
Il cardinale Bassetti risponde a Paolo Flores d’Arcais:
Gentile Paolo Flores d’Arcais,
ho letto con attenzione il suo lungo e argomentato invito a un confronto pubblico sul tema del fine vita e dell’eutanasia (LEGGI). Innanzitutto la ringrazio per l’attenzione che ha dedicato al mio recente intervento a riguardo, e proprio da quello vorrei partire per alcune considerazioni.
Inizio con quella più evidente: come Presidente della Cei, come Cardinale, come sacerdote della chiesa cattolica, non posso che ricordare e riproporre sempre il magistero della Chiesa, e l’ho fatto e lo continuo a fare soprattutto in circostanze come queste, dove sono in gioco le immense questioni della vita e della morte, e soprattutto del mistero della sofferenza umana. Non devo certo ricordare a lei, uomo di cultura, che la nostra fede è la buona notizia di Uno che la morte l’ha vinta, quel Dio fatto Uomo che ricordiamo con l’immagine del crocefisso, cioè della sofferenza che Lui ha attraversato per amor nostro.
Questo per dire che se avessi voluto parlare del fine vita nella dimensione della fede è di Cristo che avrei parlato, esclusivamente di Lui.
E invece, come lei ha notato, mi sono spinto fino a valutazioni concrete su norme già vigenti e su possibili interventi legislativi, e l’ho fatto perché, come ho anche ricordato nel mio intervento “Ci è chiesto infatti, come Chiesa, di andare oltre la pura testimonianza, per saper dare ragione di quello che sosteniamo”.
E ho dato ragioni che non sono conseguenze della fede ma possono essere condivisibili da tutti, perché non ritengo che il confronto sull’eutanasia sia fra “credenti cattolici e non credenti, o diversamente credenti”: la vera contrapposizione è fra chi difende il favor vitae (che non è necessariamente dei cattolici) e chi invece ritiene che il cuore della questione sia l’autodeterminazione, e che quindi le scelte di vivere o di morire siano equivalenti. Penso che lo schema che vuole lo scontro fra cattolici e non credenti sia stato costruito e venga accreditato per marginalizzare le ragioni di chi difende il favor vitae, ed evitare di entrare nel merito. Cerco di spiegarmi con un esempio: idratazione e alimentazione sono terapie? Perché l’acqua data con un cucchiaio disseta, e la stessa fornita con un sondino diventa una cura? E che tipo di cura sarebbe, visto che senza acqua né cibo muoiono anche i sani? O forse è una convenzione stabilita da alcuni, la distinzione fra terapia e sostegni vitali in base al mezzo con cui cibo e acqua sono somministrati? E che c’entra l’essere o meno cattolici per ragionare e rispondere nel merito di alimentazione e idratazione artificiale e naturale?
Credo quindi che sia sbagliato impostare un confronto pubblico in questo ambito, come propone lei, scegliendo elettivamente un interlocutore cattolico come se fosse appannaggio solo dei cattolici difendere il favor vitae.
Per quanto mi riguarda, ho già dato le ragioni della contrarietà all’eutanasia parlando innanzitutto di libertà. L’11 settembre scorso, e precedentemente, in una intervista sullo stesso tema, pubblicata dal quotidiano Avvenire domenica 14 luglio, mi sono soffermato a lungo su questo aspetto che anche io, come lei, ritengo centrale. Ho detto che quando la scelta di morire viene considerata alla pari di quella di vivere, quando morte e vita sono poste sullo stesso piano, in alternativa, allora si arriva a una conseguenza inaccettabile e contraddittoria, e cioè che la massima espressione della propria libertà si possa realizzare annientando se stessi.
Ho ribadito il mio timore per interventi legislativi che aprano ad apparenti vie di fuga da situazioni di sofferenza, e anziché potenziare cure ed assistenza inducano a pensare che darsi la morte sia una opportunità da valutare. E ho espresso, infine, la mia preoccupazione per lo stravolgimento che l’eutanasia porta alla professione medica, nata per combattere la morte e non per procurarla.
Nei miei due interventi troverà questo e molto altro, compreso il rifiuto a ogni forma di accanimento terapeutico, come anche l’evidenza che alimentazione e idratazione non sono terapie, ma basilari sostegni vitali, a prescindere dal mezzo con cui una persona viene nutrita e dissetata, e senza i quali muoiono tutti inevitabilmente, sani e malati. E se ho proposto una differenziazione delle sanzioni previste dal codice penale per agevolazione e istigazione al suicidio, attenuandone alcune ma mantenendo il reato sempre, cioè confermando che il suicidio è un disvalore, è stato per indicare un possibile percorso parlamentare.
Di conseguenza sono addolorato per il recente pronunciamento della Corte Costituzionale a riguardo, che non ritengo risponda alle sofferenze di tanti malati, ma che invece assecondi una falsa idea di libertà, minando pericolosamente le fondamenta della convivenza umana, fatte di rispetto per la vita di ogni persona, in qualsiasi condizione, e di umana solidarietà.
Proprio per evitare “dogmatiche contrapposizioni frontali” che non gioverebbero al dialogo vero, la invito a visitare i tanti luoghi di cura nati dalla fede cattolica, a cominciare dai nostri ospedali, sia di eccellenza che negli angoli più sperduti del pianeta, e le tante realtà che in tutto il mondo accolgono disabili di ogni tipo, come il Serafico di Assisi, e centri specializzati per la cura dei bambini. Potrei fare un elenco infinito di realtà dalle quali non emerge mai la richiesta di essere soppressi. Ricambio sinceramente la stima.
*Card. Gualtiero Bassetti
Presidente della Cei