
S’è fatto vivo, dal carcere di San Quintino in California dove soggiorna a vita, anche Michael Wayne Hunter: una lettera alle suore, indirizzata “Mother House, Kolkata”, per congratularsi e ricordare l’incontro che gli ha cambiato la vita. È accaduto, come ha scritto lui stesso, nell’estate dell’87. Lui stava compiendo il terzo anno nel braccio della morte, in attesa di esecuzione per aver ucciso suo padre.
«Mi stavo mettendo le scarpe da tennis per giocare a pallacanestro», scrive Michael (in California ci sono le camere a gas, ma anche le palestre per i morituri), «quando una guardia mi disse: meglio che non vada a giocare, Hunter. Ti perderai Madre Teresa. Viene stamane a incontrare voi detenuti».
Il vantaggio di essere un morto che cammina, ricorda Hunter, è che non devi rispettare nessuna convenzione sociale. «E chi se ne frega. Io vado a giocare. Se Madre Teresa vuol vedermi, può venire a giocare anche lei».
Un’ora dopo, finita la partita, mentre lo accompagnavano nella sua cella con altri condannati, le guardie hanno deviato per la stanza dei colloqui.
«Madre Teresa è rimasta qui. Vuole vedervi». La vecchietta aveva saputo di quei condannati a morte assenti all’incontro. «Li aspetto», aveva detto. E, con imbarazzo di tutti, era rimasta lì, sgranando la corona del Rosario.
«Così, al di là del vetro, ho visto quella donnina che sembrava centenaria.
Era proprio lei. Aveva occhi penetranti, che mi guardavano con incredibile vitalità e simpatia. Mi sorrise, benedisse una medaglietta e me la diede.
Ebbi solo la forza di dire: grazie, Madre. Poi dovetti lasciare il posto agli altri condannati a morte: ciascuno ebbe una medaglietta. Mi feci
coraggio: me ne da’ un’altra? Per mia cognata? La vecchietta sorrise, benedì un’altra medaglia e benedì anche me. Posò per una foto con le guardie; si mise in posa con grande professionalità, si vedeva che era abituata a farsi fotografare accanto alle personalità del mondo. Prima di andarsene, ammonì le guardie: “Ciò che fate a questi uomini, lo fate a Dio”».
Per due giorni, ricorda Michael Hunter, la guardie furono umane. Lui mandò la seconda medaglietta alla cognata, la prima a sua moglie Terri («Anche lei si chiama Teresa»), che la portò ad una catenella da collo. Ma non credeva, Hunter, che quella medaglietta facesse miracoli.
Fino al 1989 – quinto anno in attesa di esecuzione – quando sua moglie disse che voleva il divorzio. «Ti voglio bene, ma non posso restare legata a un uomo che sta per morire», gli disse nella stanza dei colloqui. «Fu uno dei peggiori momenti della mia vita, ma capivo Terri. Divorziammo subito dopo il rigetto del mio appello da parte della Corte Suprema. Era la fine». Hunter chiese a Terri un favore: avere la medaglietta: «Resta tua, si capisce. La riavrai quando mi avranno liquidato. Ma mi darà forza».
A causa della medaglietta, i due ripresero a scriversi. Terri tornò a visitare Hunter ogni volta che poteva. «Mia moglie è ridiventata parte della mia vita ancor più di prima», scrive Hunter. «Poco prima dell’esecuzione di un mio amico, Bob Harris, Madre Teresa chiede la grazia per lui. Non fu concessa. Ma sapemmo che lei non ci aveva dimenticato». La condanna di Hunter, invece, è stata commutata in ergastolo. E’ persino diventato uno scrittore, molto impegnato contro la pena di morte. Hunter tiene ancora al collo quella medaglietta.