Sussidiarieta’ contro assistenzialismo (Bruto Maria Bruti)

Per il principio di solidarietà lo stato deve aiutare chi ha veramente bisogno.

Per il principio di sussidiarietà lo stato non deve mai sostituirsi all’iniziativa dei singoli e dei corpi intermedi: il principio di sussidiarietà fissa dei limiti all’intervento dello stato e alle modalità d’intervento (cfr. Libertà cristiana e liberazione n.73 e Catechismo della Chiesa Cattolica n.1885). Giovanni XXIII insegna che, se il liberalismo provoca disordine e sfruttamento dei deboli, il collettivismo determina sempre tirannide politica e ristagno dei settori economici con produzione di miseria (Mater et Magistra n.44) La dottrina della Chiesa avverte che il socialismo è un rimedio peggiore del disordine liberale (liberalismo selvaggio) che pretende di combattere (Pio XI, Quadragesimo Anno n.10). Nel liberalismo classico lo stato lascia fare, nel socialismo lo stato fa direttamente, nel socialismo cosiddetto democratico lo stato cerca di fare direttamente in modo pragmatico e progressivo. Infatti nel socialismo democratico non vengono fissati dei limiti all’intervento dello stato, né alle modalità d’intervento: la socializzazione social-democratica viene attuata là dove, di volta in volta, se ne ravvisa l’opportunità e la possibilità legislativa. Per tali motivi la social-democrazia è una forma di collettivismo graduale e progressivo. (1)

Con la sua ideologia assistenzialista la social-democrazia pretende che lo stato:

1) stabilisca ciò che serve ai cittadini al di là del necessario che nasce dai diritti fondamentali

2) fornisca ciò che serve ai cittadini intervenendo direttamente in economia e allargando gradualmente la sua sfera d’intervento: infatti per ogni socialista l’attività economica deve essere condotta socialmente. (Cfr. Pio XI, Quadragesimo anno n.119). Per questi motivi la dottrina della Chiesa insegna che il socialismo anche moderato è sempre socialismo, conduce sempre ad una società totalitaria e non si può essere insieme buoni cattolici e veri socialisti (cfr. Pio XI, Quadragesimo Anno n.117, 118, 119, 120). Nella enciclica Centesimus Annus Giovanni Paolo II condanna l’ideologia dello stato assistenziale che è l’ideologia del socialismo moderato: ” una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune. Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese”(2)

Per la dottrina della Chiesa, invece, lo stato non lascia fare né cerca di fare direttamente ma AIUTA A FARE: lo stato ha il diritto d’intervenire per aiutare chi ha veramente bisogno sulla base del necessario che nasce dai diritti fondamentali, ma aiuta a fare senza sostituirsi all’iniziativa dei singoli e delle comunità intermedie:

1) la solidarietà viene sollecitata e garantita dall’intervento dello stato ma realizzata soprattutto attraverso il servizio privato.

2) Lo stato sociale, che si ispira al principio di sussidiarietà, aiuta solo chi si trova in stato di vera necessità e aiuta soprattutto attraverso la ridistribuzione in moneta e non in servizi gestiti dallo stato perché

A) ciò fa salva la libertà d’iniziativa e di scelta dei bisognosi

B) inoltre la fornitura dei servizi resta sottoposta all’iniziativa privata che ne garantisce l’efficienza.

La solidarietà cristiana non va confusa con il socialismo; Giovanni Paolo II, nella sua visita a Colle di Val d’Elsa, in provincia di Siena, il 30 marzo del 1996, ha pronunciato un discorso sulla solidarietà in cui ha detto:” è dunque l’ora di una nuova politica di solidarietà sociale, che non ha nulla a che vedere con l’assistenzialismo di comodo, dannoso alla lunga per gli stessi assistiti, ma che si basa piuttosto su interventi miranti a stimolare, nella prospettiva del principio di sussidiarietà, il senso di responsabilità e operosità delle categorie più deboli, assicurando loro al tempo stesso la possibilità concreta di esprimere le proprie capacità”. (3)

(Bruto Maria Bruti)

Bibliografia: 1) cfr. Iring Fetscher, Socialismo, in Enciclopedia del Novecento, Istituto Enciclopedia Italiana, vol.VI, Milano 1982, pag 878, 879

2) Giovanni Paolo II, Centesimus Annus, n.48

3) L’Osservatore Romano, ed. settimanale n14-2805-, 5 aprile 1996, pag 3, n.7

 

Bruto Maria Bruti
LA NOSTRA SESSUALITÀ
Felicità, desiderio e piacere nell’essere umano

pp. 168 – € 15,50
ISBN 978-88-7198-593-0

Questo libro è un sollievo. Il professor Bruti ci parla di cose belle, grandi, importanti. Ci parla di amore, di un progetto personale che si compie nell’unione con l’altro, del desiderio di potersi abbandonare nel completo godimento di un eterno abbraccio. È un sollievo, dicevo, leggere di noi stessi, della nostra sessualità e della persona che amiamo in questi termini. Dopo anni in cui gli «esperti» hanno tentato di convincerci che la gioia è «nient’altro che» un «orgasmo», che la persona amata è «nient’altro che» un «oggetto sessuale», che il sesso è «nient’altro che» un «meccanismo relativamente semplice che provvede alla reazione erotica quando gli stimoli fisici e psichici sono sufficienti», finalmente qualcuno ci dice che in realtà dell’altro ci sarebbe: il nostro desiderio di sentirci amati in modo unico, esclusivo, incondizionato, per sempre (dalla Presentazione di Roberto Marchesini).

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