Eluana e le tante vite degne da proteggere

Il 9 febbraio, nel giorno in cui Eluana Englaro è morta, è stata istituita la Giornata nazionale degli stati vegetativi.
Il termine ormai inizia a diventare desueto perchè negli anni si è modificata la definizione di stato vegetativo, approfondendone la conoscenza.
Un tempo si associava l’aggettivo “vegetali” a una sorta di morte, quasi all’assenza di vita.
Di conseguenza erano persone con una esistenza che non valeva più la pena di vivere.

In realtà si tratta di persone che hanno perso la propria autonomia, la capacità di interagire, ma non hanno perso la propria umanità.
Sono solo persone in condizione di estrema disabilità, che talvolta mantengono una vita interiore non visibile, che noi non percepiamo e non sappiamo valutare che gli scienziati oggi con tecniche di indagine innovative cominciano a scoprire.

I media ci hanno quasi convinti che chi è attaccato a un respiratore, o viene alimentato tramite un sondino, oppure è tenuto in vita dalle macchine artificialmente, stia inutilmente allungando la sua esistenza. Si sottointende quasi che rubi risorse preziose alla sanità, al welfare, perfino rubi tempo ai familiari e ai caregiver.
Eppure la medicina è proprio questo:
tenere in vita con farmaci, apparecchiature biomediche, protesi, artifici biotecnologici e qualsiasi cura ed aiuto, il malato.

Il sottointeso sui malati gravi, sui malati terminali, su chi ha stati di coscienza minima è che siano malati su cui il sistema sanitario non deve sprecare risorse e attenzione.

C’è dietro una concezione errata della dignità umana, come se la vita di un essere umano in certe condizioni conti poco.
Se non si è autosufficienti e pienamente coscienti o si non si sia produttivi e perfetti si prospetta una soluzione molto economica per lo stato.
L’eutanasia.
E’ una sorta di discriminazione che ha avuto il suo apice con il nazismo quando i disabili erano immediatamente scartati.
Viene meno tutto il patrimonio di valori laici (non esclusivi del cristianesimo) che permeano la società occidentale: l’eguaglianza, la fratellanza, la solidarietà, la cura dei deboli.
Si scardina il concetto di persona, che vale indipendente dalle situazioni esistenziali.

Pensiamo cosa accadde ad Eluana Englaro, che mai diede un consenso informato alla propria morte, decisa da un tribunale, su richiesta del padre, autorizzando la sospensione di acqua e cibo.
E’ successo a Charlie Gard, che nonostante l’opposizione dei genitori, è stato privato delle cure necessarie a vivere e lasciato morire su decisione di un tribunale, in nome del suo “best interest”.
Meglio per lui morire.

Abbiamo impiegato due millenni per arrivare a poter prenderci cura dei fragili e dei deboli con il welfare, l’assistenza sociale, le cure gratuite, i progetti per di sostegno ai malati.
E oggi rischiamo di tornare indietro con la scusa della libertà, con la scusa che “per vivere cosi, meglio farla finita”. Frasi che troppe volte sentiamo senza indignarci.
Se sentiamo un anziano o un malato che dice “non voglio essere un peso” ditegli che senza di lui il mondo. Il nostro mondo sarebbe piu’ povero e noi piu’ soli.
Nessuno è un peso.
Nessuno è di troppo.
Tutti vanno curati, aiutati e supportati, anche se non guariranno.
Tutti hanno dignità.

Paolo Botti

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