Matrimoni combinati e mutilazioni tra diritto e clan

Foto di vargazs da Pixabay

Donne immigrate che vivono tra noi condannate a morte per aver voluto essere  libere. Sentirsi italiane. Sperare che i loro figli crescano come cittadini  italiani. E se il boia non e’ il padre, il marito o lo zio come nel caso di  Hina, la disperazione le porta a togliersi la vita da sole, come fece Kaur.

Un terribile gesto probabilmente per non subire, qui in Italia, l’onta della  sua riduzione a schiava di un anziano settantenne impostole come marito dai  suoi familiari. Forse per salvaguardare agli occhi dei figlioletti, per la  gran parte simili ai loro coetanei autoctoni, l’immagine di una madre  orgogliosa della propria autonomia. Certamente il suicidio di Kaur attesta  in modo inequivocabile che le tragedie femminili legate ai matrimoni  combinati, ai matrimoni poligamici, alle mutilazioni genitali femminili,  all’imposizione del velo e, più in generale, all’assoluto rifiuto della loro  integrazione in seno alla società italiana, riconducono a tradizioni  culturali arcaiche che, all’insegna del maschilismo e della misoginia,  discriminano, violentano e uccidono le donne in modo trasversale rispetto  alla loro appartenenza confessionale, etnica e nazionale. Dobbiamo quindi  liberarci del pregiudizio e dello stereotipo che individua nell’islam come  religione la causa di un insieme di comportamenti disumani ma che in realtà  sono preesistenti all’islam e sono diffusi tra popolazioni non musulmane.

Comprese ormai anche quelle occidentali al cui interno, come frutto della  globalizzazione, convivono comunità immigrate con seri problemi di rigetto  dei valori fondamentali condivisi e della comune identità collettiva.

Anche se è un dato di fatto che taluni ambiti islamici, quali le società  sottoposte a regimi teocratici o le moschee monopolizzate dagli estremisti  in Occidente, si connotano per una più sistematica e codificata  discriminazione della donna. Non è un mistero che anche nelle moschee  d’Italia si arrangiano matrimoni combinati, con liste di aspiranti mariti e  mogli che l’imam gestisce e unisce a sua discrezione, così come si celebrano  matrimoni poligamici che, non avendo alcun valore per lo stato civile,  vengono sostanzialmente tollerati. Fregandosene del fatto che la donna viene  relegata a organo sessuale, oggetto per la riproduzione, merce di scambio al  servizio di interessi familiari e di clan. Le vittime predilette sono  ovviamente le più giovani. Secondo il Centro internazionale di ricerca sulle  donne (www.icrw.org) solo nel 2003 oltre 51 milioni di minorenni, al di sotto dei  18 anni, sono state costrette a sposarsi e si prevede che la cifra salirà a  100 milioni entro dieci anni. Citiamo alcuni dati: nello stato indiano del  Rajastan, il 56% delle donne è stata costretta a sposarsi quando non aveva  ancora 15 anni; una percentuale che è del 50% in Etiopia, Uganda e Mali, del  40% nel Nepal, del 74% nella Repubblica democratica del Congo, del 70% nel  Niger, del 28% in Iraq, del 25% in Siria e del 24% nello Yemen.

Ma questa drammatica realtà ormai ci appartiene. Secondo il Gruppo femminile  per l’abolizione delle mutilazioni genitali (Gams), nei 14 dipartimenti di  Francia più interessati a questa barbara violazione dell’integrità fisica  della donna, circa 70 mila minorenni sono state costrette al matrimonio  combinato. Tra loro spiccano ragazze originarie del Mali, Mauritania,  Senegal, Marocco, Tunisia, Algeria e Turchia. Da rilevare che la pratica dei  matrimoni combinati s’impone e opprime anche gli uomini. In Olanda il 70%  dei marocchini e dei turchi, al momento del matrimonio, tornano nel loro  villaggio d’origine e sposano un partner appartenente alla ristretta cerchia  familiare, tornando a vivere nei quartieri ghetto alle periferie di  Amsterdam e di Rotterdam, senza condividere i valori e aderire alla comune  identità collettiva olandese.

In Italia la tragiche fini di Hina e di Kaur ci insegnano che la situazione  delle donne immigrate non è sostanzialmente dissimile. Forse cambieranno le  percentuali, ma la radice del male, la cultura maschilista e misogina che si  annida nei ghetti etnici-confessionali- identitari, è la stessa. Per ora  solo la Norvegia ha messo fuorilegge il matrimonio combinato. In Belgio e in  Gran Bretagna se ne discute in parlamento.

In Italia vogliamo almeno  prendere atto di questa realtà? 

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Puo’ uno stato dichiarare inutile e non dignitosa una vita?