
Phyllis Chesler non si è mai preoccupata di apparire politicamente corretta: di certo non quando ci sono in gioco i diritti di donne e bambini. La maternità surrogata è un’industria, dice la storica femminista americana, docente di psicologia alla City University of New York e autrice di un libro-spartiacque sulla maternità conto terzi; ed è il «trionfo del narcisismo genetico» di chi non può o non vuole avere figli ma esige di trasmettere a tutti i costi la propria eredità genetica. Per questo – insiste – bisogna fermarla.
Professoressa Chesler, come fermare un’industria miliardaria, e in crescita? Nessuno può farcela da solo. Bisogna lavorare insieme. Difendo il diritto di abortire, ma collaboro con gruppi pro-vita per mettere fuori legge quell’autentico commercio di bambini che è la maternità surrogata. Lo scorso maggio ho partecipato a lanciare la campagna «Stop surrogacy now», che unisce organizzazioni su fronti opposti su fronti infuocati come l’aborto, ma anche gruppi religiosi e atei, la destra e la sinistra.
Cosa ha permesso questa alleanza? La maternità surrogata vìola così tanti princìpi- base della convivenza umana da oltrepassare le barriere. Mercifica i corpi delle donne, riduce i bambini a oggetti da ordinare da parte di chi se li può permettere, etero o omosessuali, calpesta i diritti delle donne e dei bambini, li espone a enormi rischi per la loro salute. Ma non basta: recide il legame primordiale fra madre e figlio, apre la porta alla sperimentazione eugenetica e porta al traffico di donne.
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Come è nato il movimento “Stop surrogacy now»? Alla Harvard Law School nel 2011, durante la proiezione del documentario Eggsploitation che mette in luce lo sfruttamento di giovani donne da parte dell’industria della fertilità in cerca di ovuli. Durante il dibattito alcuni membri dell’industira della fertilità accusarono la regista, Jennifer Lahl, di negare i diritti delle donne. Allora mi alzai spiegando che sono una delle fondatrici di «Now», la principale organizzazione femminista negli Usa, e di essere invece d’accordo con lei. Altre persone hanno manifestato il loro supporto. Abbiamo capito che solo un’alleanza trasversale poteva reggere la pressione delle cliniche della fertilità.
Da dove viene questa sua passione contro la maternità surrogata? Nasce nel 1987, quando seguii la prima causa legale di una madre surrogata, il famoso caso «Baby M»: una giovane squattrinata che non aveva finito le superiori contro una coppia di abbienti scienziati. Organizzai dimostrazioni, scrissi lettere ai giudici. E mi accorsi che le mie obiezioni coincidevano con quelle avanzate dalla Conferenza episcopale del New Jersey. La Corte suprema dello Stato dichiarò che la maternità in affitto era illegale, ma questo non ha poi impedito a 8 Stati di legalizzarla e ad altri 23 di permetterla in molti casi. Oggi coppie sterili, single, gay, vip che non vogliono il disagio di una gravidanza noleggiano una donna per la loro riproduzione. Questo, oltretutto, scoraggia l’adozione e condanna migliaia di bambini a crescere in pessime istituzioni.
Cosa chiede oggi il movimento «Stop surrogacy now»? Vogliamo vietare la maternità surrogata in ogni Stato, ogni provincia, ogni Paese del mondo. Per farlo vogliamo che l’Onu dichiari l’affitto di uteri una violazione dei diritti umani e lo metta al bando. Il percorso è lungo, ma la consapevolezza sta crescendo. Comincia a emergere il danno che la maternità surrogata infligge ai figli precedenti della madre surrogata, che per essere assoldata deve dimostrare di avere portato a termine una gravidanza. Vedere la madre cedere il nuovo nato in cambio di denaro crea traumi profondi.
Il 2 febbraio a Parigi si è tenuta una conferenza sull’abolizione della maternità surrogata… È un passo importante, perché la schiavizzazione di donne come macchine da riproduzione si sta espandendo a causa della continua erosione della classe media in America e in Europa, dei debiti di molte famiglie e della potenza dell’industria della fertilità che ora si presenta come alleata delle lobby gay. Gli Usa sono il secondo fornitore di uteri in affitto al mondo, dopo l’India…
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di Elena Molinari