L’eutanasia si può fermare. Una proposta concreta

Foto di wal_172619 da Pixabay

Con un approccio globale delle terapie è possibile non solo alleviare il dolore e la sofferenza del malato ma anche tutelare la dignità della persona morente. L’inglese Cicely Saunders, storica iniziatrice del “movimento hospice”, aveva individuato proprio nelle cure palliative la risposta alle esigenze dei pazienti in gravi condizioni. Eppure, nonostante siano previste dalla legge 38 del 2010, i trattamenti terapeutici per il dolore non vengono applicati in modo capillare e spesso sono addirittura sottaciuti. Di qui l’idea partita da un gruppo di medici e infermieri di far conoscere le possibilità delle cure palliative con il «Manifesto di Cicely». «La sfida – spiega il promotore dell’iniziativa, Marco Maltoni, direttore dell’Unità operativa Cure palliative e coordinatore della Rete di Forlì-Ausl Romagna – è di portare il contenuto specifico (anche professionale) delle cure palliative nel mondo del lavoro, ripartendo però dall’origine: il bisogno del paziente e la risposta iniziale data da Cicely. Quella proposta, tuttora di valore, rende comparativamente meno affascinanti altre ipotesi di risposta ai bisogni dell’uomo ammalato, e incompatibili alcuni modelli come quelli che propongono l’eutanasia come “ultima tappa delle cure palliative”». Secondo il modello di cura di Cicely, di fronte all’angoscia «che pervade l’attesa della morte in chi è consapevole della propria inguaribilità» – scrivono i palliativisti – è necessario saper rispondere al «bisogno di unicità, di relazione, di cura accogliente, di ricerca del senso delle cose, di maturazione e crescita personale anche nei curanti, di mantenere fino alla fine rapporti significativi». L’intuizione di Saunders è fondata sul principio che, dando sempre più centralità e supporto alla persona malata, «la mancanza di dignità sarebbe stata prima o dopo superata dal sistema delle cure palliative, e con essa la ragione principale per le richieste di eutanasia». Si colloca in questo percorso di accompagnamento, l’utilizzo della sedazione palliativa, «proporzionale al controllo dei sintomi refrattari, se necessario proseguita fino al decesso del paziente». I palliativisti tengono però a fugare ogni ambiguità: è infatti contraria all’ispirazione di Cicely «l’interpretazione della sedazione profonda e continua fino al decesso intrapresa non in prossimità della morte, contestualmente alla interruzione o alla non attivazione di alcun presidio vitale, a prescindere dalla condizione clinica del paziente, come un’alternativa soft all’eutanasia». L’hospice è un luogo di cura dove i pazienti vanno supportati anche con percorsi spirituali, psicologici, esistenziali, e perfino con modalità artistiche. Ma è comunque imprescindibile una formazione adeguata e specialistica degli operatori sanitari. «Troppe volte – si legge infatti nel documento – è ancora presente nell’opinione pubblica, ma anche in un certo mondo sanitario, un’idea “pietistica” delle cure palliative, fatte da persone “buone” ma non necessariamente formate e aggiornate. Le cure palliative sono invece una vera specialità medica, che richiede un continuo percorso di crescita, con peculiarità formative che devono essere riconosciute e valorizzate dalla comunità scientifica». Per aderire al Manifesto di Cicely, che sarà pubblicato online sulla Rivista Italiana di Cure Palliative, basta contattare il gruppo di lavoro «Sul sentiero di Cicely» (c.broglia@smatteo.pv.it).

di Graziella Melina – Avvenire

PAPA FRANCESCO nell’Amoris Laetitia (48)
“L’eutanasia e il suicidio assistito sono gravi minacce per le famiglie in tutto il mondo. La loro pratica è legale in molti Stati. La Chiesa, mentre contrasta fermamente queste prassi, sente il dovere di aiutare le famiglie che si prendono cura dei loro membri anziani e ammalati”

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