La vittoria di un sacerdote infermo

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Oggi è Giovedì Santo, giorno nel quale la Chiesa ricorda l’istituzione del Sacerdozio e dell’Eucaristia. «Sacerdos alter Christus», mi hanno sempre insegnato fin da piccolo. Che grazia il dono del Sacerdozio, che grazia poter trovare un sacerdote! Che tristezza dove non c’è la possibilità di trovare un sacerdote, l’unico uomo al mondo che può perdonare i tuoi peccati e donarti il corpo e il sangue di Gesù!

Mia madre era solita dirmi: «Figlio mio, preghiamo sempre per i sacerdoti perché, se venissero a mancare il mondo si trasformerebbe in una giungla piena di lupi. Quando mi sposai con tuo padre chiesi al Signore che se il primo figlio fosse stato maschio, Egli lo chiamasse a essere un sacerdote, se femmina, che seguisse la vocazione di consacrarsi a Lui. Per questo abbiamo promesso alla Vergine, appena tu fossi nato, che ogni notte tra il 24 e il 25 marzo ci saremmo alzati a recitare il Santo Rosario. E la Vergine ci ascoltò. E continueremo questo piccolo gesto fino alla morte, affinché tu sia fedele alla tua vocazione». Mia madre soffriva molto quando una persona parlava male di un prete. Per lei il sacerdote era Cristo stesso in mezzo a noi. Amava così tanto i consacrati che nel paese dove vivevamo costituì un gruppo formato da donne che aveva come scopo quello di lavare i vestiti dei novanta seminaristi di una congregazione religiosa che gestiva il seminario estivo. Per questo motivo, nella clinica San Riccardo Pampuri in Paraguay, tutti i giorni preghiamo per i sacerdoti. Non solo, ma in ogni letto, sulla testata, c’è un foglietto nel quale sono scritti il nome del Santo Padre, di monsignore Massimo Camisasca, di don Julián Carrón e di ogni casa dei missionari della Fraternità San Carlo. Un modo semplice attraverso cui il malato offre la sua vita, il suo dolore, la sua morte per la santità dei sacerdoti. Nella clinica poi, c’è una stanza riservata ai sacerdoti con malattie terminali che sono rimasti da soli.

In questi giorni trascorsi in Italia, sono stato a trovare un prete molto malato che quando era piccolo faceva parte del gruppo dell’oratorio dove esercitavo il mio ministero sacerdotale. È stato un incontro indescrivibile, che mi ha spinto a chiedere a un amico che mi accompagnava di aiutarmi a esprimere l’esperienza unica e commovente di quello che ho vissuto incontrandolo e che mi ha segnato profondamente. Dio voglia che tutti i giorni abbiamo a offrire le nostre preghiere per i sacerdoti. Il sacerdote è un uomo chiamato da Cristo a dare la sua vita affinché tutti gli uomini conoscano il cammino della salvezza.

Con Roberto e Sergio siamo andati a Bolzano ad accompagnare padre Aldo per un incontro sul tema “La vita diventa una immensa certezza”. Appena giunti a destinazione, padre Aldo si è subito voluto incontrare con don Willi Fusaro, un sacerdote col quale condivideva l’esperienza del Grest estivo prima di andarsene in Paraguay. Don Willi è nato nel 1976, nel 1991, dopo un solo mese che era stato ordinato sacerdote, una tac ha evidenziato una sclerosi multipla. Ha da subito accettato la malattia serenamente, senza recriminare, vivendola addirittura come un “dono” del Mistero. Dapprima gli ha tolto l’uso di una gamba, poi ha iniziato ad avere problemi alla vista. Da cinque anni don Willi non cammina più ed è costretto su una carrozzina, bisognoso di tutto. Lo sostengono con amorevole attenzione i suoi genitori.

Un punto di riferimento per tutti
Pur in queste condizioni, paradossalmente don Fusaro è diventato sempre di più un luminoso punto di riferimento per tutti. Costretto a stare tutto il giorno nei locali della sua parrocchia, è per tutti una presenza accessibile. Proprio mentre le sue condizioni fisiche degenerano sempre più, le persone lo cercano e trovano in lui conforto, coraggio, consiglio per camminare nella vita. Non è più quello che dice e predica agli altri la parola di Dio o quanto il Signore è buono e misericordioso, ma è colui che mostra con il suo essere, la sua persona così com’è, che Dio è davvero tutto questo. «Quando sono debole, è allora che sono forte». È diventato un testimone vivente di Cristo presente oggi. Da lui si recano a trovarlo persone separate in cerca di aiuto, uomini e donne depressi, drogati e chiunque soffre per qualsiasi motivo. La sua voce si è fatta così flebile che diventa davvero difficile capire ciò che dice. Ma a quanto pare, per dire qualcosa di vero e di decisivo per sé e per gli altri la parola non serve; è la sua persona così apparentemente impotente e annullata dalla malattia che diviene un potente richiamo, una incredibile testimonianza di speranza per chiunque lo incontri. Proprio perché lui è così riesce a rincuorare tutti, a rianimare chi si era perduto.

In ginocchio in un parcheggio
Che sia questa la fede lo abbiamo visto con i nostri occhi nell’incontro che è avvenuto in un parcheggio di Bolzano. Padre Aldo si è inginocchiato sull’asfalto e i due si sono incollati in un abbraccio lungo e commovente e per me era come se il tempo si fosse fermato, non riuscivo a staccare il mio sguardo da quella scena che aveva il potere di perforare l’apparenza della realtà, proclamandone il suo vero significato. Sergio mi ha subito detto: «Vedi Villa, ecco cosa dobbiamo imparare da don Aldo». Poi hanno cominciato a parlare, pur con fatica. Don Aldo, sempre abbracciandolo, poneva l’orecchio vicino alle sue labbra che sussurravano debolmente le parole. Hanno ricordato episodi buffi della loro collaborazione di quegli anni, e poi rivolto a me padre Aldo ha esclamato: «Vedi Villa, Dio si mostra qui, adesso in questa circostanza, è un avvenimento così concreto e reale… Chi fa meglio il prete se non lui, così com’è?». E poi ha aggiunto rivolgendosi a don Fusaro: «Non sono venuto a Bolzano per parlare alla conferenza di questa sera, ma perché volevo incontrare te. Grazie don Willi, perchè mi fai vedere Gesù presente».

L’esperienza del centuplo
Don Fusaro ha risposto così: «Sai Aldo, per me l’esperienza del centuplo nella mia vita è quello che sono, è fare la volontà di Dio, la vita è una battaglia ogni istante per fare la sua volontà. Accettare quello che Dio mi chiede è realizzare me stesso». Di fronte a questo avvenimento ho subito sentito il bisogno di dire: «Pietà di me o Dio, grazie della tua misericordia che mi manifesti».
Poi siamo entrati nello studio di don Willi in parrocchia e Sergio, il direttore della Clinica di padre Aldo, ha mostrato a don Willi le diapositive del Paraguay, in particolare quelle dell’ospedale della divina provvidenza San Pampuri. Don Willi si è mostrato attento e commosso, don Aldo ci ha messo molto a staccarsi da lui, non voleva proprio mollarlo, gli stava davanti con tutto se stesso. Ma eravamo un po’ in ritardo per l’incontro che si sarebbe tenuto in serata. Dopo l’incontro, padre Aldo, durante il ritorno a casa, ha più volte parlato di quanto era evidente per lui la potenza del Mistero che si era manifestata nella debolezza della carne di quel grande sacerdote; era evidente in don Willi una pienezza di vita impensabile. Ho scoperto che era per me una grazia inaspettata iniziare a capire, a due giorni dalla settimana santa, che Cristo con la sua passione e il suo sacrificio ci ha restituiti a noi stessi facendo la volontà del Padre. Grazie padre Aldo del dono della tua amicizia nella quale la parola destino non è più una parola ma la descrizione della vera realtà.
Alberto Villa

Aldo Trento – Tempi

Articolo tratto da www.tempi.it per gentile concessione della redazione (7-7-2023).

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