
«Quando avevo cinque anni, mia madre mi rivelò che ero stato
concepito con l’inseminazione artificiale»;
«I bambini che nascono hanno diritto di sapere chi sono i
loro genitori»; «Si sottovaluta l’importanza che ha per un
uomo sapere da dove venga». Sono le frasi secche e
politicamente scorrette, scritte da un “figlio della
provetta” e apparse sulle colonne del
New York Times dello scorso 29 giugno. L’autore
sa tutto sin da piccolo. Ma non ci pensa. Quasi rimuove,
racconta. Poi ha 14 anni la maestra chiede a tutti gli
alunni di ricostruire il proprio albero genealogico. E’ qui
che per il giovane ha inizio la sensazione di
angoscia che ancora oggi lo accompagna in
crescendo.
Il ragazzo ora diciottenne scrive infatti
così: «Mia madre all’età di quarant’anni si ritrovò sola e
senza figli. Aveva avuto una buona carriera ma era pentita
di non aver fatto famiglia». Così, commenta glaciale il
ragazzo, «decise di prendersi la briga di fare un figlio con
le sue sole mani». Un fatto questo che «incuriosì molti.
Alcuni la presero come un trionfo della
autosufficienza femminile. Altri, particolarmente i
famigliari e gli amici, erano contrari: “Non puoi avere un
bambino senza un uomo”, le dicevano». «Invece ci riuscì»,
continua confessando quello che la fecondazione
assistita semplicemente è, «perché si può fare e ti
è permesso anche facilmente. La parte difficile, al massimo,
è lasciata al bambino che quando cresce vive nell’ignoranza
di chi sia suo padre. Le coppie sterili o
le donne sole sottovalutano l’importanza cha ha per un uomo
sapere da dove venga. I deficit emozionali e di sviluppo che
nascono da questa ignoranza sono oggi troppo trascurati».
Non si può comprendere, aggiunge lo studente, «il vuoto che
molti bambini, nati tramite fecondazione assistita,
sperimentano. Chi nasce ha il diritto di sapere chi siano i
propri genitori. Io sono uno di quelli e
voglio sapere chi sia mio padre». Infine, il ragazzo
descrive il senso di smarrimento e
mancamento che lo accompagna oggi: «Siccome non so chi è mio
padre, non potrei mai riconoscerlo neanche se lo vedessi. A
volte mi sento soffocare dal tormento per
le infinite possibilità date dal fatto che mio padre
potrebbe essere ovunque: in mezzo al traffico di punta di un
venerdì sera, dietro di me al bancone della farmacia, oppure
lì a cambiarmi l’olio della macchina dopo settimane di
scarsa manutenzione. A volte vivo una mancanza di sentimenti
e parole tale che rimango semplicemente stordito pensando
che lui potrebbe essere ovunque».
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