L’urgenza della missione ad gentes

Foto di PIRO da Pixabay

Dio ha un sogno: farci famiglia.
Quando sono tornato dall’Africa trovai a casa di mio fratello una situazione nuova. Il suo primogenito divenne, come succede spesso in questi casi, geloso della sorellina che era appena nata. Ho gioito di poter ammirare la saggezza della mamma che fece prendere coscienza al ragazzino di quanto fosse bello e importante essere “fratelli maggiori”.
Anche Dio Padre aveva un figlio unico (famiglia modello di Nazaret): Gesù e anche lui ha “fatto carriera” come figlio. Era figlio unico, ma non gli bastava: è diventato primo di molti fratelli e adesso gli piace un sacco!
In Africa Chiesa si dice “chiesa come famiglia”: Dio aveva questo figlio unigenito, ci ha raccolti nel figlio facendoci figli nel figlio. Adesso siamo vivi nella vita di Gesù. Le sue parole sono: “Padre hai dato la gloria che tu hai dato a me. Che il mondo sappia che tu li ami come tu ami me”.
In chiesa una volta ho portato una bilancia fatta con due piatti e ho detto: <>. I bambini, con sorpresa, scoprirono che pesiamo quanto Gesù sulla bilancia di Dio; siamo importanti quanto Gesù. La Chiesa è la famiglia del Padre, raccolta in questo Figlio primo di molti fratelli. Ognuno di noi ha diritto e bisogno di sentirsi amato in maniera unica, piena e totale. Gesù condivide con noi quest’esperienza e allo stesso modo ci rende “figli nel figlio”, insieme.
La Chiesa, allora, è presente tra tutti i popoli all’ascolto delle situazioni, condividendo la vita, la gioia, la fatica (Gaudium et Spes); questa Chiesa che è presente tra tutti i popoli è segno e strumento dell’unità della famiglia umana (Concilio), ci chiama oggi più che mai ad essere all’ascolto della vita dei popoli così come loro la interpretano; condividere le risposte che Dio suggerisce. Siamo forse ancora malati di “eurocentrismo”; invece siamo davvero chiese sorelle.
Oggi si parla di globalizzazione dei mercati. Ma c’è anche una globalizzazione della miseria. La Chiesa ha una forma tutta diversa di creare unità, secondo il disegno di Dio: ascolto, condivisione, progetto comune, impegno condiviso.
Dio che ci fa famiglia ha come progetto il Regno: il progetto non è assorbire il mondo dentro la chiesa, così come ha tentato di fare in un certo modo la Chiesa in epoche passate, ma far che tutti facciamo parte dell’unica famiglia del popolo di Dio. Poi ad un certo punto, però, ci siamo accorti che con la buona volontà non ce la facevamo a tirar dentro tutti quanti, e allora ci siamo rassegnati e abbiamo inventato il dialogo interreligioso.
Però adesso capiamo meglio che abbiamo una responsabilità come cristiani che non ci rende migliori degli altri; abbiamo un dono che è per tutti: è il dono di Gesù Cristo unico salvatore del mondo e faremo il possibile perché arrivi a tutti.
Una volta l’urgenza missionaria così come San Francesco Saverio la viveva era anche una sofferenza profonda del cuore perché – si pensava – che chi non apparteneva alla Chiesa e a Gesù era visto come “colui che si perde”. C’era così un grande bisogno di farlo vivere. Allora l’urgenza missionaria era anche motivata perché c’era questa paura: fuori dall’appartenenza a Cristo nella Chiesa, nessuno può salvarsi.
Ma nella Casa del Padre davvero c’è posto per tutti i suoi figli. Anche i musulmani possono salvarsi: non è Maometto che li salva, è Gesù Cristo. Anche i buddisti possono salvarsi: non è Budda che li salva, è sempre Gesù Cristo; in nessun altro nome c’è salvezza. Gesù appartiene a tutti. Ogni nato da donna è imparentato con questo figlio di Maria. Però è importante che tutti lo sappiano.
Il cristiano è uno che fa la vita di tutti: le stesse fatiche, gli stessi impegni, gli stessi problemi, però dentro è tutto diverso. Diceva Gesù alla donna di Samaria: << Se tu conoscessi il dono di Dio>>. Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio e quando entri all’interno di questa esperienza c’è un coraggio, una speranza, una gioia…il Paradiso è già qui e tutti ne hanno diritto.
L’urgenza non è perché altrimenti si va all’inferno, ma è dato dal fatto che tutti hanno diritto di vivere una vita più piena, più luminosa, più gioiosa, colma di questa esperienza di sentirsi amati e di sapere amare. Il Regno non è fare entrare tutti nella Chiesa, ma la Chiesa è al servizio del Regno. E il Regno è il sogno di Dio, il Suo Progetto. Dove Dio Regna.
Allora questa umanità diventerà una umana-unità. Solo così in questa grande famiglia di popoli ci saranno relazioni di tipo economico, sociale, culturale, molto più fraterne, molto più rispettose, molto più colme di attenzioni, di premure, di “prendere a cuore”.
Non sarà più il profitto la cosa più importante. Noi come chiesa siamo troppo rassegnati, specialisti della devozione. Non ci siamo resi conto che tipo di sofferenza c’è tra i popoli: è un fuoco finto, pitturato che non ci ha mai scottato le mani, non l’abbiamo fatto nostro. Ma Dio l’ha fatto suo in Gesù, per questo lo prende così a cuore. Il mondo così com’è non va bene né per i popoli né per Dio. E noi non siamo esperti come clero a vedere questo. Saranno soprattutto i laici, che hanno una attenzione più immediata e spontanea, a riconoscere i mali del mondo e a lavorare per cambiarlo.
Da una chiesa tutta missionaria partono anche dei missionari. Vi accorgete d’un fatto, però: il protagonismo nostro è calato, quello dei laici ha una sua pur timida vitalità. Sono le “altre chiese” che si fanno missionarie, questo ci conforta.
Qui non ci sono più vocazioni, è vero; è una povertà che stiamo vivendo perché siamo sbilanciati verso l’esterno delle cose. Il baricentro non è più nel cuore, mentre i poveri ci insegnano l’essenziale. Anche se rischiamo certe forme di povertà e di aridità, le giovani chiese e gli altri popoli si fanno missionari. Questo ci deve fare coraggio.
Noi qui dobbiamo sentirci spinti a vivere le generosità locali, le attenzioni, la presenza e le forme di missione del territorio. Ecco che allora ci alleneremo sempre più ad aprirci ad estremi orizzonti, agli ultimi confini della terra.
P.Vittorio Farronato – missionario comboniano

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