Pamela non riesce a scappare

Foto di Engin Akyurt da Pixabay

“Sono arrivata in Italia nei primi giorni di novembre, ho 22 anni.  Sono partita perché in Nigeria non avevo molta possibilità di trovare un lavoro dove mi pagassero tanto, la mia mamma è commerciante e non guadagna in ogni caso molto per mantenere tutta la famiglia, ho altre sorelle e fratelli.
Di venire in Italia me l’ha proposto un uomo che aveva una buona reputazione nel mio paese. Mi aveva proposto di andare a lavorare in fabbrica, io gli avevo assicurato che se avessi dovuto fare la prostituta non sarei partita, ma lui mi aveva assicurato che sarei andata a lavorare in fabbrica perché aveva buoni contatti per alcuni posti di lavoro.
Con me è partita anche una mia amica Rosmary che anche lei era nelle mie stesse condizioni, ci conosciamo da quando siamo bambine, ha ventidue anni e come me anche a lei è stato proposto un lavoro in fabbrica.
Siamo partite insieme ed eravamo comunque tranquille perché pensavamo che essendo in due non ci sarebbe potuto succedere niente e che ci saremmo comunque aiutate.
Mia mamma mi ha lasciato partire tranquillamente, ma prima di partire siamo state costrette a sottostare ad un rito vudù… sono stata costretta a mangiare il cuore di una gallina che avevano ucciso davanti a me.

Per i documenti ci ha pensato quell’uomo e dei suoi aiutanti, ma abbiamo dovuto scattare prima delle foto che servivano per i documenti.  Quando siamo partite era notte e con noi c’erano altre 12 ragazze, anche loro erano state ingannate, anche a loro era stato assicurato un altro lavoro come commesse in grandi supermercati, baby-sitter ed altro.
Sicuramente non ci crederete, ma il mio, il nostro viaggio è durato un anno intero e in quest’anno ho visto le cose più terribili, che non avrei mai pensato di poter vivere e rimanere ancora viva … Tantissime volte ho pensato di fuggire, ma poi, la mia mamma e i miei fratelli mi davano la forza e il coraggio di andare avanti e pensavo sempre che peggio di quello che stavo vivendo non avrei potuto vivere, ma mi sbagliavo!
Siamo partiti dalla Nigeria in macchina in direzione Niger, qui ci siamo fermati per un po’ di tempo, non ricordo di preciso per quanto tempo, abbiamo poi proseguito attraversando Mali, ma non pensate che abbiamo sempre viaggiato in macchina, alcuni tratti li abbiamo dovuti percorrere a piedi, perché con la macchina era impossibile.

Anche qui ci siamo fermati per un po’ di tempo, io avevo gia iniziato a sospettare qualcosa, non mi convincevano queste continue tappe per tempi prolungati, e questo continuo cambio degli accompagnatori.
Poi dal Mali siamo partiti verso l’Algeria e il Marocco, di qui nel raggiungere successivamente la Spagna ho avuto la sfortuna di assistere alla terribile fine del viaggio di alcune compagne,
che morirono durante l’attraversamento dei fiumi. Non dimenticherò mai lo sguardo di queste ragazze e le incitazioni a proseguire delle nostre guide, non ci hanno permesso di aiutarle perché affermavano che se non fossero morte affogate sarebbero sicuramente morte in seguito, perché erano troppo deboli e non avrebbero sopportato ancora per molto il peso del viaggio.

Da quel momento in poi ho capito che il mio futuro e quello delle altre ragazze che si sarebbero salvate sarebbe stato la strada, ma sapevo anche che non avrei resistito per molto tempo, già da allora era mia intenzione scappare, se proseguivo il viaggio era unicamente per non deludere la mia mamma.
Arrivati in Spagna ci hanno trattate come animali da macello facendoci stare in una stanza minuscola, tutte insieme, ricordo che è stata una tappa piuttosto lunga dove abbiamo visto ritornare l’uomo che ci aveva proposto il lavoro in fabbrica, ci aveva lasciato in Mali e al suo ritorno ha portato con se altre ragazze provenienti dal Ghana.
Abbiamo visto per un po’ di giorni tanta gente diversa che arrivava, guardava la merce, che eravamo noi, e poi andava via, pensavano proprio che fossimo stupide e che non capissimo la realtà della situazione in cui ci trovavamo e che queste persone erano solo nostri acquirenti.
Quando siamo dovute ripartire, alcune ragazze, tra cui anche la mia amica, si sono dovute fermare in Spagna, è stato molto doloroso lasciare Rosmary, fino a quel momento non mi ero mai sentita sola, avevo avuto comunque una sicurezza, un appoggio, una persona di cui mi fidavo, non era facile fidarsi di nessuno, neanche delle ragazze che erano nella mia stessa situazione.

Avevamo tutte l’impressione che questo viaggio d’incubo non avesse mai fine, non ricordavamo neanche più come fosse la vita nella nostra terra, il giorno in cui siamo partite era ormai troppo lontano e non avevamo neanche la forza di ricordare.
Dalla Francia il viaggio fino a Torino è sembrato molto più tranquillo perché abbiamo preso il treno e siamo scese a Porta Nuova, di qui siamo andate nella casa dell’uomo che ci aveva contattate e che poi è diventato il mio protettore, non ero ancora sicura di aver terminato il mio lunghissimo viaggio, anche perché qualche giorno dopo le ragazze del Ghana sono ripartite per un’altra destinazione.
All’inizio non volevo assolutamente scendere in strada per lavorare, Torino è fredda, ma poi mi sono fatta forza ed eccomi qui.
Sono sempre tenuta sotto controllo dalla ragazza del mio protettore che lavora dall’altra parte della strada ed ogni tanto controlla se lavoro o perdo tempo.

La prima volta che vi ho incontrati questa ragazza vi ha visti e quando siamo tornate a casa ha voluto subito sapere chi foste e mi aveva detto che non dovevo perdere tempo a parlare con voi, e che dovevo lavorare se volevo tornare a casa il più presto possibile.
Ricordo che le prime volte, verso le quattro di notte, quando ormai ero stanca e il freddo mi era entrato nelle ossa, ritornavo a casa, ma lì mi rispedivano sulla strada, non mi facevano neppure entrare per riscaldarmi un attimo, è stato veramente brutto.
Quando non porto tanti soldi sono picchiata dal protettore, una volta sono stata picchiata anche da un gruppetto di quindici ragazzini che avevano poco più di sedici, diciassette anni.

Mi hanno circondata e uno di questi incitava a turno tutti gli altri a picchiarmi con calci, pugni, sputi, mi trascinavano dai capelli, mi hanno rubato tutti i soldi della serata.
Sembrava si divertissero a vedermi piangere, non sono stata l’unica ad essere picchiata quella sera, anche un’altra ragazza, amica della ragazza del mio protettore, ha subito le stesse cose.
La polizia era stata avvertita, ma io non l’ho vista.
Già da qualche tempo voi mi consigliavate di trovare il coraggio e di chiamare mia madre per raccontarle il modo in cui vivevo e tutto quello che ero costretta a fare, ma il coraggio e la convinzione di parlare mi è venuta solo dopo che sono stata picchiata da quei ragazzini.

La strada non è un posto sicuro ed io volevo andare via, anche stare con i clienti non è tanto sicuro, mi hanno detto che c’è gente che ci vuole uccidere e mi hanno raccomandato di controllare sempre che in macchina ci sia un solo cliente quando vado da sola.
Quando ho chiamato la prima volta mia mamma, mi hanno detto che era in viaggio, ero triste perché volevo andare via e solo se mia madre mi avesse dato il permesso sarei scappata.
Ho aspettato con tanta ansia il mercoledì successivo, unico giorno in cui era permesso chiamare casa, e quando finalmente ho parlato con lei ed ho avuto il coraggio di raccontarle tutto, lei mi ha risposto che dovevo rimanere ancora sulla strada, che non sarei dovuta scappare e che avrei dovuto aspettare almeno di aver pagato il debito, e che se proprio volevo sarei potuta scappare solo dopo febbraio e che sicuramente per quella data avrebbe già saldato tutto il debito.

È stata la telefonata più brutta perché non volevo più restare sulla strada ed essere oggetto d’altre aggressioni da parte di altri ragazzini o chiunque altro avesse voluto, ma dall’altra parte non potevo deludere mia madre, e poi come avrei fatto con le maledizioni del rito?
La settimana successiva ho richiamato casa, ma mia madre non c’era, o non me l’hanno voluta passare, così ho parlato con mia sorella cui ho raccontato che sarei rimasta sulla strada fino al cinque febbraio e poi sarei scappata, lei inizialmente era contraria e preoccupata, ma adesso mi appoggia e mi sostiene.
Anche la mia amica vuole scappare, non so come abbia fatto ma è riuscita ad avere il numero del mio telefono, mi chiama sempre piangendo e ogni volta mi dice che vuole scappare che non vuole più lavorare sulla strada che vuole tornare a casa e che è certa che se continua a stare sulla strada, sulla strada perderà la vita, aspetta solo che la ragazza che la controlla parta per la Nigeria, per scappare.
Non le dico mai che anche io voglio scappare, anche se è una mia amica non mi fido, perché abbiamo lo stesso protettore e se vuole potrebbe dirglielo per entrare nelle sue grazie. Mancano pochi giorni al cinque febbraio, cerco di resistere un altro po’”.

Commento di una unita’ di strada:
Siamo tornati la settimana successiva, quando l’abbiamo avvicinata aveva lo sguardo basso, era stata picchiata brutalmente con una mazza di legno, la sua schiena portava i segni evidenti delle percosse. Il suo protettore voleva sapere dove fosse la sua amica con cui avevano contatti telefonici, in Spagna gli avevano detto che era scappata, ed era sicuro che lei lo sapesse, ma non era così.
Se inizialmente Pamela sembrava che cercasse una ragione per convincersi che sarebbe stato meglio per lei scappare, dopo quel brutto episodio non parla più con noi di una possibile fuga ed ogni volta che la incontriamo accanto a lei c’è sempre una bottiglia di vino, che dice le serva per stare bene.

Anche a noi Amici di Lazzaro sono capitati casi in cui ragazze abbiano cercato di fuggire dalla tratta ma non siano riuscite.
A volte erano famigliari ad abbandonarle, a volte era il terrore a bloccarle.  In questi casi proviamo un grande dolore, che ci da’ forza per impegnarci ancora di piu’ per liberarne tante. Sosteneteci e fate conoscere la realta’ nascosta della tratta.

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