
Gli aborti chirurgici continuano a scendere, aumentano i medici obiettori, cresce il ricorso alla Ru486 e quindi aumenta l’aborto farmacologico, resta elevata l’incidenza delle donne straniere sul totale. Sono queste le linee di tendenza che emergono dalla Relazione al Parlamento sull’attuazione della legge 194, approvata nel 1978 e che sinora ha autorizzato l’interruzione di oltre 6 milioni di gravidanze in Italia.
L’accelerazione progressiva nella contrazione degli aborti (comunque ancora 209 al giorno in media, per un totale che equivale alla popolazione di una città come Asti) è frutto di due fenomeni convergenti: il calo demografico, che riduce le donne in età fertile, e il crescente consumo di farmaci per la cosiddetta “contraccezione d’emergenza” (in realtà aborti estremamente precoci, non quantificabili) attraverso le varie pillole “del giorno dopo” o “dei 5 giorni dopo”, per le quali 4 anni fa l’Aifa tolse l’obbligo di prescrizione per le maggiorenni. Su questa categoria il Ministero sottolinea tuttavia che «è indispensabile una corretta informazione alle donne per evitarne un uso inappropriato».
Il secondo dato saliente del primo Rapporto sulla 194 firmato dal ministro Roberto Speranza è relativo agli obiettori. Dopo varie relazioni annuali che hanno chiarito l’inesistenza di un problema di accesso ai servizi abortivi, con carichi di lavoro nella norma per i medici non obiettori, nel 2018 si registra un dato del 69% tra i ginecologi contro il 68,4% dell’anno precedente. Il segnale che nella categoria, dopo anni di stabilità, si va facendo largo un’opzione etica che fa a pugni con la persistente campagna contro la libertà di coscienza. Lieve aumento di obiettori anche tra gli anestesisti (da 45,6 a 46,3%) mentre l’incremento si fa più marcato nel personale non medico (42,2% contro 38,9). A smentire gli asseriti disservizi che sarebbero causati dai “troppi obiettori” c’è anche il dato sulla diminuzione dei tempi di attesa per abortire. Eloquente anche l’aumento delle interruzioni nelle prime 8 settimane, ovvero entro il limite per l’utilizzo della Ru486, che guadagna rapidamente terreno (20,8% degli aborti contro il 17,8 del 2017) a dispetto di chi sostiene che solo nuove regole ne potrebbero estendere l’uso. L’incidenza delle donne straniere sul totale continua a essere di un terzo, un fattore che – tra gli altri – suggerisce di «potenziare i consultori familiari, servizi di prossimità che grazie all’esperienza nel contesto socio-sanitario e alle competenze multidisciplinari dell’équipe professionale riescono a identificare i determinanti di natura sociale e a sostenere la donna e/o la coppia nella scelta consapevole, nella eventuale riconsiderazione delle motivazioni alla base della sua scelta, aiutarla nel percorso Ivg e a evitare future gravidanze indesiderate ed il ricorso all’Ivg».
Francesco Ognibene – Avvenire
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