Un Papa dal «temperamento volitivo e combattivo» e pronto a vergare di suo pugno una lettera autografa al capo del Governo Benito Mussolini per chiedergli personalmente di non porre impedimenti al matrimonio tra cattolici per motivi razziali e a chiedere indirettamente modifiche alle leggi sulla razza, promulgate il 17 novembre di settant’anni fa. È quanto emerge da una ricerca condotta dal gesuita Giovanni Sale, redattore de La Civiltà Cattolica e direttore dell’Istituto storico della Compagnia di Gesù, su una documentazione inedita e presentata qui in anteprima, relativa alle note dell’allora addetto alla segreteria di Stato, monsignor Domenico Tardini.
Documenti e testi ufficiosi della Santa Sede che fanno affiorare il vero stato d’animo di Papa Achille Ratti verso il problema della razza e della questione ebraica. «La documentazione recentemente desecretata dell’Archivio Segreto Vaticano ci ha permesso – spiega lo storico – di seguire momento per momento, quasi si potrebbe dire giorno per giorno, il punto di vista vaticano sulle vicende della promulgazione delle leggi sulla purezza della razza il 17 novembre 1938. A preoccupare il Papa e la Santa Sede era soprattutto il controverso articolo 7 della legge, che proibiva i matrimoni tra cattolici per motivi razziali.
Un articolo che creava un vero vulnus nel Concordato del 1929. Le fonti vaticane che stiamo studiando ci mostrano quanto questi provvedimenti rattristassero il Papa e come lo tennero in penosa tensione sino alla fine dei suoi giorni » . Emergono così i tentativi di Papa Ratti e in particolare dei suoi fiduciari di quel tempo – monsignor Domenico Tardini e il gesuita Pietro Tacchi Venturi – per trovare uno sbocco diplomatico all’incresciosa situazione creatasi con il governo italiano. «Se Mussolini – si legge in una confidenza di Pio XI a monsignor Tardini – non mostra buona volontà di trovare una via d’uscita, sono disposto a scrivergli una lettera, semplicissima, per dirgli che così facendo, lui spinge gli uomini al peccato e per ricordargli non una parola umana, ma una parola divina: miseros facit populos peccatum» (citazione dal libro dei Proverbi 14, 34: ‘Il peccato segna il declino dei popoli’, ndr). Precisa ancora padre Sale: «Va ricordato che questo modo di procedere non era una prassi ‘ protocollare’ della Santa Sede, in quanto il Papa indirizzava lettere autografe soltanto a sovrani o capi di Stato» . Ma non si trattava solo della questione dei matrimoni misti. La preoccupazione di papa Achille Ratti era più ampia e maturata già nei mesi precedenti alla promulgazione della legge a causa della proibizione di pubblicare articoli contro il razzismo, decisa dal ministero della Cultura Popolare: «Ma tutto questo è enorme! – si legge ancora in una nota di Tardini del 23 ottobre 1938. – Sono veramente amareggiato come Papa e come italiano» .
Una nuova documentazione che, secondo padre Sale, non fa che confermare il vero stato d’animo dell’anziano Papa riguardo ai provvedimenti in generale e la sua preoccupazione di un’alleanza dell’Italia con la Germania di Hitler: «Nello stesso anno il Papa si era ‘ ritirato’ a Castelgandolfo prima della visita di Stato di Hitler a Roma dal 3 al 9 maggio – ricorda lo storico gesuita – e L’Osservatore Romano scrisse che l’aria della Città Eterna ‘ gli faceva male’… Ma non solo. Nel settembre 1938 Pio XI pronunciò in Vaticano il famoso e memorabile discorso in cui affermò che ‘ l’antisemitismo è inammissibile. Spiritualmente siamo tutti semiti’. Allora l’Osservatore Romano pubblicò il testo omettendo la parte riguardante gli ebrei e altrettanto fece la Civiltà Cattolica. Ma sono tutti sintomi dei veri sentimenti e delle preoccupazioni di Pio XI» . La ricerca di padre Sale permette così di far emergere la fitta ragnatela diplomatica messa in campo da Papa Ratti in questo frangente: comprese le richieste di colloqui presentate « a viva voce » e poi in forma scritta fatti da padre Tacchi Venturi per far conoscere il vero pensiero del Papa su questo tema al Duce e la laconica risposta del segretario particolare di Mussolini: «Scriva pure quello che avrebbe voluto dire a voce» ; la preparazione e la consegna di lettere autografe al re Vittorio Emanuele III, a Mussolini; non ultima la Nota diplomatica di protesta all’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede del 13 novembre 1938. «Papa Ratti avrebbe voluto la pubblicazione integrale di quella Nota – rivela oggi Sale –. Però la Curia per ragioni prudenziali e per non inasprire ulteriormente il conflitto tra governo fascista e Santa Sede preferì la pubblicazione di un testo meno compromettente» .
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Grazie alla nuova documentazione vaticana, a differenza di quanto supposto da una certa storiografia, affiora dunque prepotentemente un Papa non rassegnato all’adozione anche in Italia di una legislazione razziale di stampo filo- tedesco. «Tutto questo rapido succedersi di udienze, di conversazioni e di documenti – si legge in un documento di monsignor Tardini – fu voluto e diretto personalmente dal Santo Padre già tanto malato, con energia veramente giovanile» . Dalle carte di monsignor Domenico Tardini, il futuro cardinale segretario di Stato di Giovanni XXIII, si evince anche la definitiva uscita di scena del gesuita Tacchi Venturi – fin allora il vero trait d’union fra regime e Vaticano – e la posizione parallela di compromesso della Curia, nel tentativo di una possibile intesa su questa delicata materia con il governo fascista «evitando qualsiasi forma di protesta da parte della Santa Sede» ; una scelta sostenuta dal nunzio apostolico in Italia, monsignor Borgongini Duca. «Quello che sorprende però che dalla documentazione vaticana di questo periodo – conclude padre Sale – non si faccia alcun riferimento all’enciclica che Papa Ratti aveva dato incarico di scrivere al gesuita americano John La Farge, nella quale si dovevano condannare apertamente il razzismo e tutte le teorie che inficiavano l’originaria uguaglianza tra gli uomini.
Quella contro la teoria del ‘ razzismo esagerato’ perpetrata da Mussolini e di riflesso da Adolf Hitler fu comunque l’ultima battaglia di Papa Pio XI, ormai gravemente ammalato e vicino alla morte, avvenuta il 12 febbraio 1939» .
«Il Santo Padre è intervenuto di persona ma Mussolini non ha ascoltato né lui né il re»
Pubblichiamo a margine due note, redatte dall’allora addetto alla Segreteria di Stato monsignor Domenico Tardini, che documentano il vero stato d’animo del Pontefice alla vigilia della promulgazione delle leggi razziali il 17 novembre di settant’anni fa.
Il primo testo è una parte della «Nota diplomatica» redatta da Tardini (13 novembre 1938) sotto l’attenta revisione del cardinale Segretario di Stato Eugenio Pacelli. Si tratta della parte aggiunta all’ultimo momento, e nonostante le resistenze degli estensori, su espressa richiesta del Papa: «Il Santo Padre stesso Si è creduto in dovere di intervenire personalmente con Suoi autografi e paterni appelli, prima presso Sua Eccellenza il capo del Governo, poi presso Sua Maestà il Re d’Italia e Imperatore di Etiopia. Vero è che Sua Maestà ha risposto con sovrana cortesia che si era affrettato a mandar copia della lettera stessa a Sua Eccellenza il Capo del Governo e che della lettera stessa si sarebbe tenuto il massimo conto ai fini di una soluzione dei due punti di vista. Ma purtroppo anche le speranze fondate su tali Augusti interventi non hanno finora raggiunto il loro effetto » .
Il secondo testo, redatto da Tardini il 31 ottobre 1938, è di notevole importanza perché segna la definitiva rottura tra il fiduciario di Pio XI presso il governo fascista, il gesuita Pietro Tacchi Venturi, e Mussolini. La sua mediazione diplomatica negli anni aveva permesso, tra l’altro, il salvataggio dell’Azione Cattolica. Ma dal 1938 il religioso non sarà più persona gradita a Palazzo Venezia, pur se continuerà ad occuparsi, per conto del nuovo papa Pio XII, del problema degli ebrei e non solo di quelli convertiti al cattolicesimo, prodigandosi per salvare il più alto numero di persone ed evitarne così la deportazione nei campi di sterminio.
«In base alle istruzioni ricevute dal Santo Padre, il padre Tacchi Venturi consegnerà in questa data un appunto dell’on. Buffarini. Il buon padre aggiunse ancora una volta una specie di implorazione ad essere ammesso in udienza dal Duce. Era questo un vivissimo desiderio dell’ottimo gesuita. Egli, abituato un tempo a vedere spessissimo il Mussolini, rimase colpito delle sue qualità e conservò sempre per lui una vivissima affezione. Quando il Capo del Governo cominciò a metterlo in disparte ( e ciò accadde in seguito – specialmente – agli urti tra il p. Tacchi Venturi e Starace) il padre ne risentì vivo dispiacere. Nonostante i suoi vari tentativi Mussolini non mostrò più confidenza in p. Tacchi Venturi. Lo ricette una volta o l’altra, ma scarsamente e freddamente. Alla fine non volle più vederlo» .
di Filippo Rizzi – Avvenire