
Francesco è nato il 17 agosto 2008, alle ore 21:44; il suo peso era di 1 kg appena.
Non fu possibile per noi poterlo prendere in braccio, baciarlo, accarezzarlo, era ben diverso da Filippo che alla nascita pesava quasi quattro volte tanto e aveva una pelle liscia e colorita. Appena venuto alla luce, giusto il tempo di recidere il cordone ombelicale, fu subito preso in cura dalle ostetriche per essere portato nel reparto di terapia intensiva neonatale.
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In quei momenti io e Anna non riuscimmo a trovare molte parole per esprimere quello che provavamo, erano trascorsi solo sei giorni dal momento in cui ci dissero che Filippo, ad appena 2 anni aveva contratto il cancro. In una settimana, il corso delle nostre vite era stato completamente stravolto.
Dopo circa mezz’ora dal parto Anna fu trasferita in una saletta, in attesa che potesse essere portata in reparto. Restò lì per un po’ e nel frattempo mi fu chiesto se volevo vedere il bambino. Un’infermiera mi accompagò in una delle stanzette della TIN. Lì trovai mio figlio: era davvero molto piccolo, sembrava molto fragile. Era avvolto in un lenzuolino celeste e aveva un berrettino rosso in testa. Per farlo respirare gli avevano messo un tubo nella bocca. Dei cavi elettrici uscivano da quel fagottino diretti verso un apparecchio che non smetteva mai di suonare. Provai gioia per quel dono meraviglioso che avevo ricevuto ma anche grande preoccupazione.
Parlai con i medici e gli infermieri che erano intorno a Francesco, dai loro volti traspariva consapevolezza e compassione per la gravità della situazione, avevano l’espressione di chi vorrebbe essere rassicurante ma che invece deve trattenersi a forza per non comunicare false speranze; un volto che vorrebbe versare lacrime ma che deve sforzarsi di rimanere distaccato e professionale. In quel momento non sapevo che nel futuro avrei rivisto tante volte quelle espressioni sul volto di un medico.
La dottoressa che era di turno in reparto mi diede poi un’altra brutta notizia: Francesco non sarebbe potuto rimanere lì perché non c’era posto per lui; appena possibile, sarebbe stato trasferito in un altro reparto di terapia intensiva neonatale, stavano infatti aspettando che un’ambulanza fosse pronta a trasportarlo.
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Mi spiegarono che il suo problema principale erano i polmoni poiché non erano ancora sufficientemente sviluppati per farlo respirare autonomamente, che per il suo grado di prematurità si sarebbero potute presentare molte complicazioni, alcune piuttosto gravi. In quel momento il suo sangue non era abbastanza ossigenato e questo poteva creare difficoltà a molti organi, a partire dal cervello. L’apparecchio a cui arrivavano i cavi elettrici che uscivano da sotto il lenzuolino suonava continuamente e c’erano dei numeri sul suo display che lampeggiavano; la dottoressa mi spiegò che quell’apparecchio misurava proprio la percentuale di ossigeno nel sangue. In un bambino sano quella percentuale ha un valore che non scende quasi mai sotto il 98%, per Francesco in quei momenti, invece, non saliva oltre l’85%, per questo l’apparecchio mandava un allarme continuo. Mi dissero che non era possibile fare previsioni per il futuro: per il momento, tutto dipendeva da come il bambino avrebbe superato i primi giorni di vita e in ogni caso sarebbe potuto rimanere in terapia intensiva per molto tempo.
Scattai una fotografia a Francesco e tornai da Anna, che era ancora nel blocco parto, sullo stesso piano della TIN. Le raccontai tutto quello che mi avevano detto i medici ma lei non volle vedere la fotografia. Ci stringemmo la mano e pregammo.
Poi Anna mi guardò e mi disse: “Torna di là e battezzalo”. Io rimasi colpito dalla sua frase ma intuii subito che quella era davvero la cosa più urgente da fare, che non c’era tempo da perdere. Io non avevo proprio idea di cosa e di come fare ma lei mi diede le indicazioni e mi rassicurò. Tornai quindi da Francesco che ormai era stato portato nelle sale più interne della TIN per essere tenuto sotto stretto controllo e domandai ad un’infermiera se potevo vederlo, ma mi disse che al momento non era possibile. Le dissi allora che avremmo voluto battezzarlo e l’infermiera non sembrò affatto sorpresa: evidentemente la mia non era una richiesta così infrequente. Mi disse che ci avrebbero pensato loro, che sapevano come fare.
Francesco fu battezzato quella sera, da un angelo che si prese cura di lui, che per volontà nostra, in nome di Dio, fece sì che anche lui ricevette il dono della vita eterna.
Quella notte Francesco fu portato all’ospedale San Filippo Neri di Roma, mai nome di un santo avrebbe potuto esserci più familiare! Prendemmo la cosa come un buon segno. Anna fu portata nel suo reparto di ostetricia, mentre io tornai in quello di ematologia da Filippo per trascorrere con lui la notte. Filippo era ancora piccolo ma quando arrivai da lui gli spiegai che ora aveva un fratellino ma che non stava tanto bene e doveva anche lui restare in ospedale per un po’ di tempo; gli dissi anche che avremmo dovuto pregare tanto per lui. Filippo mi disse che era felice e che avrebbe voluto vedere presto il suo fratellino.
Francesco rimase ricoverato nel reparto di terapia intensiva neonatale del San Filippo Neri fino all’11 dicembre di quell’anno. In quei quasi 4 mesi è stato intubato e collegato ad un macchinario per aiutarlo a respirare per quasi 40 giorni. Ha rischiato di avere gravi infezioni, ha avuto bisogno di trasfusioni, ma grazie a Dio non ha avuto nessuna di quelle gravi complicazioni che sono frequenti nei bambini prematuri. Io e Anna potevamo vederlo ogni giorno soltanto per poco più di un’ora, nel pomeriggio, per portargli quel po’ di latte che Anna riusciva a tirarsi quando era a casa, ma lui non era un gran mangione… uscì dall’ospedale che pesava circa 2 chili e 200 grammi.
Uscito dal San Filippo Neri, Francesco tornò a casa ma vi restò solo pochi giorni poiché fu di nuovo ricoverato in ospedale, stavolta nello stesso ospedale dove era seguito Filippo e dove io e lui, proprio in quei giorni, ci trovavamo per un ciclo di chemioterapia: la nostra casa era l’ospedale. Io e Filippo eravamo nel reparto di ematologia pediatrica e Anna e Francesco in quello di chirurgia pediatrica: stesso piano, due ali opposte dell’edificio. Ma il pomeriggio del 24 dicembre 2008 fummo dimessi e trascorremmo un Natale meraviglioso tutti insieme.
Sono passati 7 anni. Qualche sera fa io e Francesco eravamo in auto, lui aveva appena terminato il suo allenamento di judo ed era seduto accanto a me; mangiava delle patatine, aveva indosso la giacca e il berretto che erano di Filippo e ascoltava attento la fiaba del Piccolo Principe: ecco, in quel momento, ho visto con i miei occhi che un miracolo si era compiuto.
Piovono miracoli