In casi di anomalie congenite o di malformazioni, la sola verità che bisogna affermare è che “eliminare” il bambino malato non significa eliminare la sofferenza della donna, della coppia, della famiglia. Questo dato non è un fatto religioso o di fede ma esperienziale, riferito proprio dalle migliaia di donne che hanno impattato con questa triste scelta. Tale fatto è stato anche intercettato dal mon-
do della scienza prenatale, da fonti laiche e scientifiche che hanno evidenziato le gravi conseguenze fisiche e psichiche quando viene scelto l’aborto eugenetico, mentre minor impatto psicologico si ha quando viene continuata la gravidanza, anche in caso di bambini incompatibili con la vita extrauterina.
Un lavoro di Heidi Cope et al. –Pregnancy continuation and organizational religious activity following prenatal diagnosis of a lethal fetal defect are associated with improved psychological outcome, pubblicato su una rivista internazionale di alto valore scientifico (Prenatal diagnosis 2015,35,761-768), ha indagato 158 donne e 109 mariti che hanno perso una gravidanza con anencefalìa. Utilizzando scale di valutazione di impatto psicologico (Perinatal Grief Scale, Impact Event Scale, Revised Beck Depression Inventory-II ) si è dimostrato che tra chi continuava la gravidanza vi erano
differenze statistiche significative in termini di minor disperazione, di minor evitamento e di minor depressione rispetto a chi abortisce un bambino incompatibile con la vita extrauterina. La conclusione degli autori era che continuare la gravidanza diminuiva la sofferenza psicologica della perdita del proprio bambino.
Altri lavori si sono interessati delle conseguenze a breve e lungo termine dell’aborto selettivo (eliminazione di un feto malformato e continuazione della gravidanza con il solo feto sano in gravidanze gemellari): dati recentissimi evidenziano come il feto sopravvissuto all’aborto selettivo si porta l’ombra di morte del fratello perduto per molti anni (Selective fetal reduction in monochorionic twins: Preliminary experience , Dadhwal V, Sharma Ak, Deka D, Chawla L, Agarwal N. J Turk Ger Gynecol Assoc. 2018 Oct 9).
Nell’esperienza dell’Hospice perinatale del Gemelli sei pazienti sono pervenute alla nostra osservazione dopo aver rifiutato il feticidio selettivo. Sono state effettuate 37 procedure palliative su bambini che avevano problematiche di raccolta di liquido addominale e di
vesciche patologiche. Tali trattamenti palliativi hanno ottenuto la nascita di 10 bambini su 12 di cui 6 sani e 4 sottoposti a interventi post-natali. Attualmente tutti e 10 godono buona salute. Come ginecologo, direttore dell’Hospice, presidente dell’Associazione italiana ginecologi ostetrici cattolici (Aigoc) e della Fondazione «Il Cuore in una goccia» ho sperimentato come l’informazione scientifica corretta, l’ascolto partecipato delle sofferenze della coppia e un cammino empatico di medicina condivisa hanno ottenuto risultati inimmaginabili in tante famiglie. È mia esperienza che in 40 anni non è tornato mai nessuno a rimproverarmi di aver aiutato a tenere un bambino con problematiche congenite, curate prima e dopo la nascita.
Le parole di papa Francesco, pronunciate il 10 ottobre alla catechesi sul 5° comandamento «Non uccidere» vanno meditate a lungo perché possono curare la cecità del cuore, della mente, della ragionevolezza e del buon senso, spesso offuscate da ideologia e irrazionalità. In questi 40 anni di impegno scientifico e testimoniale (medici, famiglie, volontari) abbiamo diagnosticato, curato e accompagnato tante condizioni di fragilità feto-neonatali, con le più rigorose e moderne metodologie scientifiche, utilizzando l’ecografia come supporto a terapie invasive a bambini in utero considerati pazienti a tutti gli effetti. Abbiamo provato a impedire il “furto” della speranza, contemplando frutti di gioia e amore da parte di tante famiglie che sentivano di non essere “accettate” da una cultura che proponeva solo itinerari di morte e che aveva aprioristicamente scartato il frutto del loro amore, definendole “vite inutili”: nessuna vita è inutile, così come l’aborto volontario non è mai terapeutico.
Avvenire – Giuseppe Noia