, lo sarò sempre. Semplicemente non gioco più». Quando parla del suo rapporto col gioco Antonio è lucido e consapevole, sa di aver rischiato tutto e sa anche di portarsi dentro un demone che dovrà tenere a bada per tutta la vita. «Ho 36 anni, quattro figli e sono sposato da 14 anni. Sono un giocatore patologico: la mia è una malattia, non un vizio. Purtroppo l’ho scoperta tardi». L’azzardopatia però non è un destino già scritto. Combatterla è possibile.Antonio lavorava nello studio legale del padre, assieme alla moglie. Alle spalle una dipendenza da cocaina. «Un giorno mi sono ritrovato 5 euro in tasca e ho deciso di giocarmi un biglietto», una scommessa sulle partite di calcio. Per molti una questione di abilità, più che di azzardopatia. All’inizio era così anche per Antonio: «Per mia sfortuna ho vinto 800 euro e ci ho preso subito gusto. Mi sentivo un fenomeno. Uno che capiva di calcio più degli altri. Per me giocare alle macchinette era una cosa stupida – racconta –. Puntavo soprattutto sulle scommesse live. All’inizio scommettevo 510 euro, poi sono passato a 100 euro. Alla fine sono arrivato a spendere anche 600700 euro al giorno. In sette anni ho perso almeno 380mila euro». La giornata di Antonio iniziava molto presto, subito dopo aver accompagnato i figli a scuola: «Alle 8 e mezza ero già in ufficio per studiare le partite del giorno.Poi iniziavo a scommettere su un sito dove avevo registrato la carta di credito e potevo caricare tutti i soldi che volevo. Andavo avanti fino a tardi e la sera ero assalito dal rimorso. Pensavo a come rimediare ai danni fatti. La mia non era vita, ero un morto che camminava». Per avere soldi da scommettere Antonio ha iniziato a organizzare piccole truffe, a firmare assegni falsi e a contrarre debiti con amici e conoscenti.Il padre si è visto costretto a licenziarlo per salvaguardare il suo studio e le altre persone impiegate. La moglie lo ha messo di fronte a una scelta: il gioco o la famiglia.
Da lì è iniziata la risalita, grazie ai Giocatori anonimi e poi al centro “La promessa”, con il trattamento Tms. Antonio ha ripreso a lavorare dal padre dopo un contratto di prova e ora può dedicarsi alla famiglia: «Adesso è iniziata la vita vera, ma è molto più dura diprima perché ho accettato le mie responsabilità. Oggi giro con pochi euro in tasca per le sigarette e lo stipendio lo consegno direttamente a mia moglie. La Tms mi ha aiutato moltissimo, mi ha tolto il pensiero compulsivo, ma senza la volontà e un percorso di supporto è impossibile farcela. Non basta una macchinetta in testa per sconfiggere una dipendenza».
Matteo Marcelli Avvenire