L’ambulatorio di genetica della Mangiagalli ci chiede un colloquio per una donna che all’ecografia morfologica risulta aspettare un bambino che per il 99% sarebbe nato con un cervello che gli avrebbe permesso una vita solo vegetativa.
I genitori, Giovanna e Luca, avevano voluto quella gravidanza e, quindi, erano nella disperazione più profonda. Fissiamo un incontro e il martedì mattina cerchiamo di stabilire una relazione. Dopo le solite perplessità iniziali, cominciano a raccontare la loro storia. Sono sposati, hanno già un bambino di circa tre anni e desiderano un fratellino per Massimiliano. Arriva una seconda gravidanza che purtroppo si interrompe spontaneamente per una patologia rara. Altro tempo per ottenere gli esiti di controlli numerosi, ed ecco un’altra gravidanza. Viene loro consigliato di farsi seguire alla Mangiagalli; tutto bene fino al momento della ecografia morfologica in cui viene evidenziato qualcosa di grave. Sembra infatti che il cervello di questo bambino produca strane formazioni di cisti non meglio classificate che, dopo la nascita, gli impedirebbero qualsiasi funzione cognitiva.
Ascolto con grande emozione la sofferenza di questi due genitori; Giovanna piange, Luca le mette un braccio intorno alle spalle ma non riesce a consolarla. “L’abbiamo anche già detto a Massimiliano che ha promesso di lasciargli usare i suoi giochi!” Il mondo gli è come crollato addosso e, reiteratamente, continuano a parlarmi delle loro fantasie per questo secondo bambino e della grande fatica al pensiero di abortirlo.
Dentro di me sale una bolla di sofferenza e ripenso intensamente alle mie gravidanze senza problemi, sentendomi molto fortunata. Alla fine del lungo colloquio ecco la domanda “capestro”: “Se fosse figlio suo, che cosa deciderebbe?” Ecco, lo sapevo che saremmo arrivati al “capolinea”. Mi sento dire con una certa fatica: “Onestamente non lo so, non è figlio mio e non ho la ricetta del buon vivere in tasca. Di una cosa, però, sono certa: noi ci siamo. Qualunque cosa succeda a questo bambino, se dovesse nascere, faremo questa fatica insieme.”
Passano i mesi e di questa situazione non so più nulla; immagino che sia andata ad abortire. Un pomeriggio arrivo al Centro di Aiuto alla Vita e mi sento dire da chi è in segreteria: “Guarda che c’è una signora che ti vuole salutare”. Come faccio sempre in questi casi, mi tiro un po’ indietro. So che ci sono tanti appuntamenti e poi potrebbe capitarmi di non fare mente locale, per cui rispondo: “Salutala tu per me e, magari, fissale un appuntamento per un altro giorno.” Vengo nuovamente sollecitata da Maria Grazia: “Guarda che è una signora con la vestaglia, deve essere ricoverata qua in ospedale.” “E, allora, falla passare!” replico. “Buongiorno” dice la signora con la vestaglia “si ricorda di me?”
Da subito avevo capito di chi si trattava e il mio stomaco aveva iniziato a fare le “capriole”. “Come va Giovanna?” Domanda stupida ma non me ne erano venute altre. Pensavo alla velocità della luce: ci sarà un paradiso per gli operatori colti di sorpresa in questo modo! “Sono venuta a salutarla perché domani mi dimettono, e volevo che lei sapesse che Giacomo (sapevo che avevano pensato a questo nome) è nato”. Il momento era saturo della mia angoscia e pensavo a mille comunicazioni negative dette tutte in una volta. “E’ nato e sta bene, è un bambino perfetto!” C’era un orgoglio incredibile insieme alla sua felicità.
Dopo aver tirato un bel respiro, le ho chiesto: “Come ha fatto a decidere di farlo nascere?” “Quando sono uscita da questa porta, ho detto a mio marito che questo era mio figlio e che lo volevo comunque.” Raggiante continua: “Voglio dirle che non ho più fatto altri esami clinici e che mi sono sentita tranquilla per tutto il restante tempo della gravidanza; avevo preso la mia decisione e sapevo che avrei sempre potuto contare su di voi!” Non ho trovato altre parole ma l’ho abbracciata forte con dei bei lacrimoni che mi scendevano giù per le gote, ringraziando silenziosamente la Vita.
(dal blog di Paola Bonzi, meraviglioso…. )