
Chi era Madeleine Delbrêl? E’ la vicenda singolare di una donna che con assoluta libertà testimonia la bellezza dell’Evangelo. Libera di fronte a tutto ma non al Vangelo. “La forte speranza fatta donna” (J. Loew), “donna di fuoco” (P. Giuntella), “una delle più grandi mistiche del XX secolo” (cardinal Martini): sono alcune delle molte definizioni di Madaleine. Stupisce che in Italia, e nelle ACLI in particolare, sia poco conosciuta, letta e approfondita.
Perché ci deve interessare? Perché è stata una donna per la quale l’Evangelo non è stato un codice ma una parola viva, non un formula filosofica ma una persona. E in nome dell’Evangelo è riuscita a tenere insieme quello che noi non riusciamo a fare: intelligenza e fede, Evangelo e libertà; appartenenza a Dio e solidarietà con gli uomini della “periferia”, discepolato e vita nella città e nelle strade; contemplazione mistica e lotta contro l’ingiustizia.
Inoltre, Madeleine è stata una donna che ha scelto di testimoniare il vangelo a partire dalla periferia. Periferica, del resto, anche la sua condizione di donna laica “non meglio identificata”. In tempi di crisi e di resistenza, come quelli da lei vissuti, questa condizione marginale sembra avere il compito ed il privilegio di conservare, per le generazioni future, spazi di libertà spesso negati in luoghi più accreditati. Perché sembra che il Vangelo abbia una concezione molto poco convenzionale delle periferie e dei centri.
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Il contesto
I sessant’anni della vita di Madeleine Delbrêl (1904-1964) incrociano i principali eventi del ‘900 europeo, sia dal punto di vista politico che ecclesiale. La sua morte improvvisa nel ’64 la esclude evidentemente dagli ulteriori sviluppi del «secolo breve», come la contestazione del ’68, il post-concilio, il crollo del Muro nell’89, e colloca la sua testimonianza cristiana in una temperie estremamente precisa. Noi tenteremo di leggere la sua storia dentro le vicende del mondo e della chiesa del suo tempo. Una chiesa, quella francese, che – prima di altre – ha dovuto fare i conti dolorosamente con i processi di scristianizzazione.
Dio è morto, viva la morte!
Madeleine nasce il 24 ottobre del 1904 a Mussidan, in Dordogna, nella regione centro-occidentale della Francia, in una famiglia borghese e poco praticante. È figlia unica. Suo padre, impiegato nelle ferrovie, si trasferisce spesso da una città all’altra; perciò Madeleine non può seguire un corso di studi regolare. Dopo la Prima Comunione e la Cresima, abbandona la pratica religiosa tanto che nel 1919 dichiara di essere completamente atea. A 17 anni scrive un testo “Dio è morto…viva la morte” di una straordinaria lucidità. Si prefigge l’obiettivo di “smascherare l’assurdo”, la fede consolatrice. Nessuna sapienza umana è in grado di soddisfare i suoi tragici perché sul dolore, sulla malattia, sulla guerra, sulla vecchiaia, sulla morte. In lei “convivono lucida disperazione e amore della vita” (Boismarmin). Appassionata di poesia e letteratura, dotata di buona scrittura, Madeleine suona il pianoforte e ama recitare. Un’amica ricorda: “Seguivamo insieme i corsi di filosofia alla Sorbona di Parigi. Uscendo, un giorno, con la testa imbottita di tesi e antitesi, risalivamo boulevard Saint-Michel scambiandoci le nostre impressioni. Ne venne fuori una grande decisione, in sintonia con la primavera che adornava di fiori l’incrocio Medici, con gli alberi verdeggianti del Lussemburgo, sotto un sole abbagliante: quella di restare sempre giovani qualunque cosa accadesse, quanti mai anni passassero… Essere giovani, ecco la nostra vocazione. Lei ha mantenuto la parola”.
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A diciott’anni s’innamora: lui, Jean, è alto, sportivo, serio, pieno di interessi, intellettualmente e politicamente impegnato ed evidentemente dotato di una profonda vita spirituale. Fanno coppia fissa e tutti dicono che sembrano nati l’uno per l’altra… Improvvisamente il ragazzo scompare: sconvolta, Madeleine viene a sapere che Jean è entrato nel noviziato dei domenicani, ed è una separazione assoluta. Non capisce. Il suo anticlericalismo si riaccende violento, e per di più anche in famiglia la sofferenza dilaga: il papà di Madeleine — poeta mancato — diventa cieco e va gridando la sua angoscia perfino per le strade, per le quali si trascina disperato come un barbone. “In quel momento», confessa, “avrei dato tutto l’universo, pur di sapere che cosa ci facevo dentro!”. Il problema della fede si pone, ma non perché ella sia in cerca di conforto. Scrive: “Cento mondi, ancora più disperati di quello in cui vivevo, non mi avrebbero fatto vacillare, se mi avessero proposto la fede come consolazione”.
Dio vive, viva la vita!
Nel 1924, a vent’anni, il cambiamento. E’ il ricordo della bella umanità di Jean e di altri amici conosciuti in quel periodo felice: «Non erano nè più vecchi, né più stupidi, né più idealisti di me, che vivevano la mia stessa vita, discutevano quanto me, danzavano quanto me. Anzi, avevano al loro attivo alcune superiorità: lavoravano più di me, avevano una formazione scientifica e tecnica che io non avevo, convinzioni politiche che io non avevo… Parlavano di tutto, ma anche di Dio che pareva essere a loro indispensabile come l’aria. Erano a loro agio con tutti, ma – con una impertinenza che arrivava fino a scusarsene – mescolavano in tutte le discussioni, nei progetti e nei ricordi, parole, idee, messe a punto di Gesù Cristo. Cristo avrebbero potuto invitarlo a sedersi, non sarebbe sembrato più vivo…». E’ una conversione violenta. Fatta nel nome del Vangelo. In questo modo e anche grazie all’incontro con un grande prete, l’abbé Jacques Lorenzo, si avvicina alla fede. Passa un anno e mezzo a leggere l’Antico e il Nuovo Testamento.
Si riavvicina al mistero del Dio-Crocifisso, un Dio che non se ne sta lassù a guardare dal cielo le sofferenze umane, ma che si fa “compagno” del dolore degli uomini condividendolo nella carne.
Madeleine racconta così la propria conversione: “Triste, angosciata, inquieta… decisi di pregare… non potevo più lasciare Dio nell’assurdo”. E la preghiera conduce la giovane Madeleine dal Nulla del mondo al Tutto di Dio. “A vent’anni fui letteralmente “abbagliata da Dio” – confesserà anni più tardi – ciò che avevo trovato in Lui non l’avevo trovato in nient’altro”. “E’ l’abate Lorenzo che, per me, ha fatto esplodere il Vangelo… Esso è diventato non soltanto il libro del Signore vivente, ma il libro del Signore da vivere”. Un Signore che scopre stare dalla parte della vita. Il suo slogan non è più: “Dio è morto viva la morte!” bensì “Dio vive, viva la vita!”. La sua ossessione per la morte cedette il passo ad una passione per la vita. E insieme la scoperta che Dio non negava tutto questo. Danza, poesia, musica, letteratura, teatro, filosofia… “Ormai considero la vita come i preludi delle splendide sonate che si aspettano in seguito. Nel preludio è già contenuta tutta la loro potente ricchezza”. Ora che vede la vita in questo modo “ogni minuto acquista un’importanza singolare”.
Il mondo come Carmelo
In quella stagione (siamo nel 1925, anno delle canonizzazione di Teresa di Lisieux), la ricerca di fede la porta a pensare al Carmelo. Vi rinuncia anche per poter assistere i suoi genitori malati. Ma se il Carmelo non è possibile, allora ne segue inevitabilmente che il mondo dovrà diventare il suo Carmelo, il suo monastero.
Prega molto, si applica a vivere il Vangelo. Ed è lasciandosi plasmare, trasformare dal Vangelo che Madeleine trova quella che potrà essere la sua strada.
Con una ventina di ragazze del gruppo scout (il cappellano è l’abbè Lorenzo) nel quale si è buttata a capofitto (1926), passa poi a formare un gruppo detto «Carità», nel ricordo dell’impresa di san Vincenzo de’ Paoli che aveva dato questo nome alle comunità di donne che si prendevano cura dei malati e degli emarginati. Ha un solo progetto chiaro: «Essere volontariamente di Dio, quanto una creatura umana può volere appartenere a colui che ama. Essere volontariamente proprietà di Dio, nella stessa maniera totale, esclusiva, definitiva, pubblica con cui lo diviene una religiosa che si consacra a Dio». In altre parole: ciò che di più profondo c’è nel sacramento del matrimonio e ciò che di più totale c’è nella vocazione religiosa, ella vuole viverlo nel mondo. A tale scopo, la scelta della verginità è indiscutibile (e ciò rende necessario anche un orientamento contemplativo), ma ella vivrà tutto ciò senza allontanarsi dal mondo.
E’ ancora il Vangelo che indica la strada. Il Vangelo divenuto “non solamente il libro del Signore Vivente ma anche il libro del Signore da vivere!”.
Il suo progetto è di «far calare i consigli evangelici nella vita laica, votarsi cioè alle beatitudini in un dono totale di sé, non per vivere tagliata fuori dal mondo ma nel mondo».Come vivere lo spirito delle Beatitudini nel cuore di un mondo ignorante di Cristo, senza essere obbligati da certe disposizioni istituzionali a separarsene? L’esigenza missionaria di Madeleine richiedeva più elasticità e più disponibilità. Occorreva immaginare forme future di una nuova vita comunitaria e religiosa.
Siamo in un tempo in cui l’accostamento di questi termini sembra ancora strano; non esistono ancora i moderni «istituti secolari» e non si immagina nemmeno la possibilità di una vita comune tra cristiani laici. La “via della perfezione” esigeva la “fuga mundi”. Madeleine sceglie invece un lavoro che la possa tenere a stretto contatto con i poveri, assoggettandosi agli studi necessari per divenire assistente sociale. Nel 1930 ciò significa essere destinate ai bassifondi delle città dove si ammassano poveri e operai, il vero proletariato, soggetto a sfruttamento, che pone nel marxismo le proprie speranze di riscatto. Quei poveri che “non sono soltanto fratelli da amare come fratelli ma come i nostri padroni perché il povero è il nostro Signore”.
A Ivry
Nel 1933, pur restando laica, decide di consacrarsi al Signore e il 15 ottobre – festa di santa Teresa d’Avila – in place d’Italy parte per Ivry. Con lei ci sono due compagne: Hèlene e Suzanne. Davanti al tram in partenza per Ivry vi sono alcuni amici che portano fiori ed auguri. Le tre donne portano con loro una statua della Vergine Maria.
Anni di fermento
Sono anni importanti in Francia e in Europa: lo stesso anno Hitler raggiunge democraticamente il potere, una grave recessione economica e sociale avanza insieme al crescere dei regimi totalitari, i fermenti popolari portano in Francia ad un’alleanza nel Fronte Popolare fra socialisti e comunisti, i cui programmi erano distinti dagli anni ’20, Jacques Maritain pubblicava Umanesimo integrale, manifesto di filosofia politica che abbandonava il sogno di una restaurazione «teocratica» e sosteneva l’assunzione della democrazia e delle libertà moderne. Dal punto di vista religioso la Chiesa francese si trovò all’incrocio di diverse esperienze ed eredità: la distanza che si era creata già all’epoca della Rivoluzione rispetto ad ambienti illuministi e liberali, era aumentata notevolmente dai conflitti sociali. Gli ambienti operai e proletari erano sempre più lontani, mentre molti imprenditori, per niente disposti alle riforme, erano cattolici. Gli spiriti più avvertiti notavano il progressivo abbandono della pratica religiosa e l’isolamento delle comunità cattoliche. Nello stesso tempo, le profonde solidarietà sperimentate nella Resistenza, in tutte le sue forme, facevano sperare in nuovi linguaggi, reciprocamente comprensibili.
I poveri, gli operai e la sfida del marxismo
A Ivry – città segnata profondamente dalla rivoluzione industriale – Madeleine si confronta anzitutta con i poveri in carne ed ossa: il censimento di vent’anni prima stabiliva che a fronte di 13.000 abitanti duemila erano ammalati di tubercolosi. E poi con un marxismo trionfante. Ivry è “la capitale politica del Partito Comunista Francese”, sede del segretario generale del partito. Sugli edifici pubblici non c’è il tricolore, ma la bandiera rossa. I muri sono tappezzati di manifesti che invitano a film sovietici, conferenze ideologiche, battesimi civili, pasque rosse, e simili. L’amministrazione comunale – in fatto di alloggi e impieghi – privilegia gli iscritti al partito. Ci si saluta col pugno alzato. Dopo qualche diffidenza iniziale (all’inizio le tre donne dell’equipe vestono con una divisa simile agli scout ma capiscono di essere “pinguini” e scelgono abiti comuni per confondersi tra la gente; poco dopo si trasferiscono all’11 di Rue Raspail lasciando la casa offerta loro dalla parrocchia perché si rendono conto di essere fagocitate, in cambio dell’alloggio gratuito, dentro gli impegni parrocchiali) l’amministrazione comunista le offre un lavoro come assistente sociale: lei accetta e, giorno dopo giorno, ha la possibilità di scoprire quella miseria e quell’ingiustizia tanto combattute dai suoi «amici-avversari». Scopre che i cristiani sono rassegnati all’ingiustizia e che molti dei proprietari delle 310 fabbriche di Ivry sono cattolici che versano somme ingenti per la costruzione delle due nuove chiese ma ignorano deliberatamente la miseria dei 43 mila operai delle loro fabbriche.
In dialogo con i militanti
Alla luce del Vangelo, meditato ogni giorno, matura una chiara distinzione fra l’ideologia marxista, da rifiutare nettamente, e le persone concrete, che meritano attenzione e amore qualunque sia la loro militanza politica. Lotta a fianco dei comunisti in favore dei poveri e della giustizia, senza però confondere l’emancipazione del proletariato con l’ideale evangelico. Per lunghi anni si impegna nel servizio sociale; la sua casa è aperta a tutti. Scopre la dura realtà in cui vivono molte famiglie di operai, ma anche la generosità di numerosi militanti comunisti, con i quali collabora. La questione dei rapporti tra cattolici e comunisti non è teorizzata o discussa da Madeleine, ma risolta di schianto in base a un semplicissimo principio: «Dio non ha mai detto: Amerai il prossimo tuo come te stesso, eccetto i comunisti», perciò c’è solo da accogliere l’evidenza: i comunisti sono di fatto «il suo prossimo» più immediato. Perciò non li evita, come raccomandano i benpensanti, ed è pronta a riconoscere quel che c’è di buono – come aspirazione alla giustizia e dedizione reciproca – in quei rudi militanti della prima ora. E perfino pronta a un dialogo con loro quando si tratta di assistere i disoccupati. Si ferma soltanto quando si scontra col problema della violenza.
Noi gente della strada
Ancora una volta è il Vangelo a indicare loro che luogo della missione è la strada.
Con questi travagli, l’identità del gruppo si precisa. Nel 1938 Madeleine scrive un testo programmatico che resterà celebre (e che ella pubblica significativamente sulla rivista «Etudes Carmélitaines»). È intitolato: «Noi, gente della strada» e proclama che ci sono cristiani per i quali «la strada» – cioè: il pezzo di mondo in cui Dio, di volta in volta, li manda – «è il luogo della santità», come lo è il monastero per le persone consacrate. E’ la vocazione specifica della «gente qualunque», in un «luogo qualunque», che svolge «un lavoro qualunque», assieme ad altri «uomini qualunque» e che, tuttavia, «si tuffa in Dio» con lo stesso movimento con cui «si immerge nel mondo». Ma dove trovare il silenzio che le claustrali custodiscono nei loro monasteri? Madeleine spiega che nel mondo non è certo difficile trovare «ammassi umani dove l’odio, la cupidigia, l’alcool segnano il peccato», ma proprio qui diventa possibile esperimentare «un silenzio di deserto nel quale il nostro cuore si raccoglie con facilità estrema». E dove trovare la solitudine? Risponde: «La nostra solitudine non è essere soli… La nostra solitudine è incontrare Dio dovunque». Insomma, a Madeleine Gesù non dice soltanto: «Seguimi!», ma: «Seguimi in strada!», e le chiede di camminare con Lui, a fianco di tutti i poveri della terra, soprattutto di quelli che non sanno più dove portino i sentieri dell’esistenza. Se, dunque, il monastero è per lei semplicemente il mondo – senza distinzione tra spazi sacri e profani -, nemmeno la preghiera deve più distinguersi dall’azione, non perché si dimentichino i tempi dell’orazione, ma perché anche l’azione diventi preghiera. A chi le obietta, secondo una mentalità assai diffusa, che non è possibile essere tutti di Dio quando si è chiamati a vivere da laici, in mezzo al mondo, Madeleine ribatte: «Non è concepibile che un Dio onnipotente, mentre vuole essere amato, dia ai suoi figli una vita nella quale non possano amarLo». Ritrovando i più begli insegnamenti di santa Teresa di Lisieux, ma compresi da laica, scrive: «Ogni piccola azione è un avvenimento immenso in cui ci è dato il paradiso e in cui possiamo dare il paradiso. Parlare o tacere, rammendare o fare una conferenza, curare un malato o battere a macchina. Tutto questo non è che la scorza di una realtà splendida: l’incontro dell’anima con Dio, incontro ogni minuto rinnovato, ogni minuto che diventa, nella grazia, sempre più bello per il proprio Dio. Suonano? Presto, andiamo ad aprire: è Dio che viene ad amarci. Una informazione?… Eccola: è Dio che viene ad amarci. È l’ora di mettersi a tavola? Andiamoci: è Dio che viene ad amarci. Lasciamolo fare».
Tra eremo e metropoli: testimoni di Dio nella città plurale.
E’ l’abbozzo – trent’anni prima del Vaticano II – di una spiritualità del quotidiano! Rifiutando la fondazione di una nuova comunità religiosa con proprie regole o con una consacrazione particolare, in realtà – molto prima del Concilio! – Madeleine fonda un nuovo statuto della condizione laicale o, meglio ancora, una sorta di monachesimo dell’età metropolitana. Eremo e metropoli per stare, da credenti, nella città plurale. Alla tradizionale descrizione del missionario vestito di bianco che sbarca su rive lontane e contempla la lunga distesa delle «terre non ancora battezzate», ella sostituisce un’altra immagine: “Il missionario, in abito o giacca o in impermeabile, dall’alto di una scalinata del metrò, vede di gradino in gradino, nell’ora di punta, una distesa di teste, distesa che freme aspettando l’apertura dei cancelli: una distesa di baschi, berretti, cappelli, copricapo di tutti i colori. Centinaia di teste, centinaia di anime. E noi lì in alto. E, più in alto, dappertutto, Dio…». E quando diceva che si poteva pregare ed essere missionari anche accalcati nel metrò, intendeva questo: «Signore, i miei occhi, le mie mani, la mia bocca sono tuoi. / Questa donna così triste davanti a me: ecco la mia bocca perché tu le sorrida. / Questo bambino quasi grigio, tanto è pallido: ecco i miei occhi perché tu lo guardi. / Quest’uomo così stanco: ecco tutto il mio corpo perché tu gli lasci il mio posto, ed ecco la mia bocca perché tu gli dica dolcemente: “Sedetevi”. / Questo ragazzo così fatuo, così sciocco, così duro, ecco il mio cuore perché tu lo ami, più di quanto non lo sia mai stato…». E, citando san Giovanni della Croce, spiegava: «Si semina Dio all’interno del mondo, sicuri che germoglierà da qualche parte, perché: “Dove non c’è amore, mettete amore e raccoglierete amore». Madaleine non si propone né di convertire né di lanciare anatemi. Conduce la vita ordinaria degli uomini e delle donne del quartiere guadagnandosi stima e fiducia. Rimane colpita dal fatto che in questo difficile contesto la Chiesa sia quasi del tutto assente. Le parrocchie sono ripiegate su se stesse, con una fede che lei giudica atrofizzata, mutilata.
La preghiera, la vita comune e la carità.
Con una convinzione: la fede non deve essere vissuta per essere donata – è dono di Dio, non nostro! – ma per farla esplodere dentro di noi.
Il filo conduttore della sua vita spirituale è la preghiera: ne parla in termini profondi e appassionati, ma insieme suggerisce modi molto semplici per praticarla in mezzo alle occupazioni quotidiane. Si può pregare sul metrò, durante l’attesa dell’autobus e mentre si sbrigano le faccende di casa. In uno scritto del 1956 Madeleine dichiara: «Senza la preghiera, non ameremmo il Dio d’amore. Saremmo forse i suoi servitori, i suoi combattenti, perfino i suoi discepoli; ma non saremmo né dei bambini che amano il Padre, né gli amici o gli innamorati di Gesù Cristo. Qualunque sia la forma della preghiera, è attraverso di essa che incontriamo il Dio vivo, il Cristo vivo.”
Come avevano auspicato all’inizio, sarebbero state le normali circostanze della vita a indicare loro nel modo migliore la linea di condotta. Due riferimenti: Charles de Foucauld e Teresa di Lisieux. Laiche, semplici cristiane, legate a Gesù Cristo dal vincolo del battesimo, esse non pensano a far voti ma vogliono mettere al centro della loro vita i precetti del Vangelo. “Va vendi…” Né individualmente né collettivamente saranno proprietarie. Condizione da salariate – tutto in comune – preferenza per incarichi modesti. Non si tratterà in alcun modo di far carriera.
La vita comune è fondata sulla carità fraterna: la vita di preghiera, che si vuole intensa, sarà vissuta il più spesso in solitudine. Unico elemento istituzionale è un ricorso comunitario al Vangelo. Ogni settimana si dedicherà una serata ad accoglierne insieme gli insegnamenti e a confrontare con esso la vita. Perché, ancora una volta, è il Vangelo a indicare la via. Al processo per la sua beatificazione un’amica ha reso questa bella testimonianza: «Una volta conosciuta Madeleine non la si può più separare dal libricino che era la sua vita. Tutto il suo essere è stato plasmato dal Vangelo, e ad esso faceva continuamente riferimento in modo naturale, spontaneo, nella maniera più concreta». Grazie alla guida di padre Lorenzo che le trasmette il gusto di una lettura orante, comprende che leggere il Vangelo significa incontrare la persona viva di Gesù Cristo: «Quando padre Lorenzo parlava del Cristo, il più delle volte diceva: il Signore Gesù. Il Vangelo era il Signore Gesù che si faceva conoscere; il Vangelo era il Signore Gesù che potevamo amare con tutta la passione terrena e insieme con tutta la carità del cielo». E aggiunge: «Il Vangelo va letto come si mangia il pane. Non si può incontrare Gesù per conoscerlo, amarlo, imitarlo, senza un ricorso continuo, concreto e ostinato al Vangelo».
Francia, terra di missione
Tutto questo avviene mentre la chiesa francese – guidata dal cardinal Suhard, arcivescovo di Parigi – con grande acutezza intuisce che la Francia sta diventando «terra di missione». Egli dichiara: «Un muro divide la Chiesa dalle masse. Bisogna abbatterlo a ogni costo per riportare a Cristo le folle che lo hanno smarrito».
Madeleine è convinta che sia possibile vivere e annunciare il Vangelo anche in questa nuova situazione, ma solo a tre condizioni:
. assimilare personalmente la fede e lo spirito evangelico, senza annacquamenti;
· accettare una certa solitudine, quel «deserto» che sono le strade piene di gente in attesa di salvezza;
· scommettere sul valore di una evangelizzazione «nascosta», che esige dai cristiani di immergersi nella vita quotidiana per imprimervi la forza e la novità del Vangelo. Da Charles de Foucauld impara che si deve comunicare l’amore di Dio anzitutto con il linguaggio della fraternità.
Semplicemente…laiche
Intanto il suo gruppo, la sua piccola comunità, continua la ricerca di una identità: tutti cominciano a chiedersi quale sia il «posto» che essa occupa nella Chiesa. C’è chi vorrebbe che Madeleine aggregasse la sua comunità a qualche ordine religioso già esistente o a qualche organizzazione ecclesiale. Come si può lasciare una comunità di vergini, protese all’amore di Cristo e al servizio ecclesiale, senza nessuna regola e nessuna salvaguardia giuridica? Tentata per un attimo dall’idea di creare un nuovo Ordine religioso, vi rinuncia con questa motivazione: «Noi siamo veramente laiche, non abbiamo altri voti se non le promesse del nostro battesimo. Siamo un gruppo di donne laiche, anche se ciascuna di noi si è donata interamente a Cristo per tentare di vivere e di stare in mezzo a coloro che non lo conoscono».
Per fortuna, a Roma, un monsignore francese che ha una qualche influenza protegge la comunità con la sua amicizia e la sua guida. Si chiama mons. Veuillot. In seguito diventerà Cardinale Segretario di Stato di Paolo VI. Nel 1956 costui pone a Madeleine la domanda decisiva: che cosa pensa «lei stessa, per lei stessa?». Di getto scrive un testo in cui le frasi si susseguono tutte ritmate da un appassionato: «Avrei voluto…». «Avrei voluto unicamente, appartenere interamente ed esclusivamente a Gesù, Nostro Signore e nostro Dio; avrei voluto provare a vivere il suo Vangelo, essere completamente disponibile alla sua volontà, nel più intimo della Chiesa e per la salvezza dell’uomo… Avrei voluto che ciò bastasse a spiegare tutto». Senza saperlo, però, Madeleine non sta soltanto offrendo alla Chiesa un fedele in più che prende sul serio la vocazione alla santità: sta descrivendo un «nuovo tipo di cristiano» tutto appartenente a Gesù e tutto innestato nel mondo. Oggi, perfino i Dizionari di Teologia già citano tale nuova «tipologia» offerta da Madeleine e sintetizzano il suo insegnamento in questo testo: «Quando teniamo il Vangelo tra le mani, dobbiamo pensare che lì abiti il Verbo che vuole farsi carne in noi, impadronirsi di noi, perché con il Suo cuore innestato nel nostro cuore e con il Suo Spirito comunicante col nostro spirito, noi diamo nuovo inizio alla Sua vita in un altro luogo, in un altro tempo, in un’altra società».
Piccole comunità secondo il Vangelo
La casa in rue Raspail è, in questi anni, una casa viva: sempre aperta al quartiere, accogliente con gli immigrati (che siano italiani, algerini o profughi spagnoli), pronta a sostenere chi sciopera, a raccogliere le firme contro la scelta americana di mettere a morte i coniugi Rosenberg, ad aderire alle campagne di Pax Christi. La casa vuole essere il segno di quelle “piccole comunità secondo il Vangelo” che rappresentavano la risposta al desiderio di vita e di Evangelo del tempo.
Madaleine negli anni cinquanta viene invitata spesso a parlare della sua testimonianza in vari gruppi (“mi sento un commesso viaggiatore della Parola” scrive un giorno); gli appunti dei suoi interventi, minuziosamente preparati, insieme alle numerose lettere, costituiscono una documentazione preziosa che testimonia lo sviluppo del suo pensiero e del suo cammino spirituale.
Negli anni Cinquanta soffre molto per le tensioni sorte a proposito dell’esperienza dei preti-operai: si inquieta per le imprudenze di alcuni di loro, ma anche per il rifiuto pregiudiziale che certi ambienti ecclesiastici dimostrano per questo nuovo tipo di missione. Quando l’esperienza viene bloccata da Roma, ella ne è rattristata ma invita tutti i suoi amici all’obbedienza filiale verso la Chiesa e li incoraggia a mantenere viva la speranza.
Il mio augurio è che siate veramente libere
Madaleine muore il 13 ottobre 1964, mentre si sta celebrando il Concilio Vaticano II indetto da Giovanni XXIII, un papa che lei ha apprezzato molto per la sua coraggiosa semplicità. Nel suo messale, le compagne trovarono alcune parole risalenti a dieci anni prima, e da lei scritte per commemorare il trentesimo anniversario della propria “conversione”. Per segnare il proprio radicale abbandono a Dio, maturato in quegli anni, aveva scritto: “Io voglio ciò che tu vuoi/senza chiedermi se lo posso/senza chiedermi se lo desidero/senza chiedermi se lo voglio”).
Il programma che lasciava alle sue figlie e a innumerevoli amici – per giungere a tanta assolutezza – poteva essere espresso con una frase soltanto: “Leggere il vangelo – tenuto dalle mani della Chiesa – come si mangia il pane”.
Nei suoi documenti fu rinvenuto il suo testamento, sottoforma di semplice consiglio, destinato alle sue amiche: “vi lascio un parere: non sia il mio ricordo a farvelo seguire.. poiché il mio augurio è che voi siate veramente libere”.
Daniele Rocchetti
Bibliografia essenziale
L’editrice francese “Nouvelle Cité” ha iniziato la pubblicazione integrale delle Œuvres complètes de Madeleine Delbrêl, di cui segnaliamo i primi due volumi:
Tome I, Éblouie par Dieu, Correspondance, volume 1: 1910-1941, Montrouge 2004.
Tome II, S’unir au Christ en plein monde, Correspondance, volume 2: 1942-1952, Montrouge 2004.
Antologie in italiano
Noi delle strade, Gribaudi, Torino 1988.
La gioia di credere, Gribaudi, Torino 1988.
Comunità secondo il Vangelo, Gribaudi, Torino 19964.
Indivisibile Amore. Pensieri di una cristiana controcorrente, Piemme, Casale Monferrato 1994.
Il piccolo monaco. Un taccuino spirituale, Gribaudi, Torino 1990.
E’ stato il mondo a farci così timidi? Uno scritto inedito, Berti, Piacenza 1999.
Missionari senza battello. Le radici della missione, Messaggero, Padova 2004.
Per una introduzione alla sua spiritualità: biografie e profili
Boismarmin, Christine De, Madeleine Delbrêl (1904-1964). Strade di città, sentieri di Dio, Città Nuova, Roma 1988.
Guéguen, Jean, Madeleine Delbrêl. Una mistica nel mondo, Massimo, Milano 1997.
Mann, Charles, Madeleine Delbrêl. Una vita senza frontiere, Gribaudi, Torino 2004.
Coppadoro, Maria Luisa, Madeleine Delbrêl. Maestra di preghiera, Ancora, Milano 19992.
Loew, Jacques, “Madeleine Delbrêl. «La strana danza della nostra obbedienza»”, in: Preghiera e vita. Grandi modelli, Morcelliana, Brescia 1989, 113-159.
Idem, Dall’ateismo alla mistica. Madeleine Delbrêl, Dehoniane, Bologna 1996.
Pitaud, Bernard, Il Cristo della porta accanto. Meditiamo con Madeleine Delbrêl, Paoline, Milano 2000.
Zorzi, Diego, Madeleine Delbrêl. Una “donna teologale” nella città marxista, Berti, Piacenza 1997.
“Madeleine Delbrêl et l’incroyance”: Revue d’éthique et de théologie morale. «Le Supplément», n° 198, septembre 1996, 150 p. (Colloque Institut catholique de Toulouse et Association des Amis de Madeleine Delbrêl, 27-28 octobre 1994).
Gilles François, Bernard Pitaud, Agnès Spycket, Madeleine Delbrêl connue et inconnue, le livre du centenaire, Montrouge 2004.
Da segnalare il bollettino “Les Amis de Madeleine Delbrêl” – edito anche in lingua italiana (per riceverlo scrivere a: 11, rue Raspail – 94200 Ivry-sur-Seine – Francia) e il sito internet del centenario (http://www.madeleine-delbrel.net/ ).
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NOI DELLE STRADE (1938)
Ci sono luoghi in cui soffia lo Spirito,
ma c’è uno Spirito che soffia in tutti i luoghi.
C’è gente che Dio prende e mette da parte.
Ma ce n’è altra che egli lascia nella moltitudine, che non «ritira dal mondo».
E’ gente che fa un lavoro ordinario, che ha una famiglia ordinaria o che vive un’ordinaria vita da celibe. Gente che ha malattie ordinarie, lutti ordinari. Gente che ha una casa ordinaria, vestiti ordinari. E’ la gente della vita ordinaria. Gente che s’incontra in una qualsiasi strada.
Costoro amano il loro uscio che si apre sulla via, come i loro fratelli invisibili al mondo amano la porta che si è rinchiusa definitivamente dietro di loro.
Noialtri, gente della strada, crediamo con tutte le nostre forze che questa strada, che questo mondo dove Dio ci ha messi è per noi il luogo della nostra santità.
Noi crediamo che niente di necessario ci manca, perché se questo necessario ci mancasse Dio ce lo avrebbe già dato.
Il silenzio
Il silenzio non ci manca, perché lo abbiamo. Il giorno in cui ci mancasse, significherebbe che non abbiamo saputo prendercelo.
Tutti i rumori che ci circondano fanno molto meno strepito di noi stessi.
Il vero rumore è l’eco che le cose hanno in noi. Non è il parlare che rompe inevitabilmente il silenzio. Il silenzio è la sede della Parola di Dio, e se, quando parliamo, ci limitiamo a ripetere quella parola, non cessiamo di tacere.
I monasteri appaiono come i luoghi della lode e come i luoghi del silenzio necessario alla lode.
Nella strada, stretti dalla folla, noi disponiamo le nostre anime come altrettante cavità di silenzio dove la Parola di Dio può riposarsi e risuonare.
In certi ammassi umani dove l’odio, la cupidigia, l’alcool segnano il peccato, conosciamo un silenzio da deserto e il nostro cuore si raccoglie con una facilità estrema perché Dio vi faccia risuonare il suo nome: «Vox clamans in deserto».
Solitudine
A noi gente della strada sembra che la solitudine non sia l’assenza del mondo ma la presenza di Dio.
E’ l’incontrarlo dovunque che fa la nostra solitudine.
Essere veramente soli è, per noi, partecipare alla solitudine di Dio.
Egli è così grande che non lascia posto a nessun altro, se non in lui. Il mondo intero è come un faccia a faccia con lui dal quale non possiamo evadere.
Incontro della sua causalità viva dove le strade si intersecano accese di movimento.
Incontro con la sua orma sulla terra.
Incontro della sua Provvidenza nelle leggi scientifiche.
Incontro del Cristo in tutti questi «piccoli che sono suoi»: quelli che soffrono nel corpo, quelli che sono presi dal tedio, quelli che si preoccupano, quelli che mancano di qualcosa.
Incontro con il Cristo respinto, nel peccato dai mille volti.
Come avremmo cuore di deriderli o di odiarli, questi infiniti peccatori ai quali passiamo accanto?
Solitudine di Dio nella carità fraterna: il Cristo che serve il Cristo; il Cristo in colui che serve, il Cristo in colui che è servito.
L’apostolato come potrebbe essere per noi una dissipazione o uno strepito?
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IL BALLO DELL’OBBEDIENZA (1949)
Noi abbiamo suonato il flauto
e voi non avete danzato
E’ il 14 luglio
Tutti si apprestano a danzare.
Dappertutto, dopo mesi, dopo anni, il mondo danza
Ondate di guerra, ondate di ballo.
C’è proprio molto rumore.
La gente seria è a letto.
I religiosi recitano il mattutino di sant’Enrico, re.
E io, penso
All’altro re.
Al re Davide che danzava davanti all’Arca.
Perché se ci sono molti santi che non amano danzare
Ce ne sono molti altri che hanno avuto bisogno di danzare,
Tanto erano felici di vivere:
Santa Teresa con le sue nacchere,
San Giovanni della Croce con un Bambino Gesù tra le braccia,
E san Francesco, davanti al papa.
Se noi fossimo contenti di te, Signore,
Non potremmo resistere
A questo bisogno di danzare che irrompe nel mondo,
E indovineremmo facilmente
Quale danza ti piace farci danzare
Sposando i passi che la tua Provvidenza ha segnato.
Perché io penso che tu forse ne abbia abbastanza
Della gente che, sempre, parla di servirti
con l’aria da capitano,
Di conoscerti con aria da professore,
Di raggiungerti con regole sportive,
Di amarti come ci si ama in un matrimonio invecchiato.
Un giorno in cui avevi un po’ voglia d’altro
Hai inventato san Francesco,
E ne hai fatto il tuo giullare.
Spetta a noi ora di lasciarci inventare
Per essere gente allegra che danza la propria vita con te.
Per essere un buon danzatore, con te come con tutti,
Non occorre sapere dove la danza conduce.
Basta seguire,
Essere gioioso,
Essere leggero,
E soprattutto non essere rigido.
Non occorre chiederti spiegazioni
Sui passi che ti piace fare.
Bisogna essere come un prolungamento,
Vivo ed agile, di te.
E ricevere da te la trasmissione del ritmo che l’orchestra
scandisce.
Non bisogna volere avanzare a tutti i costi,
Ma accettare di girarsi, di andare di fianco.
Bisogna sapersi fermare e sapere scivolare invece di
camminare.
Ma non sarebbero che passi senza senso
Se la musica non ne facesse un’armonia.
Ma noi dimentichiamo la musica del tuo Spirito,
E facciamo della nostra vita un esercizio di ginnastica;
Dimentichiamo che fra le tue braccia la vita è danza,
Che la tua Santa Volontà
E’ di una inconcepibile fantasia,
E che non c’è monotonia e noia
Se non per le anime vecchie,
Che fanno tappezzeria
Nel ballo gioioso del tuo amore.
Signore, Vieni a invitarci.
Siamo pronti a danzarti questa corsa da fare,
Questi conti, il pranzo da preparare, questa veglia in
cui avremo sonno.
Siamo pronti a danzarti la danza del lavoro,
Quella del caldo, e quella del freddo, più tardi.
Se certe arie sono spesso in minore, non ti diremo
Che sono tristi;
Se altre ci fanno un poco ansimare, non ti diremo
Che sono logoranti.
E se qualcuno ci urta, la prenderemo in ridere;
Sapendo bene che questo capita sempre quando si danza.
Signore, insegnaci il posto
Che tiene, nel romanzo eterno
Avviato fra te e noi,
Il ballo singolare della nostra obbedienza.
Rivelaci la grande orchestra dei tuoi disegni;
In essa quel che tu permetti
Dà suoni strani
Nella serenità di quel che tu vuoi.
Insegnaci a indossare ogni giorno
la nostra condizione umana
Come un vestito da ballo che ci farà amare da te,
tutti i suoi dettagli
Come indispensabili gioielli.
Facci vivere la nostra vita,
Non come un gioco di scacchi dove tutto è calcolato,
Non come una match dove tutto è difficile,
Non come un teorema rompicapo,
Ma come una festa senza fine
in cui l’incontro con te si rinnova,
Come un ballo,
Come una danza,
Fra le braccia della tua grazia,
Nella musica universale dell’amore.
Signore, vieni a invitarci.
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SPIRITUALITÀ DELLA BICICLETTA
“Andate…” dici a ogni svolta del Vangelo.
Per essere con Te sulla Tua strada occorre andare
anche quando la nostra pigrizia ci scongiura di sostare.
Tu ci hai scelto per essere in un equilibrio strano.
Un equilibrio che non può stabilirsi né tenersi
se non in movimento,
se non in uno slancio.
Un po’ come in bicicletta che non sta su senza girare,
una bicicletta che resta appoggiata contro un muro
finché qualcuno non la inforca
per farla correre veloce sulla strada.
La condizione che ci è data è un’insicurezza universale,
vertiginosa.
Non appena cominciamo a guardarla,
la nostra vita oscilla, sfugge.
Noi non possiamo star dritti se non per marciare, se non per tuffarci,
in uno slancio di carità.
Tutti i santi che ci sono dati per modello,
o almeno molti,
erano sotto il regime delle Assicurazioni,
una specie di Società assicurativa spirituale che li garantiva
contro rischi e malattie,
che prendeva a suo carico anche i loro parti spirituali.
Avevano tempi ufficiali per pregare
e metodi per fare penitenza, tutto un codice di consigli
e di divieti.
Ma per noi
è in un liberalismo un poco pazzo
che gioca l’avventura della tua grazia.
Tu ti rifiuti di fornirci una carta stradale.
Il nostro cammino si fa di notte.
Ciascun atto da fare a suo turno s’illumina
come uno scatto di segnali.
Spesso la sola cosa garantita è questa fatica regolare
dello stesso lavoro ogni giorno da fare
della stessa vita da ricominciare
degli stessi difetti da correggere
delle stesse sciocchezze da non fare.
Ma al di là di questa garanzia
tutto il resto è lasciato alla tua fantasia
che vi si mette a suo agio con noi.
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Tu ci hai condotto stanotte in questo bar che ha nome “chiaro di luna”.
Volevi esserci Tu, in noi,
per qualche ora, stanotte.
Tu avevi voglia di incontrare,
attraverso le nostre povere sembianze,
attraverso il nostro miope sguardo,
attraverso i nostri cuori che non sanno amare,
tutte queste persone venute ad ammazzare il tempo.
E poiché i tuoi occhi si svegliano nei nostri,
il tuo cuore si apre nel nostro cuore,
noi sentiamo il nostro labile amore
aprirsi in noi come una rosa espansa,
approfondirsi come un rifugio immenso e dolce
per tutte queste persone,
la cui vita palpita intorno a noi.
Allora il bar non è più un luogo profano,
quell’angolo di mondo che sembrava voltarti le spalle.
Sappiamo che, per mezzo di Te, noi siamo diventati
la cerniera di carne,
la cerniera di grazia,
che lo costringe a ruotare su di sé ,
a orientarsi suo malgrado,
e in piena notte,
verso il Padre di ogni vita.
In noi si realizza il sacramento del tuo amore.
Ci leghiamo a Te
con tutta la forza della nostra fede oscura,
ci leghiamo a loro
con la forza di questo cuore che batte per Te,
Ti amiamo,
li amiamo,
perché si faccia di noi tutti una cosa sola.
In noi, attira tutto a Te…
Attira il vecchio pianista,
dimentico del posto in cui si trova
e suona soltanto per la gioia di suonare bene;
la violinista che ci disprezza e offre in vendita
ogni colpo d’archetto,
il chitarrista e quello che suona la fisarmonica
che fan della musica senza saperci amare.
Attira quest’uomo triste, che ci racconta storie
cosiddette gaie;
attira il bevitore che scende barcollando
la scala del primo piano;
attira questi esseri accasciati, isolati dietro un tavolo
e che sono qui soltanto per non essere altrove;
attirali in noi perché incontrino Te,
Tu, il solo che ha diritto di avere pietà.
Dilataci il cuore, perché vi stiano tutti;
incidili in questo cuore,
perché vi rimangano iscritti per sempre.
Tu fra poco ci condurrai
Sulla piazza ingombra di baracconi da fiera.
Sarà mezzanotte o più tardi.
Soli resteranno sul marciapiede
Quelli per cui la strada è il focolare,
quelli per cui la strada è la bottega.
Che i sussulti del Tuo cuore affondino i nostri
Più a fondo dei marciapiedi,
perché i loro tristi passi
camminino sul nostro amore
e il nostro amore
gl’impedisca di sprofondare più a fondo
nello spessore del male.
Resteranno, intorno alla piazza,
tutti i mercanti di illusioni,
venditori di false paure, di falsi sports,
di fase acrobazie, di false mostruosità.
Venderanno i loro falsi mezzi di uccidere la noia,
quella vera, che rende simili tutti i volti scuri.
Facci esultare nella Tua verità e sorridere loro
Un sorriso sincero di carità.
Più tardi saliremo sull’ultimo metrò.
Delle persone vi dormiranno.
Porteranno impresso su di sé
Un mistero di pena e di peccato.
Sulle banchine delle stazioni quasi deserte,
anziani operai,
deboli, disfatti, aspetteranno che i treni si fermino
per lavorare e riparare le vie sotterranee.
E i nostri cuori andranno sempre dilatandosi,
sempre più pesanti
del peso di molteplici incontri,
sempre più grevi del Tuo amore,
impastati di Te,
popolati dai nostri fratelli, gli uomini.
Perché il mondo
Non sempre è un ostacolo a pregare per il mondo.
Se certuni lo devono lasciare per trovarlo
E sollevarlo verso il cielo,
altri visi devono immergere
per levarsi
con lui
verso il medesimo cielo.
Nel cavo dei peccati del mondo
Tu fissi loro un appuntamento:
incollati al peccato,
con Te essi vivono
un cielo che li respinge e li attira.
Mentre Tu continui
A visitare in loro la nostra scura terra,
con Te essi scalano il cielo,
votati a un’assunzione pesante,
inguaiati nel fango, bruciati dal Tuo spirito,
legati a tutti,
legati a Te,
incaricati di respirare nella vita eterna,
come alberi con radici che affondano.
Daniele Rocchetti