Perche’ e’ lungo il Catecumenato (9/16)

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“Disse anche questa parabola:’Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo.
Tàglialo. Perchè deve sfruttare il terreno? Ma quegli gli rispose: Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai’.”
(Lc.13,6-9)

LA DURATA DEL CATECUMENATO

Con l’ammissione al Catecumenato che abbiamo visto le volte scorse, nelle sue esigenze, ma anche nelle sue motivazioni profonde per una Chiesa, non dimentichiamolo, immersa in una società pagana e soggetta a persecuzioni, davanti al nuovo catecumeno si apre una nuova fase di formazione e di catechesi che si estende per un certo tempo, in genere, nei primi secoli, quattro anni.
Tracce di questo tempo riecheggiano nel Vangelo sopra riportato al quale fa impicitamente riferimento Clemente alessandrino e che la Chiesa proclama nella terza domenica di Quaresima (anno C):

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“[La legge] non permette che si colgano frutti imperfetti su alberi imperfetti, ma (vuole) che dopo tre anni, nel corso del quarto anno si consacrino le primizie del raccolto di Dio, quando l’albero ha raggiunto la sua perfezione. Quest’immagine presa dall’agricoltura può servirci di lezione; ci insegna a potare le esuberanze degli errori, e quella vana vegetazione del pensiero che cresce insieme ai frutti naturali, fino a quando la giovane pianta della fede abbia raggiunto la statura perfetta e la solidità. E’ infatti nel corso del quarto anno – poiché anche il tempo è necessario per una solida formazione catecumenale – che il complesso delle virtù viene consacrato a Dio; la terza tappa raggiunge già la quarta che è la casa del Signore”
(Clemente d’Alessandria, II Stromata 95,3-96,2)

Analoga testimonianza ci proviene dalla Chiesa di Roma agli inizi del III° secolo:

“17. I catecumeni acolteranno la parola per tre anni. Tuttavia se uno è zelante e molto applicato a imparare, non si giudicherà il tempo, ma soltanto il comportamento.
18. Quando il dottore ha finito di fare catechesi, i catecumeni pregheranno a parte, separati dai fedeli. Le donne pregheranno in un luogo a parte della chiesa, siano esse fedeli o catecumene. Quando avranno terminato di pregare, non si scambieranno il bacio della pace, perché il loro bacio non è ancora santo.
19. Dopo la preghiera, il dottore imporrà le mani sopra i catecumeni, pregherà e li dimetterà. Colui che insegna farà così, sia egli ecclesiastico o laico.”
(Ippolito di Roma, Tradizione apostolica, nn.17-19)

In epoca più tarda (siamo nel IV° secolo) la testimonianza di Agostino ci permette di cogliere il senso di questo tempo di formazione e di conversione:

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“A cosa serve tutto il tempo nel quale portano il nome e occupano il grado di catecumeni se non a sentir dire quale deve essere la professione di fede e l’impegno di vita del cristiano, in modo che possano provare se stessi, e solo dopo, mangiare alla mensa del Signore e bere al suo calice?…
Certamente questa istruzione si sviluppa lungo tutto il periodo nel quale è stato saggiamente stabilito dalla Chiesa che chi si avvicina al nome del Cristo occupi il grado di catecumeno; ma si fa molto più accurata e intensa, come è naturale, in quei giorni nei quali i catecumeni, avendo già dato il loro nome per ricevere il battesimo, assumono la qualifica di ‘richiedenti'”.
(Agostino, De fide et operibus 6,8)

LA CATECHESI

La catechesi, cioè la formazione spirituale dei catecumeni, è assicurata, come ci dice Ippolito, da dottori (oggi diremmo catechisti) sacerdoti o laici. Da parte dei catechisti vediamo un grande sforzo intellettuale per collocare il loro insegnamento sui valori della filosofia greca, in uno sforzo, diremmo oggi di inculturazione, di dialogo con la cultura
contemporanea:

“L’erudizione fa stimare il maestro che espone i principali dogmi, aiuta a persuadere gli uditori, provoca l’ammirazione dei catecumeni e li forma alla Verità.” (Clemente al. I Str. 19,4)

“Sembra che la maggioranza di coloro che iscrivono il loro nome (cioè entrano nel catecumenato, ndr), come i compagni di Ulisse, siano grossolani seguaci della Parola… Ma colui che raccoglie ciò che c’è di utile [nel pensiero greco] per l’istruzione dei catecumeni non deve trascurare [di usare] la sua erudizione, ma farla servire il più possibile a vantaggio dei suoi uditori.” (Clemente al. VI Str. 19,4)

Costatiamo che questa erudizione ha come scopo di sostenere la crescita della fede, che, come vedremo, sarà professata pubblicamente da coloro che sono prossimi al battesimo:

“La catechesi porta progressivamente alla fede, la fede nel momento del santo battesimo è ammaestrata dallo Spirito Santo.” (Clemente al. Il Pedagogo, 1,6) “Possiamo dire che ‘gli esseri carnali’ sono i recenti catecumeni, ancora ‘piccoli’ in Cristo. L’apostolo infatti dà il nome di ‘spirituali’ a coloro che hanno già la fede mediante lo Spirito Santo, mentre chiama ‘carnali’ i nuovi catechizzati che non hanno ancora ricevuto la purificazione [del battesimo]” (ivi)

Questa istruzione non è puramente intellettuale. Notiamo bene dove sta la differenza tra i battezzati e coloro che si preparano al battesimo: i catecumeni hanno ‘la volontà’, ‘il desiderio’ di vivere da cristiani, mentre i fedeli, grazie al sacramento, ne hanno ricevuto ‘la capacità’.
Senza dubbio, i convertiti sono stati ammessi al sacramento solo dopo uno scrutinio che verificava la serietà delle loro intenzioni e del conseguente cambiamento di vita:

“Gli uni, insieme alla volontà, hanno anche la capacità di fare, se l’hanno sviluppata con l’esercizio e si sono purificati, gli altri, benché non ne abbiano ancora la capacità, ne hanno tuttavia la volontà… Naturalmente, non si giudicano le azioni solo dopo che sono state compiute, ma anche secondo l’intenzione deliberata di ciascuno: la scelta è stata fatta alla leggera? Ci si è pentiti dei propri sbagli? Si è preso coscienza delle proprie cadute? Le si sono riconosciute? ” (Clemente al. II Str. 26,4-5)

“Noi, ministri di Cristo, accogliamo tutti e, incaricati di fare come da portinai, lasciamo libero l’accesso. Però può accadere che tu sia entrato con l’anima infangata di peccati e con la coscienza sudicia… Se la tua anima indossava l’abito dell’avarizia, indossane un altro ed entra; svestiti di quello precedente, non coprirlo. Svestiti della lussuria e dell’impurità e indossa la stola fulgentissima della purezza. Te ne avviso prima che lo sposo delle anime, Gesù, entri a vedere le vesti. Hai molto tempo a tua disposizione….” (Cirillo di Gerusalemme, Procatechesi 4 e 6)

La prossima volta vedremo come processo catechetico si articola nel tempo scandito da momenti liturgici ben definiti.

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