
Era uno dei night club più esclusivi e più sconosciuti di Roma. Si chiamava “Diamante” e della sua esistenza sapevano solo i cinesi. Visto da fuori, si mescolava perfettamente allo squallore degli altri capannoni industriali del quartiere Casilino. Ma dentro, tra tappezzerie di lusso, tovaglie di seta e luci soffuse, ai tavolini si sedevano uomini d’affari e capimafia della comunità cinese. A loro disposizione avevano, oltre all’alcool e agli ultimi ritrovati in materia di droga, le più belle e giovani prostitute del Lontano Oriente disponibili a Roma. Quando la Squadra mobile fatto irruzione nel locale, ce n’erano quindici, tutte avevano con loro la chiave dell’albergo dove avrebbero portato i loro clienti. Prostitute destinate ai cinesi ricchi. Ma senza nessun privilegio in più rispetto alle loro connazionali che battono i marciapiedi o che vivono rinchiuse in orribili appartamenti di Piazza Vittorio.
Schiave. Anzi, merce, nient’altro che merce. Si vestono solo per lavorare. Per il resto del tempo, sono costrette a girare per casa in indumenti intimi: un deterrente contro la loro possibile fuga. Qualcuno le valuta e sceglie qual è il segmento di mercato più adatto. Come se fossero vestiti realizzati in un laboratorio clandestino o giocattoli contraffatti. Il modo in cui i cinesi gestiscono la prostituzione in Italia segue le ciniche regole del marketing puro. Prezzi bassi, cambio periodico dell’ “offerta” e individuazione del target di cliente.
Il mercato è diviso rigorosamente in due settori: quello cinese, per il quale vengono riservate le donne migliori, e quello italiano. Segue poi la selezione dei clienti per censo: più sono ricchi, maggiore è il valore delle prostitute messe a disposizione. Nulla è lasciato al caso, l’organizzazione ha dinamiche assolutamente commerciali. A Roma, alcuni sfruttatori si erano dotati persino di un call center e avevano affittato nella capitale undici appartamenti, intestandoli a un nome fittizio, Guan Whenzu. Avevano travato anche uno slogan per il proprio business, che pubblicizzavano sulle riviste di annunci: «Fiume d’amore!». Al telefono rispondevano donne cinesi con una buona conoscenza dell’italiano, che fissavano l’appuntamento e sceglievano la prostituta in base a quanto intendesse spendere il cliente.
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Tutto avviene in modo più discreto e diretto all’interno della comunità cinese. Lo scorso marzo è stata arrestata una “maitresse”, che ogni giorno dalle parti di Piazza Vittorio si procurava clienti connazionali porta a porta: come accade anche per i nigeriani, è quasi sempre una donna a gestire direttamente le prostitute per conto dell’organizzazione. La madama lasciava bigliettini con la scritta «massaggi completi per uomini», oppure fermava la gente direttamente per strada. Nella casa che lei gestiva non erano ammessi né italiani, né stranieri di altra nazionalità.
Le richieste dei cinesi sono infatti molto differenti. Soprattutto gli appartenenti alle classi agiate non sono interessati al semplice rapporto. L’incontro con una prostituta si prolunga per l’intera serata, durante la quale è molto frequente l’utilizzo di droghe. Anche gli stupefacenti sono di produzione cinese. Durante il blitz al club Diamante fu scoperta una nuova sostanza: la K-fen. È un droga sintetica, mai vista prima dalle autorità italiane, derivata dalla chetamina, si presenta in forma granulare e si può sniffare oppure sciogliere nella bevanda.
Per un italiano un rapporto sessuale in appartamento o in un centro massaggio con una prostituta cinese costa tra i 30 e i 50 euro. Sul marciapiede i prezzi scendono sotto i 15 euro. Le donne di altre nazionalità che ricevono in casa costano molto di più: tra i 100 e i 200. Ma se sempre più italiani negli ultimi anni inseguono le proprie fantasie orientali, non è solo una questione di soldi. Le cinesi infatti non si ribellano a nessun tipo di richiesta. L’assoggettamento agli sfruttatori è tale che la volontà della donna si annulla completamente.
Nella maggior parte dei casi le ragazze vengono dal nord rurale della Cina, soprattutto dal Liaoning. Quasi sempre hanno meno di vent’anni. Hanno una famiglia povera, sono senza marito, ma con un figlio a carico. Sono così disperate che partono per l’Europa, pur sapendo bene a cosa vanno incontro. La porta di ingresso per l’Occidente è Parigi. Ci arrivano con visti turistici al seguito di grosse comitive di connazionali. Dopo qualche settimana il responsabile del gruppo denuncia l’allontanamento all’ambasciata e a quel punto se ne perdono le tracce. Il traffico di esseri umani è gestito dalla mafia cinese nazionale. Nel momento in cui arrivano in Italia, ad occuparsene sono bande criminali, ma non sempre organizzazioni di stampo mafioso. In Toscana, ad esempio, il business è in mano alle gang giovanili.
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Con i loro sfruttatori, le prostitute spesso non riescono nemmeno a comunicare. Gli uomini vengono infatti dallo Zejan, dove si parla un dialetto molto diverso da quello del Liaoning. I loro aguzzini arrivano a guadagnare oltre mille euro al giorno. Misera è la parte che rimane a loro: si aggira tra i 100 e i 150 euro. Sono ostaggi a tutti gli effetti.
Giorgio Mottola
http://www.terranews.it/news/2011/01/prostituzione-cinese-italia-le-nuove-schiave