
“Mutilata” è la storia della tragica violenza subita da una bambina senegalese di soli sette anni, Khady. Una violenza che accomuna molte donne e che, secondo la tradizione africana,dovrebbe aumentare la fertilità femminile, garantire la purezza e la verginità delle ragazze e delle spose. Una violenza che in Africa prende il nome di Salindè ovvero ‘’purificazione per accedere alla preghiera” ma che in Italia è meglio conosciuta sotto il nome di infibulazione (parziale o totale asportazione dei genitali femminili esterni con parziale chiusura dell’area vaginale). Il libro, uscito da poco in Italia, racconta la vera storia di Khady, la sua convivenza con il dolore ed il percorso verso la consapevolezza della brutalità del rito. Khady, infatti, oggi ha 47 anni e nella sua vita ha trovato il coraggio, violando una delle ‘regole’ non scritte della sua gente, di abbandonare il marito che la picchiava e di divorziare, per schierarsi apertamente contro l’infibulazione, tanto da divenire presidente di Euronet, l’ organismo europeo che combatte le mutilazioni genitali femminili.
Khady, però, ha voluto andare oltre affinché la sua testimonianza valesse anche per tutte quelle donne che non riescono a ribellarsi e che continuano a soffrire. L’incontro con l’autrice avviene nella hall di un hotel, a Roma. La attendo seduta in un salottino insieme ad un’interprete. Khady infatti parla francese. Arriva puntuale, vestita con un elegante bouba marrone. E’ una bella donna. I suoi occhi neri lasciano intravedere una vena di imbarazzo. Non penso di chiederle della sua esperienza. Il libro è pieno di pagine che trasmettono emozioni e dettagli dei particolari. Le domando se conosce la situazione delle donne che praticano l’infibulazione in Italia, quali sono i modi migliori per accostarsi al problema e come agiscono le associazioni. Lei risponde: “In Italia ci sono molte donne somale ed il 98% di loro sono mutilate. Il nostro lavoro mira ad accendere la speranza affinché le figlie di queste donne non subiscano la stessa violenza.
‘In Italia lavoriamo con varie associazioni. A Roma c’è l’Associazione delle donne somale e Aidos che, però, lavora soprattutto sull’Africa. A Firenze collaboriamo con Nosotras e con l’Unicef e anche a Torino sono presenti altre associazioni. Il loro lavoro sul campo è molto intenso. Infatti si tratta di associazioni che intervengono non solo per quel che riguarda il problema delle mutilazioni sessuali, bensì sulla vita quotidiana delle donne. In Italia, inoltre, esiste una legge che regola il problema delle mutilazioni. Non è una legge semplice, è ricca di direttive che l’accompagnano. Spero solo non rimanga una di quelle leggi chiusa nei cassetti ma che venga applicata. Ancora non ho avuto la possibilità di incontrare donne dell’associazione italiana, la rete infatti non aveva abbastanza fondi per fralo. Quest’anno però spero di riuscire a fare il giro delle associazioni italiane per parlare delle varie situazioni e cercare di affrontare i problemi insieme”.
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Uno dei fili conduttori del libro e’ il camminare, che per Khady e’ anche una metafora della spinta a non arrendersi. “Da quando avevo sette anni ho camminato da Thies (la sua citta’ in Senegal) a New York passando per Roma Parigi e Londra. Non ho mai smesso di camminare, soprattutto dal giorno in cui le nonne sono venute a dirmi: oggi bambina mia ti purifichiamo”, scrive Khady nel suo libro, “Mutilata”. Khady non ha mai smesso di camminare. Non ha mai smesso di lottare contro questa pratica “assurda”: “E’ un vero sopruso aver tenuto le donne africane legate a questo rito che non ha assolutamente a che vedere con la religione. La vera ragione di questo atto e’ soltanto la volonta’ degli uomini di dominare e il principale obiettivo che ci prefiggiamo oggi e’ quello di informare. Informare dal punto di vista religioso e mettere a conoscenza tutte le donne delle conseguenze negative, sia mediche che psicologiche.
Il problema risiede alla base della nostra educazione secondo la quale una donna non sposata non e’ nulla. La realtà invece dimostra che le cose sono molte diverse. Sono tantissime oggi le donne che lavorano in Africa riuscendo a far mangiare tutta la famiglia. In Africa per fortuna le cose stanno cambiando. Molte famiglie iniziano a considerare le bambine al pari dei bambini. La famiglia è molto importante nella nostra cultura. Per me, anche a distanza di cinque mila chilometri, ha rappresentato la salvezza. Il messaggio che vorrei fare arrivare alle donne che leggono il mio libro e’ l’importanza della solidarietà femminile. Spesso infatti, anche a causa della poligamia, sono le donne che lottano contro altre donne. Neri, bianchi, gialli verdi, la violenza contro le donne esiste ovunque, in tutte le culture ed in tutti gli strati sociali. Tutte le donne dovrebbero avere diritto alla salute, all’istruzione e all’integrità fisica e morale del loro corpo. Solidarietà dovrebbe essere la parola chiave, solidarietà tra donne ma non solo. Bisogna parlare soprattutto con i giovani, sono loro la prossima generazione che può cambiare le cose.
Khady considera il suo libro uno strumento di riflessione e di dialogo: “Spero che questo libro diventi uno strumento di dialogo e di riflessione e non un mezzo di polemica. Le donne devono andare avanti nonostante la sofferenza, devono ingoiare la vergogna, il pudore e lavorare su se stesse. Ma questo non basta. E’ importante l’aiuto da parte di qualcuno che conosca sia la cultura d’origine che quella d’accoglienza e faccia da ponte tra le due. E’ per questo che le associazioni sono fondamentali ma hanno bisogno di aiuti economici”.