Storia. Umanesimo e Rinascimento (19)

Imagen de Mark Gilder en Pixabay

Con la fine dell’anarchia feudale e l’avvento dei regni unitari (Francia, Inghilterra, Spagna) la situazione di endemica insicurezza cedette il posto a relativa pace e tranquillità di comunicazioni. La rivoluzione industriale medievale poté così esplodere in traffici, commerci e viaggi (di pellegrinaggio, di studio, di affari). L’aumentato benessere fece crescere la popolazione e sorsero i liberi comuni, le signorie, le repubbliche (marinare e no). Fiorirono le professioni, come quelle legate all’insegnamento e al diritto, e anche le arti. Essendoci più ricchi disposti a pagare, artisti e legulei, professori e scienziati proliferarono. Finalmente c’era tempo e agio per studiare tutte quelle antiche opere che i monaci avevano salvato dai secoli di disordine. Cioè le opere greche e romane. Machiavelli e Guicciardini cominciavano a dire chiaramente che era ora di ripristinare il sistema politico e amministrativo romano, che così grandi frutti aveva dato.

Solo che, a furia di studiare il mondo antico, esso divenne “di moda”. Negli affreschi Marte e Venere cominciarono a sostituire Cristo e la Vergine, e l’audace Ars amandi di Ovidio venne compulsata pure nei conventi. Poco alla volta anche la mentalità antica cominciò a farsi strada, mentalità maschilista e burocratica. E i frutti si videro presto. Alla fine del XV secolo l’Università di Parigi vietò alle donne la professione medica. Qualche anno ancora e alle donne sposate verrà imposto di portare il cognome del marito. Spunta la “maggiore età” legale. Molti dotti cominciano a praticare la magia, la Chiesa si vede costretta a porre limiti all’alchimia e all’astrologia (finirà per vietarle del tutto nel secolo successivo).

Il Rinascimento sarebbe più appropriato chiamarlo “neo-paganesimo”, perché tale in effetti fu. Nell’arte e nella letteratura al centro di tutto non c’è più Dio ma l’uomo (“umanesimo”); la politica e l’economia prendono le distanze dalla morale cristiana; i legisti teorizzano il potere dello Stato come totalmente indipendente da ogni altra autorità.

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L’epoca di splendore che i manuali scolastici contrabbandano riguardò in realtà solo pochi privilegiati: le corti dei principi (come quella medicea) e gli artisti e i letterati da essi stipendiati. Il resto dell’umanità, invece, vedeva con terrore sopravvenire un altro tempo di disperazione. Nell’Europa settentrionale, uno dietro l’altro, eresiarchi trascinavano le folle nell’attesa della fine del mondo. Complici i maghi di cui si è detto e gli astrologi (e soprattutto l’invenzione della stampa, che permetteva la diffusione delle profezie apocalittiche e dei vaticini astrologici), la paura delle streghe, dei malefici, dell’Anticristo, dell’Apocalisse, cominciò a dilagare.

Ogni cometa, ogni pestilenza era vista come il segno dell’inizio dei tempi ultimi. “Profeti” improvvisati ed eretici millenaristi additavano nella Chiesa di Roma la “Grande Meretrice” dell’Apocalisse. Un papa come Alessandro Borgia venne ingiustamente diffamato e additato ad esempio della corruzione romana.

La successiva polemica luterana da antipapista divenne anticattolica e dunque anti-italiana: l’Italia, che fino a quel momento aveva significato arte, cultura e raffinatezza, da quel momento fu oggetto di disprezzo, disprezzo che, nell’immaginario dei popoli nordici, dura tutto sommato ancora oggi. Tale visuale è stata purtroppo introiettata dagli Italiani, grazie alla propaganda di quegli intellettuali che salutarono come “liberatori” i napoleonici, poi i piemontesi e infine gli americani. L’autodenigrazione (“E’ inutile, siamo in Italia” o “all’italiana” per indicare corruzione, pressappochismo, inciviltà, disordine e inefficienza) è così diventato il nostro vero sport nazionale. E siamo gli unici al mondo a praticarlo. Invece nessuno ci ricorda che gli Italiani hanno letteralmente creato la civiltà: dal fazzoletto alla forchetta, dal motore a scoppio alla radio, dall’elettricità al telefono, dal galateo alla vera democrazia, dall’energia nucleare alla musica. Eccetera, eccetera. Se qualcuno si azzarda a ricordarlo i sedotti dalle ideologie d’importazione gridano al “fascista”.

Ma torniamo a bomba. Alessandro VI Borgia, spagnolo, aveva il torto di essere inviso alla Francia e a Venezia. La Francia perché nemica delle Spagna. Venezia perché era da sempre interessata solo alla sopravvivenza dei suoi traffici (era stata la Serenissima a indurre a suo tempo i Crociati ad assaltare Costantinopoli, di fede scismatica “ortodossa”, anziché Gerusalemme). Ora il papato aveva come politica tradizionale quella di impedire che il Nord dell’Italia diventasse una dipendenza dell’Impero germanico e il Sud un califfato musulmano (i Turchi sbarcarono più volte in Puglia e assediavano l’Europa risalendo dai Balcani; Budapest dovette essere riconquistata, Vienna fu salvata solo nel 1622; la Sicilia, a lungo sotto gli Arabi, era continuamente tormentata dai corsari islamici). Anzi proprio il figlio del Borgia, Cesare, stava realizzando, a colpi di conquiste, quell’unità d’Italia sotto un solo signore che stava tanto a cuore a Machiavelli (che appunto a Cesare Borgia dedicò il suo Principe). Ma il Borgia aveva un tallone d’Achille: la sua vita privata. Come pontefice fu esemplare, come uomo un po’ meno: se ne vergognò sempre e non volle mai difendersi, cosa che però lasciò campo libero alle calunnie. Fu lui a introdurre la preghiera dell’Angelus, che ancora oggi il Papa recita. Grazie alla sua mediazione Spagna e Portogallo evitarono un conflitto a proposito delle nuove terre transoceaniche da colonizzare.

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Rino Camilleri da “Fregati dalla Scuola”

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