Camillo Cavour è il protagonista indiscusso del nostro Risorgimento. Senza di lui, senza la sua genialità sregolata, senza il suo opportunismo, il suo cinismo e la sua assoluta mancanza di scrupoli, molto probabilmente la storia avrebbe preso un altro corso.
Vediamo allora quali sono le convinzioni profonde, morali e ideali del nostro primo presidente del Consiglio. Per farlo cominciamo a esaminare un saggio che scrive nel 1846 riguardante la situazione delle ferrovie in Italia.
Cavour è convinto che puntare sulle ferrovie sia la s trada migliore per garantire lo sviluppo morale e intellettuale della popolazione. Ecco cosa scrive: “La vita intellettuale delle masse ruota intorno a un numero di idee molto ristretto. Fra le idee che sono in grado di acquisire, le più nobili ed elevate sono fuor di dubbio quelle religiose, le idee di patria e di nazionalità. Se al momento attuale le circostanze politiche del paese impediscono a queste idee di manifestarsi oppure imprimono loro una direzione funesta, le masse resteranno sprofondate in un deplorevole stato di inferiorità. Ma non è tutto: presso un popolo che non possa andare fiero della propria nazionalità, il sentimento della dignità personale non esisterà che eccezionalmente presso alcuni individui privilegiati. Le classi numerose che occupano le posizioni più umili nella sfera sociale, per acquisire la coscienza della propria dignità hanno bisogno di sentirsi grandi dal punto di vista nazionale. Se desideriamo con tanto ardore l’emancipazione dell’Italia, è non solo per vedere la nostra patria gloriosa e potente, ma soprattutto perché possa elevarsi nella scala dell’intelligenza e dello sviluppo morale fino al livello delle nazioni più civilizzate”.
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Ritenendo che moralità e intelligenza dei cittadini siano direttamente proporzionali alla potenza dello Stato in cui vivono, Cavour auspica una radicale inversione di rotta rispetto alla storia nazionale.
Stato forte e potente: tradotto in parole povere è questo che vogliono i liberali. In polemica e in contrasto con la storia dell’Italia cattolica profondamente segnata dalla presenza dello Stato della Chiesa, che (grazie alla totale assistenza di obiettivi di potere e di conquista grazie al prestigio internazionale di cui gode) garantisce ai suoi abitanti più di mille anni di pace, questo significa in concreto prendere parte alla corsa alle colonie che occupa tanta parte della storia dell’Ottocento.
Il pensiero liberale è fin dall’inizio indirizzato all’espansionismo e il primo frutto di quell’espansionismo è proprio la realizzazione dell’unificazione della penisola sotto il Piemonte.
L’avventura di Crispi in Africa, il nazionalismo d’inizio secolo, il desiderio di potenza che porta il paese al dramma della prima guerra mondiale, la politica mussoliniana, sono da questo punto di vista in perfetta sintonia con le posizioni espresse dal nostro primo presidente del Consiglio.
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Sempre interessato al miglioramento della morale popolare, il conte si preoccupa anche di come la gente comune spenda il proprio tempo libero. Il moralista Cavour è convinto che al popolo lavoratore faccia bene lavorare. E non pensare troppo perché fa male. Con la concretezza che lo contraddistingue si domanda cosa la povera gente faccia nei giorni di festa: siamo sicuri che nei giorni di riposo i poveracci vivano la loro festa cristianamente? Non saranno troppe le tante feste del calendario cattolico? “Io penso – sostiene alla Camera il 9 marzo 1850 – che un soverchio numero di feste torni fuor misura nocevole alle classi operanti perché siffatte feste straordinarie non si dedicano perlopiù al riposo, ma si spendono in quella vece in sollazzi e altri mali usi”.
Quale il rimedio? Perché la morale trionfi bisogna diminuire il numero delle feste. Detto fatto.
di Angela Pellicciari – La Padania”, 22 agosto 2001