Risposta a un bestemmiatore: è più grande Capaneo o l’uomo che ama l’infinito?

Foto di Arvind shakya da Pexels

Caro padre Aldo, un collega mi ha dato la copia di un suo articolo su Tempi riguardante la capacità di affrontare il cancro da parte di un sacco di persone che «incontrano Cristo, donano il dolore a Cristo, scoprono le bellezze della natura per la prova cui sono sottoposte, eccetera». Bah. Ognuno può trovare consolazione in qualche amico immaginario, e se ciò lo aiuta nel vivere, ben venga. Le volevo dire che esistono persone che, come il sottoscritto, non hanno bisogno di “consolazioni” religiose per vivere l’esistenza con coraggio e dignità.
Buttiamola sul personale, ho quasi 51 anni, sono stato operato al cuore a 38 anni, e da allora ho avuto: tumore linfatico allo stomaco con conseguente radioterapia, fibrillazione atriale con conseguente cardioversione elettrica e ablazione al cuore, due operazioni in un anno all’intestino per il ritorno del tumore a cui sono seguite (ho appena finito) sei dosi di chemio in vena. Nel frattempo mia moglie ha pensato bene di chiedere la separazione. Le garantisco che, prima, dopo e durante i problemi da me affrontati (e non ho ancora finito) io ho sempre vissuto (e sto vivendo) con serenità, senza che un qualsiasi dio mi “desse la forza, bla, bla, bla”. Ho sempre avuto i miei affetti, le mie passioni, i miei hobby, quando stavo bene e quando stavo male; le cose le ho sempre affrontate da uomo senza avere un qualche prete o un qualche o una qualche divinità salvifica. Le ho scritto per aprirle gli occhi su un mondo forse a lei sconosciuto; un sacco di persone vivono dignitosamente e serenamente senza bisogno di una “relidroga”. Cordiali saluti.
P. S. Se le venisse in mente di rispondermi, magari come d’abitudine fanno i credenti, terminando con un “prego per te”, sappia che, da parte mia, innescherebbe una serie di bestemmioni a catena. Quindi, preghi per quelle “povere anime” che hanno bisogno dell’amico immaginario.
Leo

Leggendo la sua lettera mi è venuto in mente il mito di Capaneo presentato in modo significativo da Dante Alighieri nel XIV canto dell’Inferno della Divina Commedia. Il servo di Dio, monsignor Luigi Guissani, nel suo libro Il senso religioso gli dedica una pagina nella quale afferma: «Molti anni fa, un ragazzo è venuto a confessarsi da me spinto da sua madre. Egli in realtà non aveva fede. Abbiamo cominciato a discutere e, a un certo punto, di fronte alla valanga dei miei ragionamenti, ridendo mi dice: “Guardi, tutto ciò che lei si affatica a espormi non vale quanto sto per dirle. Lei non può negare che la vera statura dell’uomo è quella del Capaneo dantesco, questo gigante incatenato da Dio all’inferno, ma che a Dio grida: ‘Io non posso liberarmi da queste catene perché tu mi inchiodi qui. Non puoi però impedirmi di bestemmiarti, e io ti bestemmio’. Questa è la vera statura dell’uomo”. Dopo qualche secondo di impaccio ho detto con calma: “Ma non è più grande ancora amare l’infinito?”. Il ragazzo se n’è andato. Dopo quattro mesi è tornato a dirmi che da due settimane frequentava i sacramenti perché era stato roso come da un tarlo per tutta l’estate da quella mia frase. Quel giovane sarebbe morto di lì a poco in un incidente automobilistico. Realmente l’anarchia costituisce la tentazione più affascinante, ma è tanto affascinante quanto menzognera. E la forza di tale menzogna sta appunto nel suo fascino, che induce a dimenticare che l’uomo prima non c’era e poi muore. È pertanto pura violenza ciò che può fargli dire: “Io mi affermo contro tutti e contro tutto”. È molto più grande e vero amare l’infinito, cioè abbracciare la realtà e l’essere, piuttosto che affermare se stessi di fronte a qualsiasi realtà».

Intelligenti pauca! Ciò nonostante desidero riportarle la testimonianza di una ragazza che “grazie” alla morte di suo fratello che amava tantissimo, ha avuto la grazia di capire che l’unico modo per non farsi vincere dalla disperazione è riconoscere che l’io è relazione con il Mistero. Non si tratta di rifugiarsi in una religione, ma di prendere sul serio quel grido profondo che nasce dal nostro cuore che è esigenza di infinito, come scrive il poeta Giuseppe Ungaretti: «Chiuso tra cose mortali (anche il cielo stellato finirà). Perché bramo Dio?». O come affermava il poeta Metastasio: «Dovunque il guardo giro, immenso Dio, ti vedo: nell’opre tue t’ammiro, ti riconosco in me». «Quid animo satis?», si chiedeva san Francesco. Sia io che lei dobbiamo rispondere a questa domanda. È la ragione che esige che non lasciamo cadere nel nulla questa provocazione. La ringrazio per il suo suggerimento: pregare per quelle “povere anime” che hanno bisogno dell’“amico immaginario”. Tuttavia, di fronte alla sua sfida, alla sua provocazione, preferisco che a risponderle sia una persona che grazie alla morte di suo fratello ha riconosciuto la presenza del Mistero che ci crea in ogni istante.

Caro padre Aldo, sono Francesca Gallo, come lei mi aveva chiesto tempo fa, ho provato a riscriverle la lettera.

Ho iniziato ad accorgermi che Dio esiste davvero quando ho capito che era stato il Misterio a prendersi mio fratello Marco. È venuto a prenderselo, senza chiedere cosa ne pensassi, apparentemente senza darmi il tempo di un respiro. Ancora oggi, dopo quasi cinque mesi, mi trovo a dirmi: «Ma come è possibile che sia successo PROPRIO a Marco? Perché a lui?». È umanamente insopportabile per me.

Io non potrei più vivere, se non credessi che Cristo è risorto. Ho visto sulla mia pelle, nella mia carne la conversione cristiana, questo è stato il primo dono che ho avuto. Dico dono, perché non è stata mia la scelta, ma nello stesso preciso istante in cui Dio ha preso Marco, ha incominciato a starmi accanto, non so come spiegarlo a parole… Io sento davvero l’amore di Dio su di me, proprio su di me. Mi ha dato tanti segni, così imponenti, che sarebbe stato semplicemente irragionevole non affidarmi a Lui. E io mi affido a Lui, consapevole della mia miseria, consapevole di non potergli dare niente. Mi chiedo spesso perché Dio pensi che io sia capace di questo. Dio mi ha imposto la sua presenza, ha scelto di farsi conoscere da me attraverso il mio amore per Marco. Dall’amore per Marco ho incominciato ad amare Dio. Il mistero di tutto questo per me rimane sempre; grande in me è la tentazione di credere che tutto sia nulla, ma più grande è l’amore che sento per me, io mi sento voluta e custodita da Dio, e sento di avere in Marco un alleato che è carne con me, che è con me.

Vivere il quotidiano per me è davvero una battaglia contro il male più profondo, contro il vuoto abissale di un fratello che non c’è più stato da un giorno all’altro, contro il vuoto della morte. Ma ci sono dei momenti, rarissimi, di gioia pure nella mia vita, dove vedo Marco operare accanto a me, per me. Per quei momenti vivo, perché desidero quei momenti sempre. Ripartire ogni giorno dalla mia miseria è doloroso, ma solo da qui posso partire. Vorrei tradurre concretamente l’amore di Gesù nelle mie giornate, vorrei saper guardare le persone e le cose con uno sguardo libero e incondizionato, invece di soffrire per i limiti miei e degli altri. Quanto lontano da questo mi sento. Mi sento così fragile rispetto a questo mio desiderio, insicura… Ma sicura che un disegno c’è, e che come dice il mio caro Marco «solo dal Mistero io dipendo».

Lo dico in modo consapevole, l’unica mia certezza è questa. Vorrei poter essere capace di spiegare meglio tutto quello che si agita nel mio cuore, mi scuso di non saperlo fare meglio. Ma cerco di farlo, per questo motivo questa estate vorrei venire da lei, le scriverò.

Francesca Gallo

Padre Aldo – Tempi

Articolo tratto da www.tempi.it per gentile concessione della redazione (7-7-2023).

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