di Fulvio Scaglione
INTERVISTA. Parla Stéphane Courtois, curatore del “Libro nero del comunismo”.
Centinaia di migliaia di copie vendute in Francia, 850 pagine fitte di dati.
E soprattutto una scia di discussioni e polemiche tra storici, intellettuali e militanti che ovunque ha seguito il libro e che in Italia l’ha addirittura preceduto. Il libro nero del comunismo è di sicuro, com’è ormai di moda dire, un evento. Ma è anche e soprattutto il perno di una riflessione sulla storia di questo secolo per la quale sembra inevitabile pagare un prezzo emotivo altissimo. Stéphane Courtois, docente universitario, per molti anni collaboratore e amico di Annie Kriegel – la grande e originale studiosa del comunismo morta due anni fa -, a sua volta direttore dl una rivista scientifica intitolata Communisme, è l’uomo che ha coordinato e inquadrato nel Libro nero il lavoro di un gruppo di studiosi tra i più stimati e preparati. Lo abbiamo incontrato a Parigi, nella sua casa appollaiata sui tetti di Montmartre.
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In uno del saggi che ha scritto per il «Libro nero» lei parla di un “Muro dl Berlino mentale” che ancora ostacola il ripensamento della storia del comunismo. Chi tiene in piedi, oggi, questo Muro?
«Tutti coloro, ovviamente, che ancora si definiscono ufficialmente comunisti, tutti i gruppi di sinistra e di estrema sinistra (leninisti, trockisti e anche gli anarchici), ma soprattutto – e la cosa è chiarissima in Francia – tutta una frangia di persone che magari non rivendicano più l’idea comunista ma continuano a rivendicare l’idea rivoluzionaria. E la cosa è addirittura più grave. Che cos’è oggi l’idea di rivoluzione in Paesi in cui la democrazia è non solo solidamente radicata, ma è diventata patrimonio culturale Delle masse? È un’ideologia definita critica radicale della democrazia. E che cos’è una critica radicale della democrazia? Anche i fascisti facevano una critica radicale della democrazia. In realtà tale critica non ha destra o sinistra, perché è una critica che punta a distruggere la democrazia. Dunque quel Muro dl Berlino divide oggi coloro che pensano che la democrazia e il sistema in cui viviamo e in cui dovremo vivere (anche se va sempre migliorato, come tutti i sistemi e tutte le cose umane) da coloro che invece ritengono che il sistema democratico non va bene e un giorno o l’altro dovrà essere distrutto. Il crollo del sistema comunista, e tutte le rivelazioni che ne sono derivate, purtroppo non sono servite a molte persone che non hanno il coraggio dl ammettere di essersi sbagliate».
Nel «Libro nero» è più severo, parla di «complicità»…
«Bisogna distinguere tra i leader comunisti, che sapevano o in ogni caso potevano sapere, e i militanti in buona fede. Il problema, ovviamente, non sono questi ma quelli. Che cosa può dire, oggi, un partito come il Partito comunista francese, che è stato stalinista dalla fine degli anni Venti agli anni Cinquanta? Per trent’anni ha applaudite Stalin ogni giorno, ha applaudito Ceausescu fino alla fine, ancora nel 1979 George Marchais ha approvato l’invasione dell’Afghanistan la complicità morale e politica è evidente».
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A me pare che la svolta imposta dal «Libro nero», quella che poi è alla base delle aspre discussioni che l’accompagnano, stia nel considerare il comunismo un sistema mondiale. E nel volerlo dunque giudicare su tale scala.
«La questione del comunismo non può essere affrontata neppure da un punto di vista strettamente storico, per non parlare di quello morale, pezzo per pezzo, situazione per situazione. Non si può dire: c’è stato il comunismo della Romania che non ha nulla a che vedere con quello di Cuba, che a sua volta non ha nulla a che vedere con la Cambogia. Si può constatare, al contrario, una formidabile continuità tra tutti questi dispositivi: un’unità di ideologia, di organizzazione del partito, di maniera di governare. Era un sistema mondiale e non per caso, visto che come tale era stato pensato. In altro campo a nessuno verrebbe in mente di dire che ci sono cattolici in Italia e cattolici in Argentina, ma gli uni non hanno niente a che vedere con gli altri perché l’Italia non è l’Argentina. La Chiesa cattolica è, a suo modo, un sistema mondiale, pensato per esserlo. Non vedo come si possa contestarlo per il comunismo: abbiamo tutti gli elementi per dirlo. Non fosse che per la creazione dell’Internazionale comunista. Abbiamo potuto accedere agli archivi dell’Internazionale, conservati a Mosca, e abbiamo visto come i russi, già dal 1919-1920, avessero creato nel mondo un dispositivo di quasi 70 partiti comunisti organizzati sullo stesso modello, basati sugli stessi principi, e tutti diretti da Mosca. Quello che fa davvero impressione, però, è scoprire che questa dimensione mondiale era presente non solo nell’ideologia e nell’organizzazione ma anche nel crimine. La dimensione terroristica è un tratto fondamentale di questo sistema mondiale, proprio perché la si ritrova a prescindere dalle considerazioni geografiche. E badi che è stata la ricerca storica a portarci a questa conclusione, non certo il pregiudizio. Quando abbiamo cominciato a studiare il comunismo come sistema mondiale, siamo partiti da altri punti di vista: dapprima l’ideologia (la dottrina, che era più o meno dappertutto la stessa), poi l’organizzazione (il centralismo democratico), la strategia. Non credevamo certo, all’inizio, dl trovare la dimensione criminale come elemento fondatore».
È ormai noto, però, che, non tutti gli studiosi che hanno lavorato al «Libro nero» condividono questa posizione. Nicholas Werth e Jean-Louis Margolin hanno pubblicamente e ripetutamente preso le distanze dalle sue conclusioni. Anche se poi, altrettanto pubblicamente, gli altri (Jean-Louis Panné, Andrzej Paczkowzski e Karel Bartosek) hanno confermato e approvato.
«Tutti coloro che hanno lavorato al Libro nero hanno una formazione di sinistra: per alcuni non è più un problema ammettere che il comunismo è stato una grossa illusione, per altri compiere quest’ultimo passo è ancora difficile. Prendiamo Nicholas Werth, che per il Libro nero ha scritto la parte sull’Unione sovietica. Il suo saggio dimostra, materiali d’archivio alla mano, che dopo la Rivoluzione d’Ottobre il terrore entrò in azione fin dal principio, che fu Lenin in persona a scatenarlo, a creare fin dalle prime settimane la Ceka, a metterne a capo Dzherdzbinskij, a spingere in seguito per un incremento del terrore. Lenin mandava telegrammi a tutti con ordini come: fucilate. fucilatene di più, prendete ostaggi. Tutti gli specialisti riconoscono che il saggio di Werth è eccellente e che dopo di esso non è più possibile dubitare sull’uso del terrore da parte di Lenin. Bene, che cosa succede? Pochi giorni fa Werth ha pubblicato sul numero di gennaio della rivista L’Histoire un’intervista di tre pagine. Nelle prime due riprende e conferma quanto ha scritto nel Libro nero, nella terza dice che è vero, il terrore è un elemento intrinseco del sistema comunista ma che non bisogna confondere il terrore con il crimine. Io, però, non riesco a capire come si possa instaurare il terrore senza commettere crimini. Lo stesso vale per Jean-Louis Margolin, che si è occupato della Cambogia e della Cina, i capitoli più tremendi del Libro nero. E anche lui salta che lui salta fuori con sottili distinzioni tra l’ideale comunista e le azioni dei regimi comunisti Tutto questo dimostra quale tensione vi sia oggi in certi intellettuali tra l’onestà scientifica (che li spinge, quando scrivono, a non nascondere nulla) e l’opzione ideologica e politica. Come notava Marcel Proust: ”I fatti non penetrano nel mondo delle nostre credenze”».
Molte persone trovano comunque difficile accettare il paragone, che lei avanza nel «Libro nero», tra il «totalitarismo di razza» e il «totalitarismo di classe», cioè tra nazismo e comunismo.
«So benissimo che a sinistra sono scandalizzati dal paragone tra la filosofia razziale nazista e la filosofia sociale dei comunisti. E spesso mi dicono: ma Lenin aveva un grande ideale umano! Ma come si fa a dire una cosa simile quando Lenin mise nero su bianco che per il bene dell’umanità bisognava che il proletariato prendesse il potere e la borghesia fosse sterminata? Che ideale umano è quello che vuole eliminare una parte dell’umanità?».
L’altra faccia dl questa medaglia, o almeno quello che molti percepiscono come tale, è però la negazione dell’Olocausto come tragedia unica e quindi, in un certo senso, la sua sottovalutazione.
«Dire che il comunismo ha fatto quasi cento milioni di non annulla certo il fatto che il nazismo ne ha provocati trenta. Al contrario, le vittime si sommano perché tutte cadute ad opera di sistemi totalitari ugualmente basati sui terrore e sul massacro di massa. Dopo l’uscita del Libro nero ci siamo trovati, qui in Francia, in forte polemica con i comunisti. Ma un’altra polemica, più sotterranea, l’abbiamo con certe persone della comunità ebraica che pensano che il genocidio degli ebrei è un evento unico nella storia e che quindi costituisce il paradigma assoluto del Male. Bene, non sono d’accordo. Il genocidio degli ebrei non è un evento unico. C’è stato il genocidio degli Armeni da parte dei Turchi nel 1915. Se si considera il modo in cui i bolscevichi trattarono i Cosacchi del Don, è del tutto evidente che si trattò di un puro genocidio a base politica. Dov’è la differenza rispetto a Hitler? L’unica differenza è che Lenin lo fece nel 1920 e Hitler nel 1941, e le date già vogliono dire qualcosa. Indicano un altro e assai serio problema storico. Pol Pot, che in tre anni e mezzo fece uccidere un quarto della popolazione della Cambogia, ha sicuramente commesso un genocidio. E se risaliamo la storia vediamo che i Comitati di salute pubblica dì Robespierre commisero un genocidio In Vandea, dove un’intera popolazione, neonati compresi, fu dichiarata controrivoluzionaria e per questo massacrata».
E Auschwitz? E i campi di sterminio?
«Auschwitz e i campi di sterminio sono esattamente ciò che non si era mai visto nella Storia: cioè la messa in opera di un sistema di massacro industrializzato. Il problema nasce allorché si tende ad assimilare a Auschwitz l’intero sterminio degli ebrei operato dal nazisti. Si dimentica così che dei cinque milioni di ebrei, un milione e mezzo è morto nei campi. Gli altri sono morti di fame e di malattie nei ghetti e soprattutto sono stati uccisi dai Gruppi speciali nazisti nell’Est della Polonia e nella Russia occupata dal giugno del 1941 alla fine del 1942. E in che modo? Con una pallottola in testa, cioè esattamente nello stesso modo in cui i bolscevichi eliminavano i loro nemici».
Alcuni, in Italia almeno, obiettano che non si può fare la Storia con una sorta dl contabilità delle vittime. Bisognerebbe allora contare, dicono, le vittime del capitalismo reale, del colonialismo reale. Bisogna giudicare, il secolo, dicono, e non il comunismo.
«Una delle basi del lavoro sulla storia è stabilire dei fatti, accertare delle conoscenze. E quindi il numero delle vittime è molto importante. Nella storia del nazismo e del genocidio degli ebrei la discussione sul numero delle vittime dura da cinquant’annì ed è considerata essenziale. Anche un bambino capisce, del resto, che se Hitler avesse ucciso 50 mila ebrei e non 5 milioni la questione sarebbe diversa. Dunque stabilire il numero delle vittime è lavoro di grande importanza per una ragione prettamente storica (cioè sapere che cosa esattamente successe), ma anche per una ragione morale, cioè per rendere omaggio alle vittime. E poi i morti del capitalismo, del colonialismo. Fate gli studi, dico io, scrivete i vostri libri, e forse sarete voi ad avere grosse sorprese. Non solo per le cifre, ma anche per la natura del fenomeno. Le vittime del capitalismo caddero in gran parte al momento della creazione del sistema industriale, uccise dagli incidenti sul lavoro, dai cattivi sistemi sanitari, dalla fatica, dalla malnutrizione. Ma nel capitalismo non si sono mai avuta carestie provocate dalla politica del governo: in questo secolo c’è stato solo il comunismo a provocarle. Nella Russia degli zar l’ultima carestia si ebbe negli anni Ottanta dell’Ottocento e fu provocata da cattive condizioni climatiche. Ma fece anche nascere un grande movimento di solidarietà nazionale e internazionale, i governanti di allora perlomeno chiesero aiuto a tutti. I regimi comunisti, invece, durante le carestie tennero tutto segreto e lasciarono morire la gente. Nel capitalismo non è mai successo quello che avvenne in Urss nel 1937-1938, quando 700 mila persone furono fucilate in base a liste controfirmate dal capo dello Stato. Cerchiamo di essere seri: bisogna guardare non agli episodi ma alla continuità nella storia. E la continuità nella storia del comunismo sta nel terrore come metodo di governo. Faccio anche notare che nel Libro nero parliamo dei crimini del comunismo e non dei morti sotto il comunismo. Non parliamo, ad esempio, dei morti per incidenti sul lavoro in Urss, che tutti sanno essere stati molti. Né dei morti a causa delle condizioni igieniche e sanitarie, che tutti sanno essere state a lungo pessime».
Nel saggio che conclude il «Libro nero» lei riflette su una domanda che pare evidente, anche se inespressa: che cos’è la rivoluzione? Ha ancora un senso l’idea di rivoluzione?
«Le rispondo da cittadino quasi più che da storico. Credo che in effetti, e in ogni caso in quella parte del mondo che ha adottato la forma politica della democrazia, quasi fatalmente la rivoluzione diventa un movimento antidemocratico. E poiché la democrazia riposa su valori umanitari, la rivoluzione diventa una forza antiumana. Si torna sempre alla questione fondamentale, espressa nel comandamento Non uccidere. Nel 1920, scrivendo a Romain Rolland dopo essere stato espulso dall’Urss, Gorkij disse: ”Lascio L’Unione Sovietica perché non ho alcuna voglia di vivere in un Paese in cui ogni giorno sarei costretto a ripetere Non uccidere”. Si capisce dunque, anche se come non si è credenti e si pensa che la Chiesa cattolica in certi momenti ha molto esagerato su certi punti, che la Chiesa è stata un’enorme forza progressista e che tale forza progressista non si è ancora esaurita. Proprio per il fatto di essersi data dei Comandamenti che sono anche dei grandi valori umani. So che disturba molti dei miei amici di sinistra, ma una delle persone che prima e più chiaramente condannò il doppio totalitarismo nazista e comunista fu papa Pio XI nel 1937, con due encicliche, la Mit Brennender Sorge e la Divini Redemptoris, che possono essere lette ancora oggi e che conservano tutta la loro efficacia. Questo obbliga la gente di sinistra a riflettere sulla morale. E non quella della storia o del proletariato: non ci sono quindici o venti morali, ce n’è una sola, e quando la si abbandona si va verso la catastrofe. Anche il rapporto tra Marx e Lenin, a ben vedere, cela una questione morale. Tutto quanto dice Lenin è già presente nell’opera di Marx: la lotta di classe, le leggi della storia, la borghesia come classe condannata, il proletariato come classe dell’avvenire, eccetera. Ma quando lo dice, Marx fa della filosofia, fa la critica della società. Il passaggio all’azione, che è lo snodo fondamentale della morale, è opera di Lenin, che ha preso gli elementi dl Marx e ha detto: adesso facciamolo. Abbiamo la volontà e il diritto di farlo, e se qualcuno ci ostacola lo eliminiamo. Lenin mise da parte la morale e inevitabilmente si rivolse al terrore».
Nella storia recente del comunismo Italiano, è stata considerata un punto di svolta la celebre frase di Enrico Berlinguer alla fine degli anni Settanta: “La spinta propulsiva della Rivoluzione di Ottobre si è esaurita”. Lei la ricorda di sicuro. Che cosa ne pensa, oggi?
«Dei comunisti si può dire tutto, tranne che siano stupidi. E nella dialettica sono fortissimi. Quando Berlinguer pronunciò quella frase fece solo una constatazione, poiché era chiaro a tutti in che stato fosse ridotta l’Urss in quell’epoca. Il problema è che la frase di Berlinguer non qualificava la portata storica della Rivoluzione. Restava da stabilire, cioè, se tale portata fosse stata positiva o negativa. Credo che su questo punto si debba essere molto chiari: la Rivoluzione d’Ottobre è stata un evento storico totalmente negativo. E lo fu fin dal principio».
© Avvenire, 01 febbraio 1998