Lo sfruttamento lavorativo dei minori egiziani in Italia

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Tra i minori stranieri vittime di sfruttamento lavorativo, un numero significativo proviene dall’Egitto. Si tratta perlopiù di adolescenti provenienti dalle zone di Al Sharkeya e Assiut giunti in Italia tramite ricongiungimento familiare, in affidamento a un parente o non accompagnati, generalmente poco scolarizzati e già inseriti nel mondo del lavoro sommerso sin dall’infanzia in lavori a bassa specializzazione in agricoltura, pastorizia ed edilizia. La spinta ad inserirsi immediatamente nel mondo del lavoro per ottenere dei guadagni conduce in molti casi questi minori a non considerare le opportunità formative e professionalizzanti che vengono offerte dal sistema di accoglienza e ad accettare acriticamente condizioni lavorative pericolose totalmente antitetiche a quelle offerte dai percorsi educativi e di autonomia.

STORIA DI MAHMUD

“Per oltre due anni Mahmud, ragazzo egiziano, è stato ospite di una comunità piemontese dove è rimasto fino al compimento della maggiore età. Mahmud è motivato, studia volentieri, ottiene la terza media e conclude un percorso di formazione professionale di un anno come serramentista. Nei due anni, grazie alla crescente competenza dell’italiano Mahmud partecipa a diversi progetti formativi e svolge un tirocinio presso un rifugio alpino. L’impegno di Mahmud risulta decisivo per essere ammesso al progetto Together52 di Save the Children, grazie al quale partecipa al percorso di orientamento, dichiarando di non volere per alcuna ragione né lavorare, né vivere con i propri connazionali. Al termine dell’orientamento, così come previsto dal progetto, vengono avviate le pratiche per l’attivazione di una borsa lavoro e di una soluzione per l’autonomia abitativa. Tuttavia, il giorno prima di iniziare la borsa lavoro, Mahmud abbandona il percorso intrapreso a causa delle forti pressioni esercitate dalla famiglia e dalla comunità di appartenenza. Per lui è l’inizio dello sfruttamento. Mahmud comincia a lavorare ai Mercati Generali di notte. Dalle 5 del mattino fino alle 9 di sera. Al ragazzo, in ansia per il rinnovo del permesso di soggiorno, era stato promesso un contratto di lavoro al termine delle prime due settimane di lavoro. Inizialmente il lavoro non sarebbe stato neanche retribuito: gli hanno detto che doveva imparare il mestiere, che consisteva nel caricare e scaricare casse di frutta e verdura. Di recente, gli operatori hanno incontrato Mahmud, che era ancora in attesa di ricevere il contratto.”

La storia di Mahmud non è un caso a sé stante. Sebbene il numero di minorenni egiziani giunti in Italia sia andato progressivamente diminuendo a partire dalla fine del 2016 (basti pensare che se nel 2016 erano giunti 2.467 minori egiziani, alla fine del 2017 ne sono giunti appena 72, mentre al mese di aprile 2018 soli 22), serie criticità continuano ad essere rilevate per molti minorenni e neomaggiorenni giunti in Italia negli anni precedenti e fuoriusciti precocemente dal sistema di accoglienza. I dati diffusi dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali mostrano al 31 maggio 2018 una larga presenza di egiziani nelle strutture di seconda accoglienza, pari a 1.266 minori, resta significativo il dato dei giovani egiziani che abbandona le strutture e si rende irreperibile soltanto pochi mesi dopo l’ingresso, pari a 421.

Per la stragrande maggioranza di questi ragazzi, la fuoriuscita precoce dal sistema di accoglienza si traduce in una esposizione costante tanto allo sfruttamento lavorativo, quanto alle economie illegali forzate connesse alla vita di strada. A Torino, dove Save the Children opera dal 2015, 54 minorenni egiziani risultano essere impiegati nei settori della ristorazione e dell’edilizia gestiti tanto da connazionali che da cittadini italiani che lucrano sul bisogno economico dei minori. Le dinamiche di sfruttamento assorbono completamente i minori che prestano servizio presso pizzerie e kebabberie per oltre 12 ore al giorno, inizialmente senza contratto, con una paga che oscilla tra i 150 e i 200€, appena sufficiente per pagare il posto letto nelle case dei connazionali che li ospitano. Questi ultimi, infatti, spesso chiedono denaro ai ragazzi in cambio della concessione della dichiarazione d’ospitalità, necessaria per ottenere una residenza reale e procedere al rinnovo del permesso di soggiorno. È proprio la necessità di rinnovare il permesso di soggiorno che, nella maggioranza dei casi, spinge i ragazzi, una volta raggiunta la maggiore età, ad accettare condizioni lavorative svantaggiose considerato che tra i requisiti indispensabili per il rilascio della carta di soggiorno viene richiesto un reddito minimo da dimostrare pari a 5.824,91 euro.

Per molti minori l’accettazione della condizione di sfruttamento è funzionale alla necessità di lavorare per inviare soldi a casa e ripagare il debito contratto per il viaggio il prima possibile così da evitare che la situazione debitoria della famiglia si traduca, in Egitto, in una espropriazione o in un arresto di un congiunto. Dai minori stessi emerge la consapevolezza che ogni forma di aiuto da parte di adulti connazionali ha un preciso costo in denaro. Proprio questa pressione spiega la determinazione dei minori egiziani di resistere a condizioni lavorative estremamente faticose e rischiose, come nei mercati generali ortofrutticoli, negli autolavaggi o nelle pizzerie, o, nelle imprese edili gestite da connazionali. I compensi nella stragrande maggioranza dei casi sono irrisori.

A Roma e Torino i ragazzi lavorano negli autolavaggi 7 giorni su 7 per 12 ore al giorno a fronte di un compenso compreso tra i 2 e i 3€ all’ora. A Torino molti ragazzi egiziani lavorano anche su turnazioni notturne nelle pizzerie, nelle kebabberie e nelle frutterie per compensi che di rado superano i 300€ mensili. Frequentemente, una volta raggiunta la maggiore età, diversi ragazzi egiziani sono anche assunti da ditte impegnate nella costruzione di ponteggi. In questi casi, i ragazzi partono da compensi minimi iniziando a lavorare ai piani bassi, per guadagnare di più maturando esperienza e accedendo al lavoro ai piani superiori. Riescono a ottenere un compenso più elevato dei loro coetanei che lavorano presso le pizzerie, che oscilla tra gli 800 e i 1.000€, ma si sottopongono comunque a ritmi di lavoro pesanti, fisicamente e psicologicamente. Altrettanto diffusi sono i contratti stipulati con ditte di pulizie che lavorano per grandi franchising: una settimana di prova gratuita per imparare il mestiere ed essere selezionati, per poi attivare una collaborazione part time, con frequenti spostamenti da una città all’altra a seconda delle esigenze della ditta e che si concretizza in un impegno 6 giorni su 7 full time a fronte di un compenso di circa 800€. Per i minori egiziani il confronto con il volto reale del lavoro in Italia rappresenta una delusione talvolta insostenibile.

Attese tradite, condizioni di lavoro insostenibili e destrutturazione del legame fiduciario stabilito con i connazionali presenti in Italia stanno progressivamente scardinando la narrazione ottimista sulla mobilità verso l’Italia:  la consapevolezza di essere stati raggirati dai trafficanti con false promesse genera un profondo malcontento a cui alcuni reagiscono adottando comportamenti distruttivi e aggressivi sia tra pari che con soggetti adulti. Questo ha determinato una crescente stigmatizzazione dei minori egiziani, anche nelle strutture di accoglienza che dovrebbero proteggerli e accoglierli. In queste condizioni di sfruttamento, è purtroppo facile il passaggio al coinvolgimento forzato in attività illegali, come spaccio e furti. Molti ragazzi assumono mix di cocaina, crack e farmaci a base di benzodiazepine, per sostenere il carico fisico di condizioni di lavoro usuranti e per sopportare la tensione emotiva connessa a questo tipo di sfruttamento. Per questi minori l’integrazione è un percorso molto difficile.

Tratto dal Rapporto 2018 sui minori vittime di tratta e sfruttamento in Italia di Save the Children Italia Onlus

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