L’ostaggio del Paradiso (dai Fioretti di Santa Chiara)

Clarisse itineranti, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

Santa Maria degli Angeli si chiamava così, perché si diceva che quattro pellegrini vi avessero udito i canti degli Angeli.

Sorgeva dentro un bosco, ai piedi di Assisi, ed era una chiesina piccola, ritrovo dei primi compagni di Francesco.

Tutto l’insieme, bosco e chiesina, formava una piccola particella, di proprietà dell’abate be­nedettino del Subasio. Perciò si chiamava Por­ziuncola, al confronto dei grandi terreni appar­tenenti alla Abbazia che i monaci benedettini avevano rimboschito e bonificato.

Francesco aveva restaurato con le proprie mani la chiesetta malandata, e, coi compagni, vi aveva costruito attorno alcune capanne di fra­sche, all’ombra del bosco.

Pagava in affitto ogni anno ai benedettini, un canestrello di pesci, pescati nel vicino torrente Tescio.

Di giorno, quando Francesco e i suoi compa­gni se ne andavano a predicare e a lavorare, Santa Maria degli Angeli restava deserta.

Di notte veniva illuminata con rami di pino accesi e risonava di lodi a Maria.

E ancor più illuminata era la notte di quella domenica, quando Chiara, accompagnata da Pa­cifica di Guelfuccio, scese da Assisi verso la Por­ziuncola.

L’attendevano, sul limitare del bosco, Filippo e Bernardo, con fiaccole accese. Vestite ancora coi panni della festa, precedute dai due frati silen­ziosi, le fanciulle s’inoltrarono nel folto.

I pruni trattenevano le lunghe sottane a stra­scico, e pareva che invisibili mani cercassero d’im­pedire il loro cammino attraverso il bosco.

Qualche uccello notturno, spaventato dalle fiaccole, sfiorava il velo scomposto sulla fronte delle due fuggitive.

Sulla porta della chiesina, Francesco, col viso scavato dall’ombra, gli occhi bruciati dalla veglia e dal fumo della resina, fissò Chiara, che gli si in­ginocchiava dinanzi.

Alle sue spalle s’accalcavano altri uomini in­cappucciati e barbuti.

A un estraneo sarebbe parsa una scena brigan­tesca. Egli avrebbe creduto che le due fanciulle fossero cadute in un covo di predatori. Infatti mani apparentemente rapaci tolsero a Chiara gioielli e ornamenti preziosi. Là spogliarono della sopravveste di broccatello. Le sfilarono le scar­pette di raso. La rivestirono di una sottana grossa. La legarono alla vita con una corda e capestro.

Così avvinta e a piedi nudi, venne introdotta nella bassa chiesina ogivale. Fasci di ginestre fiorite adornavano Santa Maria degli Angeli, ma tutto quell’oro silvestre veniva incupito dalla luce rossastra delle fiaccole e dal fumo che emanava la resina ardente.

La condussero ai piedi dell’altare, in ginocchio, come una condannata nel capo.

Francesco tolse una lama. L’avvicinò all’esile collo di Chiara. Tagliò deciso.

Le trecce della fanciulla, più d’oro che le gi­nestre, caddero sullo scalino dell’altare. Francesco gettò sopra il capo devastato un panno nero di ruvida fattura.

E mentre si compiva lo scempio di tanta mon­dana bellezza, gli uomini dalle ispide teste, dai ruvidi sai e dalle voci aspre, cantavano forte l’of­ficio dei morti per la fanciulla predata al mondo e presa in ostaggio del Paradiso.

dai Fioretti di Santa Chiara

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