
Nel secolo scorso abbiamo sperimentato due grandi elaborazioni mitiche con conseguenze terribili: il razzismo con la sua falsa promessa di salvezza da parte del nazionalsocialismo; la divinizzazione della rivoluzione sullo sfondo dell’evoluzionismo storico dialettico; in entrambi i casi furono di fatto cancellate le intuizioni morali originarie dell’uomo sul bene e sul male.
Tutto ciò che serve il dominio della razza, ovvero tutto ciò che serve l’instaurazione del mondo futuro, è bene – così ci veniva detto -, anche se ciò, secondo le conoscenze dell’umanità finora acquisite, fosse stato un male.
Dopo la caduta delle grandi ideologie oggi i miti politici sono presentati in modo meno chiaro, ma esistono anche oggi forme di mitizzazione di valori reali, che appaiono credibili, proprio per il fatto che si ancorano ad autentici valori, ma appunto anche per questo sono pericolosi, per il fatto che unilateralizzano questi valori in un modo che si può definire mitico. Direi che oggi tre valori sono dominanti nella coscienza comune, la cui unilateralizzazione mitica rappresenta allo stesso tempo un pericolo per la ragione morale di oggi.
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Questi tre valori continuamente, miticamente unilateralizzati sono il progresso, la scienza, la libertà.
Innanzitutto però deve essere chiaro che il progresso si
estende al rapporto dell’uomo con il mondo materiale ma non
dà luogo in quanto tale – come il marxismo e il liberalismo
avevano insegnato – all’uomo nuovo, alla nuova società.
L’uomo come uomo resta uguale nelle situazioni primitive
come in quelle tecnicamente sviluppate e non cresce di
livello semplicemente per il fatto che ha imparato ad
adoperare strumenti meglio sviluppati. L’essere uomo
ricomincia da capo in ogni essere umano. Perciò non può
esistere la definitivamente nuova, progredita e sana
società, nella quale non solo hanno sperato le grandi
ideologie, ma che diviene sempre più – dopo che la speranza
nell’aldilà è stata demolita – l’obiettivo generale da tutti
sperato. Una società definitivamente sana presupporrebbe la
fine della libertà.
Al secondo posto vorrei menzionare il concetto di scienza.
La scienza è un grande bene, proprio perché è una forma di
razionalità controllata e confermata dall’esperienza. Ma vi
sono anche patologie della scienza, stravolgimenti delle sue
possibilità in favore del potere, in cui allo stesso tempo
viene intaccata la dignità dell’uomo. La scienza può anche
servire alla disumanità, se pensiamo alle armi di
distruzione di massa o agli esperimenti umani o al commercio
di persone per l’esplantazione di organi, eccetera. Pertanto
deve essere chiaro che anche la scienza deve sottostare a
criteri morali e la sua vera natura va sempre perduta
allorquando invece che al servizio della dignità dell’uomo
si mette a disposizione del potere o del commercio o
semplicemente del successo come unico criterio.
Infine vi è il concetto di libertà. Anch’esso nell’epoca
moderna ha assunto diversi tratti mitici. La libertà non di
rado viene concepita in modo anarchico e semplicemente
anti-istituzionale e così diviene un idolo: la libertà umana
può essere sempre solo la libertà del giusto rapportarsi
reciproco, la libertà nella giustizia, altrimenti diventa
menzogna e conduce alla schiavitù.
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Il fine di ogni sempre necessaria smitizzazione è la
restituzione della ragione a se stessa. Qui però deve ancora
una volta essere smascherato un mito, che solo ci mette
davanti all’ultima decisiva questione di una politica
ragionevole: la decisione a maggioranza è in molti casi,
forse nella maggior parte dei casi la via “più ragionevole”
per giungere a soluzioni comuni. Ma la maggioranza non può
essere il principio ultimo; ci sono valori che nessuna
maggioranza ha il diritto di abrogare. L’uccisione degli
innocenti non può mai divenire un diritto e non può essere
elevato a diritto da alcun potere. Anche qui si tratta
ultimamente della difesa della ragione: la ragione, la
ragione morale, è superiore alla maggioranza.
Ma come possono essere conosciuti questi valori ultimi, che
costituiscono i fondamenti di ogni politica “ragionevole”,
moralmente giusta e pertanto vincolano tutti al di là di
ogni cambiamento delle maggioranze? La dottrina dello Stato
sia nell’antichità e nel Medioevo come proprio anche nei
contrasti dell’epoca moderna ha fatto appello al diritto
naturale, che la recta ratio può riconoscere. Ma oggi questa
recta ratio sembra non dare più una risposta, e il diritto
naturale non viene più considerato come ciò che è evidente
per tutti, ma piuttosto come una dottrina cattolica
particolare. Questo significa una crisi della ragione
politica, il che equivale a una crisi della politica come
tale. Sembra che ormai esista solo la ragione partitica, non
più la ragione comune a tutti gli uomini almeno nei grandi
ordinamenti fondamentali dei valori.
Esiste oggi un canone dei valori mutato, che praticamente
non è messo in discussione, ma in realtà resta troppo
indeterminato e mostra zone oscure. La triade pace,
giustizia, integrità della creazione è universalmente
riconosciuta, ma dal punto di vista del contenuto totalmente
indeterminata: che cosa è al servizio della pace? Che cosa è
la giustizia? Come si protegge nel modo migliore la
creazione? Altri valori universalmente riconosciuti sono
l’uguaglianza degli uomini in opposizione al razzismo, la
pari dignità dei sessi, la libertà di pensiero e di fede.
Anche qui vi sono mancanze di chiarezza dal punto di vista
dei contenuti, che perfino possono di nuovo diventare
minacce per la libertà del pensiero e della fede, ma gli
orientamenti di fondo sono da approvare e sono importanti.
Un punto essenziale resta controverso: il diritto alla vita
per ciascun essere umano, l’inviolabilità della vita umana
in tutte le sue fasi. In nome della libertà e in nome della
scienza vengono inferte ferite sempre più gravi nei
confronti di questo diritto. Qui si deve dare spazio alle
demitizzazioni dei concetti di libertà e di scienza, se non
vogliamo perdere i fondamenti di ogni diritto, il rispetto
per l’uomo e per la sua dignità.
Un secondo punto oscuro consiste nella libertà di deridere
ciò che è sacro per altri. Grazie a Dio presso di noi nessuno si può permettere di deridere ciò che è sacro per un ebreo o per un musulmano. Ma si annovera fra i diritti di libertà fondamentali il diritto di dileggiare e di coprire di ridicolo ciò che è sacro per i cristiani.
Nel mio dibattito con il filosofo Flores d’Arcais si toccò
proprio questo punto – i limiti del principio del consenso.
Il filosofo non poteva negare che esistono valori, i quali
non possono essere messi in discussione anche da
maggioranze. Ma quali?
Davanti a questo problema il moderatore del dibattito, Gad
Lerner, ha posto la domanda: perché non prendere come
criterio il Decalogo? E in realtà, il Decalogo non è una
proprietà privata dei cristiani o degli ebrei. È un’altissima espressione di ragione morale, che come tale si
incontra largamente anche con la sapienza delle grandi
culture.
Riferirsi nuovamente al Decalogo potrebbe essere essenziale
proprio per il risanamento della ragione, per un nuovo
rilancio della recta ratio. Qui emerge ora anche con
chiarezza ciò che la fede può fare per una buona politica:
essa non sostituisce la ragione, ma può contribuire
all’evidenza dei valori essenziali.
Joseph Ratzinger – Avvenire