Racconto di Ellen: soldi e sfruttamento

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Mi chiamo Ellen e sono nata a Benin City verso la fine del 1992. Ho 4 fratelli e 4 sorelle. Io sono la seconda. I miei genitori vivono in un villaggio in campagna vicino Benin City. Mio padre è rimasto invalido e così mia madre ha dovuto da sola prendersi cura di tutta la famiglia. Io aiutavo mia madre a vendere al mercato i prodotti del nostro orto. A marzo del 2007, avevo 15 anni, una donna – di nome F. – che veniva spesso a comprare la verdura da noi, mi ha proposto di partire per l’Italia. La donna era la madre di S., un nostro amico di famiglia. Mia madre non voleva, ma dopo le mie insistenze ha ceduto. La donna per farmi arrivare in Italia voleva in cambio circa 45.000 naira, con un impegno scritto di restituzione del prestito. Ci accordammo per un prestito di 45.000 naira65 che poi – una volta arrivata in Italia – sarebbero divenuti, secondo lei, circa 35.000 euro. Io non conoscevo il valore dell’euro ma ho ritenuto comunque vantaggiosa questa proposta.

Successivamente la donna mi ha condotto in un villaggio vicino per incontrare un baba-loa e incominciare il patto con la ritualità woodoo, dicendomi che era l’usanza per garantire entrambi della bontà del patto stesso: lei mi trovava un bel lavoro e io restituivo i soldi prestati. Ad aprile sono partita con un ragazzo di nome V. e con altre ragazze in autobus per raggiungere Kano, poi Sokoto (nel Nord del Niger). Qui V. ci ha consegnato dei passaporti falsi e quando la Polizia li ha controllati non abbiamo avuto nessun problema. I giorni successivi siamo arrivati in Algeria e poi, attraversando il conine verso occidente, in Marocco.

A Tangeri abbiamo pagato altri 1.500 euro per passare in Spagna con un’altra guida. Questa mi dette un numero di telefono di una donna nigeriana che viveva a Torino. Arrivati a Torino c’era ad attenderci un altro ragazzo nigeriano (il brother), collaboratore della donna a cui avevamo telefonato. Insieme siamo andati a Palermo, dove abbiamo riconsegnato al brother – prima della sua partenza per Torino – i documenti falsificati che avevamo usato per il viaggio. Era la fine del mese di giugno . Alla stazione di Palermo è venuta a prenderci C., la sorella della donna (ossia F.) che mi aveva contattata in Nigeria. Lei aveva circa 30 anni, ci ha portato in una casa che aveva aiutato per noi. Dopo 3 giorni C. ci ha portato dei vestiti molto corti e succinti. Gli abbiamo chiesto il motivo di queste acconciature e per tutta risposta ci ha detto che sapevamo benissimo a cosa servivano.

A quel punto ci ha detto che avremmo dovuto prostituirci sulla strada. Minacciandomi mi ha consegnato una confezione di preservativi. Non potevo scappare perché non conoscevo nessuno e non comprendevo la lingua italiana. C. mi ha ricordato che avevo un debito da pagare e che dovevo iniziare a restituirlo. Lei era solo la cassiera della maman che stava in Nigeria e non voleva storie. Dovevo restituire 35.000 euro contratti per il viaggio senza nessun ripensamento. C. mi picchiava molto spesso perché io sulla strada piangevo sempre e i clienti non si fermavano da me. Ciò che guadagnavo lo consegnavo tutto a lei, che mi ha impedito di chiamare la mia famiglia per molto tempo.

Per nove mesi mi sono rassegnata a lavorare in strada a Palermo al Parco della Favorita. Durante la settimana guadagnavo 70-80 euro al giorno all’incirca e qualche volta anche 100. Ogni domenica mattina C. veniva a prendere tutto il mio guadagno della settimana, quasi 600-700 euro. A metà anno la polizia mi ha fermata sulla strada per un controllo. Non avendo documenti sono stata prima portata in questura a Palermo e poi trasferita a Roma. Da qui sono uscita e C., telefonandomi, mi disse di raggiungerla a Milano (dove c’era sua sorella). C., infatti, mi aveva ceduto alla sorella F. Questa mi disse che era lei la mia nuova maman e che il prestito ricevuto dovevo pagarlo a lei, ossia mi dovevo prostituire per lei, e che i soldi che avevo già dato a C. non riducevano il mio debito con lei. Per alcuni mesi mi sono prostituita per forza guadagnando molto poco. F. era molto arrabbiata con me, al punto di farmi picchiare da tre suoi boys. A quel punto ho deciso di non fare più quel lavoro. Ho detto basta. Un signore italiano che frequentavo mi ha dato delle informazioni su un centro di accoglienza di Firenze. Mi sono messa in contatto con il centro e dopo qualche giorno sono stata accolta. Ho trascorso un mese presso una struttura di accoglienza gestita dalle suore e poi sono partita per Roma dove sono entrata in una casa-famiglia. Attualmente sono ancora a Roma.

Dalle Dat all’eutanasia. Tristemente prevedibile.

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