Per una pedagogia consapevole in classe (Pino Pellegrino)

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Classi promiscue o unisex?
Sembrava una certezza ormai acquisita, indiscutibile. Eppure oggi molti la stanno rimettendo in discussione.
Stiamo parlando della questione se siano da preferirsi le classi promiscue o quelle divise per sesso.

Intanto un dato è certo: le classi unisex stanno tornando di moda. Negli Stati Uniti, ad esempio, nel giro di poco più di dieci anni vi è stato un incremento altissimo: gli Istituti che all’inizio del 2000 offrivano classi divise per sesso erano appena 4, oggi sono oltre 230!
Anche in Inghilterra, in Germania, in Australia la separazione sta guadagnando terreno. In Inghilterra in almeno 9 scuole – 3 delle quali molto prestigiose – i ragazzi e le ragazze dagli 11 ai 14 anni sono in classi separate.
Che dire?
Ad alcuni tali dati possono apparire passatisti, retrogradi, ideologici o, peggio ancora, ispirati all’attuale Stato Islamico della Siria e dell’Iraq ove le classi devono essere tassativamente unisex e gli insegnanti tutti rigidamente dello stesso sesso degli alunni.
È vero: le obiezioni possono essere tante, ma i sostenitori delle classi unisex contrattaccano immediatamente adducendo più d’una ragione a loro favore.
Le classi separate per sesso – dicono – aumentano il rendimento scolastico.
Le unisex permettono di offrire un metodo didattico più rispettoso della diversità di crescita e di apprendimento dei ragazzi e della ragazze.
Le ricerche avrebbero evidenziato che le ragazze non solo imparano più rapidamente dei ragazzi, ma sarebbe diversa la reazione a ciò che viene loro insegnato.

La lettura del Diario di Anna Frank, ad esempio, è capita ed apprezzata dalle ragazze, mentre i ragazzi sovente sorridono e si annoiano presto.
Pure dal punto di vista delle necessità d’ordine fisico vi sono differenze: i ragazzi necessitano di mezz’ora di intervallo per scaricarsi, alle ragazze è sufficiente un quarto d’ora.
Nelle classi unisex gli alunni sarebbero più liberi.
Nella scuola mista i ragazzi sono portati a dire che la poesia è roba per femmine e le ragazze, a loro volta, lasciano le applicazioni scientifiche ai ragazzi; in quella separata, ognuno fa quello che gli pare.
Sempre in tema di libertà, le ragazze sarebbero meno schiave dell’obbligo di piacere a tutti i costi per conquistare i ragazzi.
La scuola divisa per sesso permetterebbe di proteggere meglio la vita emotiva dei ragazzi.
Tutti sanno che la pubertà e la preadolescenza sono il momento del massimo tumulto ormonale, mai così violento e precoce come nella nostra società sempre più erotizzata.
Tutti sanno che nella prima adolescenza la parte del cervello che governa il criterio dei comportamenti è ancora in formazione e quindi non preparato a reazioni controllate e socialmente accettabili.
Finalmente, nelle classi separate per sesso, gli studenti sarebbero più attenti, meno disturbati dall’incrociarsi degli occhi pieni di messaggi.

Una ragazza quindicenne lo confessa molto serenamente: «Fino alla terza Media la scelta è stata dei miei genitori. Poi prima di passare alle Superiori ho riflettuto ed ho deciso per la scuola separata. Credo sia più facile stare attenti in classe e poi, insomma, bado meno a come sono vestita!”.
Tirando le somme, perché dunque non offrire a scuola un’educazione, un insegnamento differenziato, rispettoso delle caratteristiche psico-fisiche dei ragazzi e delle ragazze?
La coeducazione (che non deve mancare: lo sottolineiamo) può (e deve!) avere altri campi e altri spazi: il gruppo, le vacanze, la piazza, il tempo libero, il gioco, l’oratorio, gli incontri…
Queste nostre brevissime riflessioni non hanno, ovviamente, la pretesa di chiudere il discorso.
Vogliono essere un invito a dibattere senza pregiudizi, così come si propongono tutti i nostri interventi mensili.
La discussione è aperta.

A LORO LA PAROLA
• «Tutti i giorni la mamma e il papà mi domandano che cosa ho fatto oggi. Io non mi ricordo più e loro non ci credono perché cominciano subito ad arrabbiarsi” (Stefania, otto anni).
• «Quando la sera torna a casa papà, mi sembra d’essere in vacanza” (Sara, sei anni).
• «A tavola mio papà sgrida sempre la mamma perché la bistecca è troppo dura. Io ci sto male perché le grida di papà mi rovinano la digestione”. (Riccardo, nove anni).
• «La mia mamma fa la casalinga così deve mantenere anche mio papà che lavora soltanto» (Irene, cinque anni).
• «La mia nonna è come un aspirapolvere perché ogni cosa che si poggia sul tavolo per due minuti è sparita” (Alessandro, sei anni).

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Pino Pellegrino

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