Sei qui per l’ultima volta, d’ora in poi seguirai me!

Foto di Joe da Pixabay

Fin da piccolo era stato colpito da quell’uomo morente, inchiodato alla Croce. Lo aveva visto per la prima volta appeso sulla parete bianca della casa di un amichetto di scuola, Stanislao. “Chi è quell’uomo crocifisso come un criminale?”, gli aveva chiesto. “Gesù Cristo”, si era sentito rispondere. Sessant’anni dopo, durante il rito ebraico dello Yom Kippur celebrato nella sinagoga sul Lungotevere mentre la capitale appena liberata dagli Alleati cominciava ad uscire dall’incubo nazista, sarà quello stesso Gesù a chiamarlo dicendogli: “Sei qui per l’ultima volta, d’ora in poi seguirai me!”.

Israel Zoller era nato in Brodj, Galizia, il 17 settembre 1881. Il suo cognome fu italianizzato in Zolli, trasferitosi in Italia ai primi del Novecento. Apparteneva a una famiglia di ebrei polacchi, rabbinica da quattro secoli, benestante che perse poco dopo la sua nascita le sue ricchezze, confiscate dalla Russia zarista. Israel ottiene la laurea in Filosofia e nel 1920 fu nominatovice rabbino e quindi rabbino capo di Trieste, appartenente all’Impero Austro-Ungarico. Teneva anche la cattedra di lingua e letteratura ebraica e all’Università di Padova. Nel 1940 fu tolto l’incarico dai fascisti e inviato a Roma come rabbino capo.

La storia di Israel Zolli, il rabbino capo di Roma che alla fine della Seconda Guerra Mondiale decise di farsi battezzare prendendo il nome di Eugenio per simpatia nei confronti di papa Pio XII (al secolo Eugenio Pacelli), è tutta compresa tra quelle due visioni: il bambino ebreo che s’imbatte per la prima volta nell’uomo che venti secoli prima aveva osato presentarsi al suo popolo come il Messia, come il Figlio di Dio; l’ormai anziano maestro israelita, che dopo aver studiato per tutta la vita le Sacre Scritture, decide di farsi battezzare e di seguire quello stesso Messia. Non per rinnegare la fede dei suoi padri, ma perché proprio a quella meta portavano le profezie dell’Antico Testamento. La vicenda umana e spirituale di Zolli è rimasta sconosciuta per diversi decenni. Dopo la sua conversione, avvenuta nel 1944, sul rabbino “rinnegato” era calata una coltre di imbarazzato silenzio. Oggi finalmente quel libro che per tanti, troppi anni in Italia non si è potuto leggere, destinato a riaprire vecchie ferite ma soprattutto a gettare nuova luce su quanto accadde a Roma dopo l’8 settembre del ’43 e sulla razzia del ghetto che costò la vita a mille ebrei della capitale, vede la luce. Pubblicato nel 1954 a New York con il titolo Before the dawn, esce finalmente nel nostro Paese dopo mezzo secolo Prima dell’alba (Edizioni San Paolo, pagg. 284, Euro 16,00). La maggior parte del libro – che riproduce il manoscritto originale in italiano ritrovato tra le carte di Zolli dal nipote Enrico de Bernart – è dedicata al misterioso ed eccezionale percorso di questo grande studioso dell’ebraismo, che attraverso la lettura delle Sacre Scritture si rese lentamente conto che Gesù era il messia atteso dal popolo di Israele.

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È certamente questa la parte più dirompente dell’autobiografia, che racconta com’è nato e si è sviluppato il rapporto di questo religiosissimo ebreo con la figura del Nazareno. Ma Prima dell’alba farà riflettere anche gli storici, perché racconta, poggiandosi su documenti e testimonianze, in che modo Zolli supplicò i responsabili della comunità ebraica romana di chiudere la sinagoga e di invitare tutti a nascondersi o a fuggire da Roma all’indomani dell’8 settembre. La sera precedente all’entrata dei tedeschi nella capitale, il rabbino capo chiese per telefono all’ex prefetto Dante Almansi, presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane di organizzare un incontro urgente con l’avvocato Ugo Foà, presidente della Comunità Ebraica di Roma, per decidere quali misure adottare in vista di possibili deportazioni. “La risata con cui mi rispose l’illustre uomo (ex prefetto ed ex vice-capo della polizia fascista) era così sonora – scrive Zolli – che fu perfino udito dalle orecchie ariane della signora Gemma, la portinaia del Tempio”. “Ah, ah, ah! – rispose Almansi al Rabbino – Come può una mente chiara come la sua pensare a provvedimenti eccezionali che m’immagino dovrebbero consistere nell’interrompere il regolare funzionamento degli uffici e lo svolgersi regolare della vita ebraica? … Può stare tranquillo e, anzi, deve infondere fiducia assoluta nella popolazione”. Così il presidente dell’Unione delle Comunità. Non diversa la risposta di Foà, che non si fece nemmeno trovare da Zolli. “Gli effetti dell’incomprensione che incontrai – annota tristemente il rabbino capo della sua autobiografia – furono così terribili, tragici, che mi rifiuto di credere possa essersi trattato di mancanza di volontà”.

Finalmente, due giorni dopo, quando le truppe hitleriane hanno già preso possesso della Città Eterna, Zolli riesce a incontrare il presidente della Comunità Ebraica romana: “Mi ascolti – lo supplica – dia ordine che vengano chiusi al culto il Tempio assieme a tutti gli oratori. Mandi a casa tutti gli impiegati e si chiudano tutti gli uffici … ognuno preghi là dove si trova che Iddio è onnipresente …”. Foà reagisce così: “Lei dovrebbe infondere coraggio, anziché scoraggiare. Ho avuto rassicurazioni …”. “A me fu dato di vedere, senza poter agire – scrive Zolli – agli altri il potere senza il dono di vedere, cioè di prevedere”. Il rabbino capo lascia il suo appartamento, che la Gestapo metterà a soqquadro, e si rifugia in casa di amici non ebrei. Ma lascia i recapiti alla comunità per poter essere rintracciato in ogni momento e dichiara che se sarà necessario consegnare degli ostaggi ai tedeschi, lui vuole essere il primo. Quando i nazisti chiederanno agli ebrei 50 chili d’oro in cambio della salvezza, Zolli andrà in Vaticano dove i collaboratori di Pio XII metteranno a disposizione i quindici chili mancanti. Quell’oro, però, non servirà. Da Berlino il 6 ottobre arriva l’ordine di rastrellare il ghetto di Roma e dieci giorni dopo i soldati tedeschi arrestano e deportano più di mille ebrei romani. I responsabili della comunità non avevano ascoltato il consiglio del rabbino capo di distruggere gli elenchi degli appartenenti, ma per tutta risposta avevano deciso di far decadere Zolli dal suo incarico.

Dopo la liberazione della capitale, Ugo Foà sosterrà che il rabbino capo non lo aveva avvertito di nulla. Nell’autobiografia sono però trascritte diverse lettere e dichiarazioni giurate di membri della comunità che attestano il contrario confermando la versione di Zolli. Tra queste, colpisce la lettera della professoressa Elena Sonnino Finzi, figlia del rabbino capo di Genova, al quale l’11 luglio 1944 scrive: “Dopo la consegna dell’oro all’ambasciata tedesca ebbi l’occasione di avvicinare il presidente della Comunità, avv. Ugo Foà. Mi presentai e gli domandai se riteneva opportuno che ci allontanassimo da casa. Mi rispose che non ne vedeva la necessità e ironicamente aggiunse che non capiva proprio da quali pericoli potessi essere minacciata”. La conferma che i fatti si svolsero secondo la versione di Zolli arriva anche dagli Alleati. Il colonnello americano Charles Poletti, commissario di Roma, dopo aver svolto un’inchiesta, decide di sciogliere il Consiglio della comunità ebraica di Roma congedando i suoi vertici e nominando un amministratore temporaneo. Allo stesso tempo, Poletti reintegra Israel Zolli nell’incarico di rabbino capo e gli dice: “Sento il dovere di ringraziarla di tutto quanto ha fatto. Lei ha raggiunto i limiti massimi delle possibilità, dando prova di onestà. Di sensibilità e di coraggio associato a profonda saggezza”. Uno spicchio di storia che dimostra ancora una volta quanto diffuse siano state le negligenze, le sottovalutazioni, l’attendismo di fronte alla minacciosa realizzazione della Shoah. E che dimostra come esponenti della stessa comunità ebraica, coinvolti nel fascismo, non ne furono immuni. Ma la parte più interessante dell’autobiografia è il racconto del lungo percorso che ha portato Zolli ad abbracciare il cristianesimo.

Per decenni, nei suoi scritti e nei suoi studi, il rabbino Israel Zolli aveva indagato la figura di Gesù. A diciott’anni, quando comincia ad avvertire “una gioia venata di dolore e un dolore trapunto di scintille di gioia”, la nostalgia di Dio. Si rende conto che troppo spesso gli altri rabbini passano le ore a discutere di minuzie, come la quantità esatta di acqua richiesta per il bagno rituale, ma rischiano di dimenticare le grandi esigenze della vita. Spinto dalla curiosità, il giovane legge i Vangeli e scopre un contrasto tra due giustizie. “La giustizia dell’Antico Testamento – scrive Zolli – si esercita da uomo a uomo e reciprocamente; quindi deve essere così anche la giustizia di Dio verso l’uomo. Noi offriamo e facciamo il bene per il bene ricevuto; facciamo il male per il male che abbiamo subito da altri. Non rendere il male per il male è, in certo modo, per l’ebreo, mancare di giustizia”. Nel Vangelo, invece, legge: “Amate i vostri nemici”, oppure le parole di Gesù sulla Croce: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. “Tutto questo mi sbalordiva, il Nuovo Testamento è, in effetti, un Testamento nuovo!”. Nel 1938 Zolli pubblica un libro intitolato Il Nazareno, interamente dedicato alla figura di Gesù, verso il quale Zolli non nasconde la sua ammirazione. È uno studio approfondito sulle Scritture, che lo porta a concludere: “Gesù di Nazaret è Gesù il Nazareno: annunciato da Isaia, egli è ‘il fiore dei profeti’”. Al termine della sua appassionata ricerca, il rabbino scrive: “Se è vero che chi riceve un messaggero, riceve anche chi lo ha inviato, non è meno vero che chi accoglie Gesù riceve anche colui che lo ha mandato”.

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Le parole di Zolli sono intrise dello stupore di un bambino al quale è stata appena messa davanti una bella novità: “Il mio libro Il Nazareno era una glorificazione del cristianesimo che nella mia anima si faceva sentire come un canto”. Pochi mesi dopo il suo rientro come guida religiosa della comunità, dopo i dolorosi e tragici avvenimenti del ghetto, nell’autunno 1944, Zolli presiede in sinagoga le liturgie del “Giorno dell’Espiazione”. In quell’occasione – racconta – “vede” Gesù che gli dice: “Tu sei qui per l’ultima volta”. Il 13 febbraio 1945 riceve il battesimo nella cappella della chiesa di Santa Maria degli Angeli e prende il nome di Eugenio in onore del papa: “L’opera della Chiesa – scriverà – per gli ebrei di Roma è soltanto un esempio dell’immenso aiuto svolto sotto gli auspici di Pio XII e dei cattolici di tutto il mondo, con uno spirito di umanità e carità cristiana impareggiabili … L’ebraismo mondiale ha un debito di grande gratitudine verso Pio XII”. La moglie lo segue un anno dopo. La notizia della conversione del rabbino si diffonde in un battibaleno, fa scalpore. L’uomo al quale, fino a poche settimane prima, gli ebrei romani avevano chiesto invano di assumere la direzione della scuola rabbinica, viene dipinto come il maligno. Viene definito il “serpente” che la più antica comunità israelitica del mondo aveva “scaldato” nel suo seno. La famiglia Zolli non ha più pace: si susseguono insulti e minacce. La rivista Judaism riferisce che ancora sei anni dopo, sia la figlia di Zolli, che la nipotina che era nata dopo la conversione, sono fermate per strada e ingiuriate, tanto che Israel-Eugenio viene ospitato all’università dei gesuiti, la moglie e la figlia in un convento.

Padre Paolo Dezza, futuro cardinale, rivelerà che gli ebrei americani avevano cercato di riportare Zolli all’ebraismo offrendogli cifre da capogiro. L’ex rabbino capo muore povero il 2 marzo 1956, alle 14.30. Era il primo venerdì del mese, lo stesso giorno e quasi la stessa ora della morte di quel Gesù che lo aveva chiamato per tutta la vita e al quale alla fine si era dovuto arrendere.
Andrea Tornielli

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