Le persone senza dimora con problemi di salute fisica, psichica e di dipendenza

Le problematiche di salute fisica e psichica e le diverse forme di abuso di sostanze psicotrope,  fino alla grave dipendenza, si osservano in percentuale assai significativa nelle  persone che vivono la condizione di homeless. Lo evidenziano molti studi effettuati a  livello nazionale e internazionale, con percentuali simili. Citiamo, a titolo di esempio,  uno studio11 effettuato nel 2014 che ha coinvolto 2500 soggetti senza dimora rilevando  che: il 73% riferisce sintomi di natura fisica e il 41% li accusa da diverso tempo.  L’80% del campione intervistato riferisce qualche forma di disturbo mentale e il 45% ha  ricevuto la diagnosi di malattia mentale da parte dello specialista di un servizio. Il 39%  del campione assume sostanze stupefacenti o è stato ricoverato per le conseguenze di un  abuso. Il 2 7% è stato almeno una volta ricoverato per cause legate all’abuso alcolico. Il  35% degli intervistati è stato portato almeno una volta in Pronto Soccorso nei precedenti  6 mesi e, nello stesso periodo, il 26% è stato ricoverato in ospedale per un periodo  più o meno lungo.

L’esperienza della malattia fisica e mentale e dell’abuso di sostanze  nella popolazione homeless è quasi doppia rispetto alla popolazione generale.  Pur trattandosi di un elemento rilevante per i ricercatori, nella pratica degli interventi  non è mai prioritario accertare se sia accaduto prima l’esordio della patologia o la caduta  nella condizione homeless. Sono invece molto importanti – e spesso disattese – tutte le  azioni volte ad intervenire sui determinanti sociali (condizioni igieniche e ambientali,  contesto relazionale, casa, lavoro, accesso ai servizi, disponibilità di denaro, etc.) della  malattia fisica e mentale che causano nei soggetti vulnerabili nuovi esordi di malattia,  aggravamento delle patologie esistenti e comorbilità.

Si sa, e molti dati lo confermano,  che la vita sulla strada e in condizioni abitative precarie aumenta i tassi di malattia  respiratoria nonché il rischio di malattie infettive. Si conosce la ricca disponibilità di  droghe e alcolici scadenti che la vita di strada e la vita ai limiti della legalità offrono a  coloro che non hanno dimora. Tra gli italiani si rilevano maggiormente i casi di soggetti  con patologie psicotiche molto gravi che durano da anni e che spesso non sono mai  state trattate da specialisti. Per quanto riguarda gli immigrati (specie richiedenti asilo)  è conosciuta la situazione di soggetti gravemente traumatizzati da condizione di tortura subita, di guerra vissuta o di esperienza drammatica dell’uccisione dei propri familiari  davanti agli occhi in modo brutale – è il caso dei numerosi soggetti che sbarcano sulle  coste della nostra penisola – che possono sviluppare importanti reazioni psichiche (che  la psichiatria definisce Disturbo Post Traumatico da Stress o DPTS) che si aggravano  ulteriormente quando si presentano occasioni, anche lievi, di riedizione del trauma  subito. Così può capitare che un soggetto che ha resistito per anni ad una condizione di  tortura abbia poi un crollo psichico nel nostro paese se viene guardato con sospetto da  soggetti in divi sa o se viene strattonato, o se si sente isolato e soffre la lontananza dei  familiari. Traumi apparentemente banali fungono da detonatore e “risvegliano” la sofferenza  relativa a fatti ben più gravi. Pur essendo gli individui più forti quelli che affrontano  i viaggi difficili e che resistono in condizioni di violenza diffusa, una volta giunti  nel nostro paese diventano soggetti particolarmente vulnerabili e a rischio decisamente  aumentato rispetto al resto della popolazione di sviluppare malattia. La loro traiettoria  migratoria, che spesso considera il nostro paese solo come luogo di transito, rende più  complessa una gestione organica e continuativa della situazione sanitaria dal punto di  vista fisico (per le caratteristiche del viaggio) e per i traumi di carattere psicologico che  segnano sia le modalità di uscita dai luoghi di origine sia le possibili violenze (specie  alle donne) lungo il tragitto migratorio.

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