Esiste la possibilità di ottenere vaccini integralmente“etici”, che non prevedano,cioè, in alcuna fase della produzione o di test il ricorso di materiale biologico umano di derivazione fetale? Ma, soprattutto, ha senso porsi il problema come hanno cominciato a fare, tra gli altri, alcune organizzazioni mediche e religiose, e la stessa Santa Sede, appellandosi alle case farmaceutiche perché sviluppino vaccini senza impiego di linee cellulari derivate da feti abortiti molti anni fa?
Il 21 dicembre scorso la Congregazione per la Dottrina della Fede si è espressa con una Nota dichiarando che «è moralmente accettabile utilizzare i vaccini anti Covid 19 che hanno usato linee cellulari provenienti da feti abortiti», per il «dovere di tutela della propria salute»» ma anche per il«perseguimento del bene comune», invitando tuttavia le case farmaceutiche e le agenzie sanitarie governative a «produrre, approvare, distribuire e offrire vaccini eticamente accettabili che non creino problemi di coscienza».«Il problema è assolutamente complesso e con molte sfaccettature», afferma Augusto Pessina,presidente del Gruppo italiano Staminali mesenchimali (Gism):«Occorre stare attenti a non darne letture superficiali o parziali. L’uso di linee cellulari umane stabilizzate di derivazione fetale è fortemente consolidato nei laboratori, e anche in questa occasione si è dimostrato l’iter più semplice, rapido e anche comodo da seguire. Rispetto ai vaccini attualmente disponibili o in fase di sviluppo –– oltre 130 – sappiamo che in alcuni sono state impiegate cellule fetali per i test mentre in altri per la produzione. Da oltre 50 anni non si usano più cellule embrionali di pollo o di altri mammiferi, come le cellule renali di scimmia, perché dopo decenni di utilizzo, ad esempio nei vaccini antipolio, alla fine sono state sostituite con linee fetali umane. Il problema, dunque, non è recente: già nel 2005, per il vaccino antir osolia e anti morbillo, analogamente a oggi, la Pontificia Accademia per la Vita aveva dato il via libera a causa dei gravi problemi provocati da queste infezioni con una serie di distinguo e ribadendo fortemente il dovere morale di continuare a cercare soluzioni alternative». Ma è possibile,dunque, farne a meno?«Il loro impiego non è imprescindibile– prosegue Pessina –, e infatti ci sono studi per cercare alternative attraverso la “riprogrammazione” di cellule adulte, ma sono ancora pochi e richiedono investimenti adeguati. Inoltre, le cellule cosiddette immortalizzate, ottenute anche nei nostri laboratori, possono essere usate in ricerca ma hanno ancora scarsa applicazione clinica. Il problema si è riproposto ora in modo più drammatico a causa della pandemia creando un legittimo dubbio di natura etica in molte persone. La Congregazione per la Dottrina della Fede, dichiarando lecito l’uso di tali vaccini per l’emergenza in corso, ha ribadito tuttavia che ciò non comporta un’approvazione morale dell’utilizzo di linee cellulari da feti abortiti, anche se si tratta di linee ottenute oltre 40 anni fa. Anche questo documento sottolinea la necessità di una legittima vigilanza e, soprattutto, di continuare la ricerca di valide alternative».
«Cerchiamo di non far emergere questa questione solo per l’ambito vaccinale», osserva Ernesto Burgio, pediatra, ricercatore di epigenetica e biologia molecolare da oltre vent’anni, membro del Comitato scientifico di Eceri, l’Istituto europeo di Ricerca su cancro e ambiente. «Le linee cellulari di derivazione embrio fetale –aggiunge – esistono da anni ma, a mio avviso, è sbagliato parlarne solo ora per i vaccini perché il problema è molto più generale. Volendo ricostruirne la storia, dal momento che è difficile mantenere in vita a lungo le cellule degli organismi superiori, nella ricercasi è sempre tentato di creare colture cellulari in grado di replicarsi nel tempo. Negli anni 50 e 60 sono state ottenute le prime linee cellulari immortalizzate provenienti da tumore umano, le cellule HeLa, dal nome di Henrietta Lacks, una giovane donna americana deceduta nel 1951. Fu infatti osservato che queste cellule tumorali continuavano a crescere fuori dal corpo in laboratorio, e ben presto si diffusero in tutto il mondo per la ricerca sul cancro e su molte altre malattie». Per quanto riguarda i vaccini, invece, «la storia ci dice che l’utilizzo di cellule animali ha mostrato nel tempo criticità su fronte della sicurezza. Quasi per caso negli anni 40e 50 durante un’epidemia di rosolia congenita si scoprì che l’utilizzo di materiale proveniente da feti abortiti era capace di riprodursi con maggiore facilità nel tempo e con minori problemi.
Nel dibattito etico, pertanto, la valutazione di associazioni quali l’americano National Catholic Bioethics Center, inizialmente critica, è diventata possibilista per seri motivi di salute pubblica, sottolineando un legame soltanto “indiretto” con la fonte originaria. Mi permetto,però, di dire che, senza minimizzare la questione etica, le criticità per i nuovi vaccini sono piuttosto quelle collegate al loro carattere sperimentale, con incertezze che necessitano di rigorosa vigilanza e di mettere in sicurezza il sistema non soltanto attraverso lo strumento della vaccinazione».«Non ho dubbi nell’affermare che, anche per i vaccini, all’uso delle staminali fetali possa contrapporsi con vantaggi maggiori quello delle staminali pluripotenti indotte (Ips), frutto di una tecnologia più efficiente, controllabile, affidabile e altamente riproducibile»: è il commento di Angelo Vescovi, direttore scientifico dell’Irccs Casa Sollievo della Sofferenza, presidente di Revert onlus e docente dell’Università Milano Bicocca. «Escludo senza ombra di dubbio che il materiale di derivazione staminale fetale sia il migliore rispetto a queste alternative “etiche”, su cui la scienza da tempo sta indagando con successo».
Avvenire Alessandra Turchetti
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