Spagna 1931, il martirio

Avventurarsi dentro la storia della Seconda Repubblica spagnola – dal 1931 al ’39, guerra civile inclusa – equivale a cacciarsi in un roveto irto di ideologismi furibondi: non si spiega altrimenti che quegli otto anni siano tuttora un buco nero per la storiografia iberica, e non solo per quella. Troppe passioni, troppo dolore, e – fatalmente – troppi teoremi, tra i quali anche quello che liquida gli spaventosi eccidi di uomini di Chiesa e laici cattolici come un episodio della contrapposizione tra “repubblicani” e “nazionali”: quasi che preti, religiose e dirigenti di Azione Cattolica siano stati dapprima carlisti integrali e poi franchisti entusiasti. A prendersi il disturbo di verificare cosa determinò uno dei più crudeli e rimossi “pogrom” della storia di questo secolo è ora monsignor Vicente Cárcel Ortí, 59enne sacerdote valenziano, da trent’anni a Roma (dove lavora presso la Curia vaticana), storico e postulatore nella causa di beatificazione di 74 martiri della sua diocesi, vittime anche loro della “pulizia religiosa” messa scientificamente in atto dai “rojos”, i repubblicani al potere. Vent’anni di studi vengono sintetizzati in un volume (“Buio sull’altare”, Città Nuova, pagine 198 pagine, lire 26.000, prefazione di Giorgio Rumi), che replica a decenni di pregiudizi con un’impressionante rassegna di episodi e documenti, dai quali emerge una tesi centrale: i 13 vescovi, i 4.184 sacerdoti e seminaristi, i 2.365 religiosi, le 283 suore e le migliaia di laici ammazzati dopo processi sommari, crudeli prigionìe o torture atroci furono vittime di un progetto di annientamento della Chiesa e della religione cattolica di chiara matrice ideologica, che se ebbe punte drammatiche durante la guerra civile fu però già chiaramente visibile sin dai primi giorni successivi alla caduta della monarchia.

Quattro i corollari: si tratta di veri e propri martiri, uccisi in odio alla fede e non perché “schierati” con una delle parti in lotta; furono vittime della Repubblica, e solo in seconda battuta della guerra civile; il loro sterminio non ha a che fare con l’esproprio dei beni ecclesiastici, trattandosi nella quasi totalità di sacerdoti, laici e religiosi poveri quanto i loro carnefici; se poi la Chiesa cercò rifugio nei territori “liberati” dal Caudillo […] lo fece solo per sfuggire a ulteriori carneficine. Spiega Cárcel Ortí: «La storia della Seconda Repubblica spagnola, longa manus dello stalinismo sovietico, è stata sinora offuscata da quel che è successo dopo: il lungo inverno del franchismo ha come “giustificato” una lettura aprioristica di quegli anni di “democrazia”».

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Quando si capì che la Repubblica voleva far piazza pulita della Chiesa?

«Sin dalle prime ore. Dopo la fuga di Alfonso XIII a Roma e la proclamazione della Repubblica il 14 aprile del ’31, si verificarono subito i primi atti di violenza: agli inizi di maggio in tutte le principali città, cattedrali, comunità religiose e parrocchie venivano prese d’assalto, saccheggiate e date alle fiamme. Si volevano cancellare gli stessi segni della tradizione cattolica spagnola. L’odio alla fede va persino oltre gli eccidi, e si esprime in migliaia di atti sacrileghi: si svuotavano tabernacoli sparando sulle ostie consacrate e pasteggiando con le particole, l’Eucaristia veniva sparsa per strada e calpestata, le chiese erano usate come stalle, si sventravano le pietre sacre degli altari, da preti e suore si cercava di estorcere un’abiura sotto la minaccia delle armi. Tutto questo cominciò ben prima della guerra».

Ma come si spiega la massiccia campagna di persecuzioni in un Paese profondamente cattolico?

«Fu un’istintiva reazione popolare al clericalismo da cui la Spagna era affetta da due secoli, con la sua “monarchia cattolica” che, per esempio, godeva del privilegio di nomina dei vescovi. Ma la colpa non fu tutta di quelle parti della Chiesa che con la monarchia avevano stretto un patto di conservazione reciproca. Ad armare la mano di molti fu la propaganda comunista e massonica: squagliatosi il regime monarchico, la Chiesa fu dipinta come il nemico del Paese, responsabile di povertà e ingiustizie. Il governo lasciò fare e non cercò mai i responsabili delle prime efferatezze, avvalorando la tesi di una responsabilità diretta nel clima di odio che si era scatenato in tutta la nazione. Tra gli agitatori c’era un po’ di tutto: anarchici e socialisti, ma anche liberali e massoni. La Repubblica cadde ostaggio dei più faziosi. E in Spagna si finì per vietare ogni espressione pubblica di culto, provvedimento che suscitò la reazione persino di un repubblicano come il ministro basco Manuel de Irujo: questi vi scorse il segno della deriva fascista di un regime che già era oggetto di orrore in Vaticano. E per la sua presa di posizione Irujo ci rimise il posto».

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Quale fu il calcolo che portò a voler spezzare la società spagnola, creando le condizioni per la guerra civile? 

«[…] La Repubblica intendeva recuperare il terreno perduto saldando il Paese con la rivoluzione sovietica. Ma il sentimento religioso degli spagnoli era assai radicato: e dopo aver toccato con mano gli inauditi eccessi dell’ateismo repubblicano la gente reagì. Solo questa “resistenza”, combinata con la sollevazione dei militari, ha impedito che la Spagna diventasse un’altra Albania […]».

Perché la Santa Sede non riuscì a fermare il massacro dei cattolici durante la Repubblica?

«Il Vaticano diede prova di prudenza, accettando il governo di fatto finché, nel ’38, non fu chiaro che gli spagnoli l’avevano ricusato, e resistendo intanto anche a episodi di aperta ostilità come il cannoneggiamento della nunziatura a Madrid. Intanto Pio XI inviava note di protesta, i vescovi prendevano posizioni pubbliche e si incoraggiavano in ogni modo le forze moderate, che in effetti riuscirono a spuntarla per la breve parentesi 1934-36 fatta passare poi, non a caso, come “biennio nero”. Nonostante gli sforzi di Franco, il riconoscimento della legittimità del suo governo arrivò solo due anni dopo l’inizio della guerra: dunque la Chiesa non cercò mai lo scontro con i repubblicani, ed è falso che gli eccidi avvennero perché si sarebbe schierata con i nazionali. Lo sterminio sistematico riesplose nel luglio ’36, e l’indignata lettera dell’episcopato, datata agosto ’37, rallentò la furia degli aguzzini anziché riattizzare la persecuzione, come invece si sostiene. La verità è che si volle sradicare il cattolicesimo dalla Spagna. E così si fecero almeno 6.500 martiri. Altro che democrazia».

Lei sa che a dire queste cose si passa per revisionisti?

«Sempre meglio del lavaggio del cervello imposto ai giovani da schiere di storici». 

F.Ognibene – Avvenire

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