
Memoria su DDL n.2553
Ass.Comunità Papa Giovanni XXIII, 8 luglio 2022
Associazione internazionale di fedeli di diritto pontificio
Fondata da don Oreste Benzi
MEMORIA
alla Commissione Giustizia e Sanità
del Senato della Repubblica
Roma, 21 giugno 2022
Sull’esame del disegno di legge DISEGNO DI LEGGE n. 2553
Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita
Ringraziando il Presidente di Questa Commissione e tutti gli Onorevoli Senatori che ne
fanno parte per averci invitato a trattare questo tema, si ritiene opportuno presentare le
considerazioni che si espongono di seguito.
La Comunità Papa Giovanni XXIII è un ente internazionale di fedeli, diffusa nei cinque
continenti. Ogni giorno siedono alla mensa della Comunità 50.000 persone. La vocazione
specifica della Comunità consiste nel condividere direttamente la vita degli ultimi e nel
rimuovere le cause che creano l’emarginazione. Ogni giorno, 24 ore su 24, condividiamo la
nostra vita con anziani, con persone con disabilità, con malati in stato neuro-degenerativo,
minori in stati di abbandono, tossicodipendenti, detenuti. La peculiarità della nostra comunità
è la casa-famiglia. Essa è una casa in cui un papà e una mamma accolgono tutti i poveri, senza
distinzione di età o situazioni di provenienza. La profonda intuizione è semplice: la famiglia è
il sistema relazionale per eccellenza. Tutti hanno diritto ad una famiglia. Allora noi diamo una
famiglia a chi non ce l’ha.
La prossimità alle persone fragili ci permette di osservare da un pulpito d’onore gli
sviluppi della normativa e di poter contribuire ragionevolmente con le nostre osservazioni alla
formulazione di una legge che realmente possa cercare il bene maggiore di ciascuno e di tutti,
favorendo la crescita della nostra società civile in umanità e solidarietà, principi ineluttabili
del nostro vivere comune
I principi ispiratori della legge
Il DDL approvato alla Camera dei Deputati e ora all’esame del Senato, dopo le
modifiche introdotte dall’aula della Camera, continua a destare preoccupazione.
La proposta fonda le proprie radici sul principio di autodeterminazione, di cui certo si
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riconosce il valore, ma nel testo appare sbilanciato rispetto ad altri diritti fondamentali
costituzionalmente garantiti.
Non possiamo dimenticare che nella proposta viene in considerazione un valore che si
colloca in posizione apicale nell’ambito dei diritti fondamentali della persona, ovvero il
diritto alla vita.
E come ha ribadito la Corte Costituzionale nella recente Sentenza n. 50: “Quando viene
in rilievo il bene della vita umana, dunque, la libertà di autodeterminazione non può mai
prevalere incondizionatamente sulle ragioni di tutela del medesimo bene, risultando, al
contrario, sempre costituzionalmente necessario un bilanciamento che assicuri una sua
tutela minima.”
Il diritto alla vita è riconosciuto implicitamente dall’art. 2 Cost., ed inoltre, in modo
esplicito, dall’art. 2 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con
legge 4 agosto 1955, n. 848.
La Corte Costituzionale ha avuto modo di chiarire in più occasioni che il diritto alla
vita, è da iscriversi tra i diritti inviolabili, cioè tra quei diritti che occupano nell’ordinamento
una posizione privilegiata, in quanto appartengono “all’essenza dei valori supremi sui quali si
fonda la Costituzione italiana” (Sentenza n. 1146 del 1988). Esso «concorre a costituire la
matrice prima di ogni altro diritto, costituzionalmente protetto, della persona» (Sentenza n.
238 del 1996).
Inoltre di recente la Corte ci ricorda il dovere dello Stato di tutelare la vita affermando:
“Il diritto alla vita è il «“primo dei diritti inviolabili dell’uomo” (sentenza n. 223 del 1996),
in quanto presupposto per l’esercizio di tutti gli altri», da esso discenda «il dovere dello
Stato di tutelare la vita di ogni individuo: non quello – diametralmente opposto – di
riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire”.
(Sentenza Corte Costituzionale n. 50/2022).
Il DDL, inoltre, ampliando in modo significativo le possibilità di accesso al suicidio
assistito si discosta in modo rilevante da quanto stabilito dalla Corte Costituzionale nella
Sentenza n. 242/2019.
Di seguito esponiamo le criticità presenti, a nostro avviso, nel testo.
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- Nel DDL in questione l’utilizzo delle parole è in più punti ridondante e non
necessaria, soprattutto nei primi tre articoli, se pur comprensibile l’intento di enfatizzare con
forza il principio di autodeterminazione, si rischia di confondere e buttare fumo negli occhi. A
titolo di esempio all’art. 1 riguardante le finalità della legge troviamo si specifica
“volontariamente e autonomamente alla propria vita”. - Il testo porta in sé una radicale modifica del ruolo del Servizio Sanitario
Nazionale, che se nella sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2019 era incaricato
unicamente della verifica della sussistenza delle 4 condizioni indicate, nella presente proposta
è eretto a elemento all’interno del quale avviene l’iter verso la morte della persona,
acquisendo quindi un ruolo decisamente attivo.
La stessa previsione normativa, all’art. 6, dell’obiezione di coscienza, è indice di tale
cambiamento. Difatti mentre la Sentenza n. 242/2019 non prevedeva questa possibilità
riguardando la possibilità di “escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio” non si veniva a
“creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici. Resta affidato, pertanto,
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alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del
malato”; diversamente il DDL stabilisce che “Gli enti ospedalieri pubblici autorizzati sono
tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dalla presente
legge.”. Stabilendo così un obbligo a cui il singolo si può sottrarre solo mediante obiezione di
coscienza.
Peraltro tale previsione appare in contraddizione con la risoluzione dell’Assemblea
Parlamentare del Consiglio d’Europa 1763 del 7 ottobre 2010 in cui si afferma che:
“nessun ospedale o altro istituto sarà costretto, reso responsabile o sfavorito in qualsiasi
modo a causa di un rifiuto ad eseguire, facilitare, assistere o essere sottoposto ad un aborto,
all’esecuzione di un parto prematuro, o all’eutanasia o a qualsiasi atto che potrebbe
provocare la morte di un feto o di un embrione umano, per qualsiasi ragione”. - Avremmo, altresì, auspicato che la proposta di legge chiarisse alcuni termini
utilizzati nella Sentenza n. 242/2019 C.C. per evitare pericolose derive nella loro
interpretazione. Come si ritiene sia avvenuto ad es. nel c.d. ‘caso Trentini’ (Sentenza del 27
luglio 2020, Corte d’Assise di Massa), in cui sono stati indicati come “trattamenti di sostegno
vitale “l’ausilio di un farmaco o l’aiuto di una terza persona.” Analogamente, nel
recentissimo caso di Fabio Ridolfi, il Comitato Etico Regionale delle Marche ha interpretato
tutti gli ausili e le risorse come “trattamenti di sostegno vitale”, al punto da citare come
trattamenti, tra gli altri: l’assistenza assicurata dai familiari, il materasso antidecubito, la
gestione dell’incontinenza, i farmaci per il trattamento delle vertigini, dell’ansia e della
rigidità, il comunicatore vocale a puntamento oculare.
La vaghezza dei termini lascia il campo ad interpretazione notevolmente estensive e
eccessivamente distanti tra loro.
A questo riguardo desta apprensione il riferimento nell’art. 1 e all’art. 3 riguardo la
possibilità di richiedere la morte volontaria medicalmente assistita da parte della persona
affetta da una patologia irreversibile.
Posto che numerose sono le patologie irreversibili con cui tantissime persone convivono
per tutta la vita, non possiamo nascondere la forte preoccupazione circa la possibilità di
applicazione della previsione in questione per i malati di Alzheimer, come purtroppo vediamo
verificarsi in alcuni Paesi del Nord Europa dove siamo presenti con le nostre realtà di
accoglienza. (Spagna, Olanda). - Preoccupa, inoltre, la previsione di un accesso preliminare alle cure palliative
radicalmente diverso rispetto alla Sentenza n. 242/2019 C.C. Infatti la stessa prevedeva “il
coinvolgimento in un percorso di cure palliative” come “pre-requisito” per intraprendere
qualunque scelta ulteriore. Tali cure, difatti, consentono di ridurre efficacemente le
sofferenze, è dunque necessario averle sperimentate prima di poter sostenere che le sofferenze
vissute sono effettivamente intollerabili. Viceversa il DdL introduce la possibilità di un rifiuto
preliminare di queste terapie, svuotando così nei fatti questa previsione, nonostante la
testimonianza di tanti operatori sanitari e di tanti pazienti sui benefici che si possono ottenere. - Si dissente dal carattere totalmente soggettivo previsto nell’art. 3 nella parte in
cui si sancisce: «oppure essere portatrice di sofferenze fisiche e psicologiche che la persona
stessa trova assolutamente intollerabili».
Questo punto introduce un elemento soggettivo di difficile determinazione e
applicazione.
La proposta non prende in considerazione la situazione di vulnerabilità e debolezza in
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cui si trova il paziente. Nella sentenza n. 50 anno 2022
Corte Costituzionale con chiarezza si afferma che: «Le situazioni di vulnerabilità e debolezza
alle quali hanno fatto riferimento le richiamate pronunce della Corte non si esauriscono, in
ogni caso, nella sola minore età, infermità di mente e deficienza psichica, potendo connettersi
a fattori di varia natura (non solo di salute fisica, ma anche affettivi, familiari, sociali o
economici)» “Non può non essere ribadito il «cardinale rilievo del valore della vita», il
quale, se non può tradursi in un dovere di vivere a tutti i costi, neppure consente una
disciplina delle scelte di fine vita che, «in nome di una concezione astratta dell’autonomia
individuale», ignori «le condizioni concrete di disagio o di abbandono nelle quali, spesso,
simili decisioni vengono concepite» (ordinanza n. 207 del 2018).” - Oltre al quadro generale preoccupano particolarmente le conseguenze che tutto
ciò comporta sulle persone fragili.
Posto che il DDL prevede che può fare richiesta di morte volontaria medicalmente
assistita la persona che al momento della richiesta abbia raggiunto la maggiore età, sia capace
di intendere e di volere e di prendere decisioni libere, attuali e consapevoli, ci si chiede se ci
si riferisca alle persone sottoposte all’istituto dell’interdizione oppure se si opererà una
verifica ad hoc.
Inoltre, poiché come detto, nelle nostre case accogliamo tante persone adulte con
autonomie limitate, abbiamo assistito dall’entrata in vigore della Legge n. 6/2004 alla
riduzione drastica di interdizione a fronte del più tutelante istituto dell’amministrazione di
sostegno. Come ben noto il beneficiario dell’amministrazione di sostegno non è giudicato
incapace di intendere e di volere, bensì non in grado di compiere autonomamente determinati
atti, per cui, anche alla luce delle disposizioni della L. 219/17, ci domandiamo, data la
formulazione del presente DDL, se un amministratore di sostegno potrà decidere per la morte
medicalmente assistita del proprio amministrato.
Conclusioni
Il DDL in oggetto ci interpella e coinvolge con passione e preoccupazione poiché
legifera su una materia delicatissima, che non ha a che fare con aspetti secondari della vita
umana, ma con la vita umana stessa. Si ha a che fare con le parti più deboli del tessuto sociale,
quindi quelle più delicate e per questo motivo si richiede un surplus di attenzione necessaria,
come ogni volta che si ha a che fare con la fragilità. Si parla di vita e di morte e osiamo dire,
si decide per la vita o per la morte.
Gli elementi sopra descritti ci portano a ritenere che il DDL così come formulato
necessita di correttivi sostanziali, nell’enunciato attuale difatti si presta a consentire un
accesso ampio al suicidio assistito, con una forte probabilità che si verifichino abusi di
cui sopra. Si ritiene importante che vengano definiti con maggiore chiarezza i limiti per
proteggere i più deboli della società.
L’impostazione attuale, purtroppo, si avvicina in modo preoccupante alle leggi che negli
ultimi anni hanno previsto forme di morte assistita (eutanasia e/o suicidio assistito) in diversi
Paesi del mondo. Le conseguenze sono che: “in tutti i paesi in cui la morte medicalmente
assistita è stata introdotta si è registrata una crescita continua della sua incidenza sul totale dei
decessi.” (Istituto Cattaneo – “Suicidio assistito ed eutanasia – Lezioni da nove paesi e da
trent’anni di applicazione” – gennaio 2022). Crescita che sulla base delle esperienze estere si
può provare a stimare anche per l’Italia. Con riferimento infatti in particolare ai paesi europei
(Belgio e Olanda), si riscontra una crescita sostanzialmente lineare che porta a tassi di morti
assistite variabili tra 13 e 30 ogni 1.000 decessi a 10 anni dalla legalizzazione. Ipotizzando, a
titolo cautelativo, che nel nostro paese ci si allinei al valore più basso, ciò vuol dire che ci
saranno circa 9.200 persone che avranno accesso al suicidio assistito a 10 anni dalla
promulgazione della legge.
Eppure oggi il numero di persone che chiede il suicidio assistito è enormemente più
basso. A riguardo di ciò, l’esperienza che ci riportano le persone della scrivente associazione
che vivono nei paesi in cui la morte assistita è legale, è un cambiamento di mentalità, per cui
la morte diventa un’opzione come le altre, in contraddizione con i principi suindicati affermati
dalla nostra Consulta. E quindi si assiste a pressioni più o meno esplicite verso le persone più
fragili (soprattutto verso chi si ritiene che sia giunto al termine dei suoi giorni); nonché le
persone con disturbi psichiatrici (come le persone con depressioni acute) vedono in questa
opzione una possibilità per ‘risolvere’ i propri malesseri, tralasciando i percorsi terapeutici.
Il morire non è mai stata nella storia del diritto una faccenda personale o individuale,
perché la morte di una persona si riflette sulle vite degli altri, sul sentire, conscio ed
inconscio, collettivo. La questione del suicidio e del “suicidio assistito” è infatti tale, che
l’interesse dell’individuo non può essere separato da quello della società nel suo complesso.
E’ innegabile che la questione suicidiaria è stata, e può essere foriera di messaggi
controproducenti alla salute sociale attraverso una anomala reinterpretazione del fenomeno
soprattutto da parte delle nuove generazioni e dei più fragili.
Ci domandiamo dunque se, a fronte del fatto che già oggi la Corte costituzionale ha
tracciato una strada per affrontare i singoli casi, non occorra valutare con attenzione le
conseguenze altamente probabili che deriverebbero dall’approvazione del DDL in questione.
In virtù di queste considerazioni riteniamo che, come precondizione della richiesta di
morte volontaria medicalmente assistita, un ruolo importante debba essere riservato in
maniera puntuale nella normativa ad un percorso che coinvolga l’intervento e la
collaborazione di formazioni sociali di base e di associazioni che si occupano della
promozione del diritto alla cura e tutela della vita.
Crediamo in una politica che sappia mettersi a servizio delle persone fragili e indifese,
nella consapevolezza che la loro condizione fisica non riduce né annulla la loro dignità.
Sappiamo per certo che la fragilità esistenziale non è mai un tempo muto e infecondo della
vita umana, ma anche quella debolezza può essere fonte di ricchezza umana e sociale.
Crediamo nella politica che abbia a cuore il grande desiderio del nostro fondatore don Oreste
Benzi che sovente ripeteva: “un popolo si può considerare tale quando non lascia nessuno per
strada, altrimenti saremo solo un’accozzaglia di gente”. Vi auguriamo di essere politici attenti
e costruttivi di un vero popolo che sappia rispettare il passo dello stanco, del debole e
dell’ammalato.
Il Presidente dell’Associazione
‘Comunità Papa Giovanni XXIII’
Giovanni Paolo Ramonda