Il rapporto tra cristiani e Impero Romano fu da subito complicato perché il cristianesimo negava la fede delle divinità pagane, metteva implicitamente in discussione l’autorità imperiale e le istituzioni romane temevano di esserne indebolite.
L’unico periodo in cui vi fu anche un contrasto politico fu sotto Marco Aurelio con il sorgere dell’eresia Montanista. La persecuzione era prettamente religiosa e non politica.
Passarono tre secoli tra l’arrivo del Cristianesimo nell’impero romano e la conversione di Costantino: tre secoli di persecuzioni discontinue; la più feroce fu quella sotto Domiziano.
La persecuzione fu resa legalmente possibile da un senatoconsulto del 35 d.C., con cui il Senato – l’organo che in età giulio-claudia aveva il compito di accettare o respingere culti nuovi nell’impero – rifiutò una proposta di Tiberio (14-37), interessato alla pacificazione della Giudea, di riconoscere la liceità del culto di Cristo, sottraendolo al controllo del Sinedrio.
Lealtà e distinzione: l’atteggiamento dei primi cristiani verso l’Impero Romano
Nei primi secoli del cristianesimo, prima dell’avvento di Costantino, i seguaci di questa nuova fede si mostrarono leali all’Impero Romano, pur mantenendo una chiara distinzione tra la sfera politica e quella religiosa. Questo atteggiamento emerge chiaramente negli scritti apostolici, come la Lettera ai Romani di Paolo (capitolo 13) e la Prima Lettera di Pietro (2,13 e seguenti), e trova conferma nelle opere degli Apologisti, da Giustino a Melitone, da Atenagora a Tertulliano prima della sua adesione al montanismo.
I cristiani, grazie ad un profondo discernimento, erano in grado di distinguere tra gli aspetti negativi dell’Impero, derivanti dalle debolezze umane e dalla religione pagana, e la grandezza dell’idea ecumenica di Roma. Quest’ultima si concretizzava nella sintesi giuridica e nell’ordine civile che garantiva la pace, superando le differenze etniche, ricomponendo le antinomie tra greco e barbaro, conciliando imperium e pax. Un concetto ben espresso da Seneca (De Prov. IV,14) con l’espressione pax Romana: un mondo civilizzato a cui l’impero assicurava la pace.
Questa visione cristiana dell’Impero, preesistente all’età costantiniana e presente persino durante le persecuzioni, permise ad Atenagora, nel 177, di esprimere un fervido augurio per l’espansione dell’Impero (Supplica, 37) e spinse Tertulliano, prima del suo avvicinamento al montanismo, ad affermare che i cristiani pregavano per la sicurezza dell’Impero, la forza degli eserciti e la pace nel mondo (Apologetico, 30,4). Respingendo le accuse diffuse dai loro detrattori, ma non condivise dagli imperatori, Tertulliano dichiarava con orgoglio: “Cesare è più nostro perché stabilito dal nostro Dio” (Apologetico, 33,1).
La persecuzione sotto i vari imperatori nei primi tre secoli
Nerone.
Nerone (54-68) fu il primo ad applicare il senatoconsulto che proclamava il cristianesimo superstitio illicita ed a perseguitare spietatamente i cristiani di Roma, incriminandoli per l’incendio del 64 (Tacito, Ann XV, 44); successivamente crebbe anche la diffidenza della folla che, sempre secondo Tacito, odiava i cristiani per i loro delitti (flagitia), espressione con cui li si sospettava di infanticidio (così i pagani interpretavano il banchetto eucaristico) e di incesto (a motivo dell’uso dei cristiani di chiamarsi fratelli e sorelle).
Prima che Nerone iniziasse a perseguitare i cristiani (dal 62/64 d.C. circa), l’autorità romana si dimostrò spesso una forma di protezione per i primi cristiani, salvandoli da attacchi e accuse provenienti da ebrei ostili o dalla folla pagana. Anche San Paolo fu salvato dall’autorità romana finendo solo successivamente vittima, come Pietro, della persecuzione.
Domiziano
La dinastia Flavia non ebbe ostilità verso il cristianesimo sia con Vespasiano e Tito, sia con Domiziano (81-96), se non nell’ultimissimo periodo di quest’ultimo. Il cristianesimo fu anzi presente nella casa imperiale e nell’aristocrazia: ricordiamo Flavio Clemente, poi mandato a morte, e la nipote Flavia Domitilla. La persecuzione cristiana fu contemporanea a quella degli stoici (come avvenne sotto Nerone), classe dirigente di Roma che si oppose alla trasformazione teocratica del principato di Domiziano. La svolta domiziana del 95 implicò per i cristiani:
• accusa di ateismo (impietas), poiché negavano il culto agli dei di Roma nonché all’imperatore quale dominus et deus;
• accusa di ateismo, perdendo la liceità giuridica concessa al giudaismo sin dai tempi di Cesare;
• persecuzione non solo a Roma, ma in tutto l’impero.
Traiano
Nerva (96-98) pose fine alla persecuzione, ma Traiano (98-117) non poté ripetere il veto da lui opposto, come Tiberio, alle accuse contro il cristianesimo. L’opinione pubblica, in senato e nelle masse popolari, era favorevole alla repressione dei cristiani. Gli imperatori fino a Marco Aurelio provarono a limitare la persecuzione al non licet esse Christianos (non lecito esser cristiani), ovvero a una colpa individuale a carattere religioso evitando il collegium illicitum, ovvero la condanna come Chiesa. Traiano, nel suo famoso rescritto, prescrisse a Plinio una serie di raccomandazioni:
1. di non fare d’ufficio alcuna ricerca di cristiani a fini persecutori;
2. se essi fossero stati denunciati e avessero confessato, sarebbero stati da punire;
3. vietava di dare seguito alle denunce anonime, da non doversi accettare in alcun modo.
La cultura romana dominante fu comunque sempre più ostile ai cristiani, condannati da Tacito, Plinio e Svetonio, come superstitio prava e immodica, nova e malefica. Oppure, con Frontone, venne ripresa la vecchia calunnia dei flagitia, e i cristiani furono accusati di ateismo da Elio Aristide.
Marco Aurelio
La successiva dinastia Antonina si attenne al rescritto di Traiano: qualcuno in modo più restrittivo come Antonino Pio, altri in maniera più benevola. Ma quando tra i cristiani si diffuse l’eresia montanista con atteggiamenti antiromani, provocazioni contro i templi e le statue degli dei, alla ricerca del martirio, l’imperatore Marco Aurelio nel 177 decise di aggirare il divieto di Traiano di cercare i cristiani, permettendo la ricerca d’ufficio dei sacrilegi, ai quali l’opinione pubblica pagana equiparava i cristiani. Fu proprio sotto Marco Aurelio che avvenne il martirio dei 48 santi di Lione. Negli ultimi anni del suo regno, Marco Aurelio chiese ai cristiani di uscire dalla clandestinità e manifestare il lealismo che essi professavano verso lo Stato con l’aperta collaborazione; e minacciò la pena di morte agli accusatori dei cristiani.
Una nuova fase con Commodo
Il cristianesimo restava superstitio illicita, ma i cristiani non venivano ricercati in quanto tali: se denunciati e confessavano, venivano messi a morte, ma anche il loro accusatore veniva condannato. Ciò avvenne, appunto, sotto Commodo (180-192), figlio di Marco Aurelio, all’accusatore del senatore cristiano Apollonio. In questo modo si permetteva alla Chiesa di uscire dalla clandestinità, agli aristocratici cristiani di rivestire cariche pubbliche e di servire lo Stato, e si scoraggiavano le accuse private. Qualora i cristiani venissero ritenuti pericolosi per l’ordine pubblico, l’accusa di sacrilegio permetteva la ricerca d’ufficio.
Sotto Commodo e poi sotto i Severi, la Chiesa uscì dalla clandestinità e rivendicò la proprietà dei luoghi di culto, di riunione e dei cimiteri, che fino a quel momento erano rimasti sotto la protezione della proprietà privata: si stabilì una tolleranza di fatto, che non impedì persecuzioni locali da parte di governatori di province personalmente ostili o costretti dalle folle, ma escludeva persecuzioni generali.
Con Settimio Severo (193-211) i collegia religionis causa, che non avevano bisogno di riconoscimenti ufficiali, permisero alla Chiesa di esplicare in modo lecito le sue attività; al punto che, con Alessandro Severo (222-235), l’imperatore stesso – arbitro di una controversia fra la Chiesa di Roma e una corporazione professionale – poté giudicare apertamente a favore della prima.
La tolleranza divenne aperta simpatia per la nuova fede, favorita dal sincretismo religioso che, proveniente dall’Oriente, tendeva a concepire la molteplicità degli dei come immagini e simboli dell’unico dio solare. Anche l’organizzazione ecclesiastica era guardata con ammirazione, mentre la scuola catechetica di Alessandria (con Clemente e, soprattutto, con Origene), la prima “università cristiana”, suscitava stima e interesse anche fra i pagani.
L’integrazione dei cristiani nell’impero era ben avviata e con Filippo l’Arabo (244-249) si ebbe probabilmente il primo imperatore cristiano, la cui figura generò però la coalizione del paganesimo ufficiale, soprattutto della classe senatoria, contro il cristianesimo, da cui nasceranno le successive persecuzioni.
La prima persecuzione sistematica con Decio
Nel 250 uscì un editto di Decio (249-251) che imponeva a tutti i cittadini dell’impero il sacrificio agli dei e il ritiro di un certificato (libello) per attestare l’avvenuto sacrificio. Era un gigantesco censimento che, con logica caratteristica degli stati totalitari, doveva colpire proprio i cristiani.
Tra i cristiani, molti furono i lapsi, cioè coloro che, minacciati, non dichiaravano la loro fede. Questi, forti dell’immunità ottenuta, chiedevano di nuovo l’ammissione alla Chiesa, rivelando la fortissima vitalità del cristianesimo e l’inutilità della persecuzione condotta sulla linea esclusivamente religiosa del vecchio senatoconsulto.
I nemici dei cristiani si resero conto che, per battere il cristianesimo, si doveva combatterlo come Chiesa: con Valeriano (253-ca 260), nel 257, si abbandonò per la prima volta la linea di Traiano e si colpirono, con una serie di editti, i membri del clero e i laici delle classi dirigenti. Si confiscarono chiese, cimiteri e altri luoghi di riunione. Nel 258, poi, egli ordinò di mettere a morte, senza nessun altro preliminare che la semplice identificazione, tutti gli ecclesiastici precedentemente arrestati e, con essi, i senatori e i cavalieri cristiani, previa la perdita della dignità e la confisca delle sostanze. Esiliò le matrone e condannò ai lavori forzati i cesariani. Si scatenò una sanguinosa persecuzione generale, in cui l’apostasia non bastava per l’impunità.
Gallieno
Con il successivo Gallieno, la pace ritornò e i beni ecclesiastici furono restituiti e il cristianesimo divenne religio licita (Eusebio H.E. VII,13). I cristiani della classe dirigente impegnati nella vita pubblica e nell’esercito furono esplicitamente esonerati dal dovere del sacrificio agli dei.
Diocleziano
Ai 40 anni di pace seguì la terribile persecuzione di Diocleziano (303 d.C.), che fu sospesa in Occidente dopo le dimissioni di Massimiano (305) e nell’intero impero dall’editto di Serdica di Galerio (311). Dopo l’abdicazione di Diocleziano, in Occidente, con Costanzo Cloro e Massenzio, le persecuzioni cessarono. Proseguirono invece in Oriente fino al 311/313 con Galerio, Licinio e Massimino Daia.
L’editto di Serdica (311) emesso da Galerio mise formalmente fine alla persecuzione in tutto l’impero.
L’Editto di Milano e le sue conseguenze: un nuovo equilibrio tra Chiesa e Impero
A Milano nel febbraio del 313, Costantino e Licinio promulgarono il celebre Editto che avrebbe cambiato per sempre il volto dell’Impero Romano.
Si sanciva la fine del paganesimo come religione ufficiale e la libertà di culto veniva concessa “ai Cristiani e a tutti”. Il tutto nasceva dal considerare che la protezione divina (la pax deorum) fosse fondamentale per la prosperità dell’Impero. Si ammetteva l’impossibilità di determinare a priori quale fosse la divinità da onorare e in che modo, lasciando al popolo la libertà di scelta – un principio già presente nel Senatoconsulto dei Baccanali del 186 a.C.
Finiva lo stato persecutore ma si entrava in una nuova era in cui la persecuzione avrebbe preso altre forme.
Paolo Botti