L’Ultimo Incontro di Santa Chiara con San Francesco di Assisi

Gunnar Bach Pedersen, Public domain, via Wikimedia Commons

Anche malato, anche cieco. Francesco non poteva stare fermo. Ripartì dunque da San Damiano, solo. A chi lo voleva accompagnare, disse:

— Vidi già un cieco che non aveva altra guida che un cane. Non voglio apparire migliore di lui.

Camminava a stento, e andava dicendo al corpo stanco:

— Rallegrati, frate asino, e perdonami. Fra poco ti riposerai.

Al fine riprese la via di Assisi. Tornò a morire nella sua città. Fu ospite del Vescovo. Nell’attesa della morte, cantava.

Ma quando sentì che la sorella morte gli era vicina, chiese di essere portato alla Porziuncola. Voleva morire in Santa Maria degli Angeli.

I compagni lo deposero sopra una barella e lo trasportarono fuor di città. A mezza strada, si fece posare per terra, rivolto verso la città, che benedisse.

Quando Chiara seppe che Francesco era tornato alla Porziuncola per morirvi, desiderò di rivederlo e d’assisterlo nell’agonia. Il convento di San Damiano ora le sembrava davvero una prigione. Avrebbe voluto aprirne la porta e correre, attraverso il bosco, a Santa Maria degli Angeli, come aveva fatto quando era fuggita di casa.

Francesco fu irremovibile. Non le permise di uscire dal convento. Ma immaginando il dolore di Chiara e delle sue “povere donne”, disse a un frate d’andarla a visitare.

— Va’ e di’ a suora Chiara che deponga ogni dolore e tristezza per non potermi ora rivedere. Tanto essa che le sue sorelle mi vedranno dopo morto e ne saranno consolate.

Invece desiderò che giungesse alla Porziuncola un’altra donna, la vedova romana Jacopa dei Settesoli.

Chiara e Jacopa erano per Francesco quello che per Gesù furono Maria e Marta. Chiara era la donna della preghiera e della contemplazione. Jacopa, la donna dell’azione e dell’assistenza. Da lei Francesco accettava doni di panno, di cera e anche di certi “mostaccioli” fatti con farina e miele.

La considerava quasi un uomo. Infatti, mentre chiamava Chiara suor Chiara, chiamava Jacopa, frate Jacopa.

Prima d’entrare in agonia, Francesco si fece togliere il saio e distendere nudo sulla nuda terra. Il guardiano della Porziuncola volle che si rivestisse, e Francesco obbedì, chiedendo in prestito un saio. Voleva morire con nulla di suo indosso. Rinnovò cosi, disteso per terra, le nozze con la Povertà.

Era il tramonto del 3 ottobre 1226, quando spirò, e nel momento della sua morte la capanna della Porziuncola venne avvolta da uno stormo d’allodole trillanti.

Francesco aveva sempre amato quelle creature, perché gli sembravano l’immagine dei suoi frati. Vestite di grigio, senza nessun ornamento, vivevano per terra, ma appena il sole appariva all’orizzonte, s’alzavano a volo, pazze di gioia. Anche i suoi frati, vestiti di bigello, dovevano vivere miseramente nel mondo, cantando però con gran letizia l’inno della riconoscenza al Signore, sole dell’anima.

Frate Jacopa compose la salma di Francesco e depose sul volto del morto una pezzuola ricamata.

Chiara invece pianse e pregò tutta la notte, nel rozzo coro di San Damiano.

Il giorno dopo, da tutti i paesi vicino, accorse gente a Santa Maria degli Angeli. Da Assisi scese popolo e clero.

Cominciava la glorificazione del povero volontario. Il suo corpo fu tolto dalla Porziuncola, per trasportarlo immediatamente in città.

Ma invece di ripercorrere in salita la strada che pochi giorni prima la barella aveva fatto in discesa, il corteo funebre girò da un’altra parte, passando da San Damiano.

Francesco aveva promesso a Chiara che lo avrebbe riveduto. Ecco che tornava verso di lei, a piedi innanzi, seguito dal clero con torce accese e dal popolo con rami d’albero stroncati per via.

A San Damiano le “povere donne” attendono, dietro la grata. Chiara, con gli occhi bruciati, guarda la porta della chiesa.

Vengon di fuori i canti degli accompagnatori. Poi il silenzio. La bara è giunta dinanzi a San Damiano; avanza coi portatori nella chiesa. Ecco i piedi feriti; ecco le mani piagate; ecco il petto aperto; ecco il volto di cera composto nella solenne pace della morte.

Di là dalla grata le povere donne singhiozzano. Vengono tolte le sbarre di ferro. È l’ultimo incontro, sulla terra, di Chiara col suo crocifisso. Non piange. Pallida sotto il velo nero, bacia le piaghe dei piedi, bacia le piaghe delle mani, bacia la piaga del costato. Poi si ritira dietro le “povere donne”, che fanno altrettanto.

Quando si riscuote dal suo muto dolore, la chiesa è ritornata vuota. Si ode lontano lo scalpiccio del corteo, che sale verso la città.

Ma San Damiano non è rimasto deserto. Gesù Crocifisso è ancora là. Francesco è morto, ma il suo Maestro e Salvatore agonizza ancora sulla Croce per sempre e per tutti gli uomini.
Fonte: I fioretti di Santa Chiara

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