Questa è la lettera scritta da una donna che ha voluto raccontare così la sua storia. Una testimonianza di profonda sofferenza e di gioiosa rinascita. “Non hai lo sguardo di una donna che vuole abortire!” disse Rossana davanti ad una tazza di caffè fumante.
“Lo terrai questo bambino, te lo dico io!” Oggi ripenso a quella frase e mi viene da sorridere. Ero rimasta incinta senza volerlo, a un’età in cui persino il pensiero di avere un bambino fa girare la testa, figurarsi la notizia di aspettarlo davvero. Il padre era scomparso nel nulla appena dopo aver saputo. E con tutti i miei dubbi, le mie parole e la mia confusione, adesso ero là, davanti a Rossana, una bella signora gentile con gli occhi pieni di luce, che con assoluta certezza prediceva un futuro che non vedevo mio, che non sentivo mio.
Lei parlava di quel figlio e io intanto mi ripetevo “Che faccio qui? Di cosa parla questa donna?”. Il nome di Rossana mi era stato fatto per la prima volta in ospedale, il giorno in cui avrei dovuto abortire.
Avevo già fatto tutti gli accertamenti e la data era infine arrivata; alle otto del mattino ero già seduta in sala d’attesa, in attesa che mi chiamassero per fare l’intervento. C’era un’altra ragazza che aspettava con me, in compagnia del fidanzato. Quando arrivò l’infermiera a chiamarla, sentii che gli diceva “È inutile che aspetti qui, vieni a prendermi verso mezzogiorno, penso che per quell’ora avrò finito!”. Finito, tra qualche ora sarà tutto finito, pensai. L’infermiera pronunciò il mio cognome; mi alzai, feci qualche passo verso di lei, poi mi arrestai e, con sorpresa inaudita, sentii la mia voce che diceva dire: “No, io non entro… Ora non me la sento, vorrei spostare l’appuntamento.” Lei mi guardò interdetta, poi chiamò il chirurgo. Gli spiegai che non ero sicura, lui mi rispose in malo modo: “Torni quando lo sarà, non abbiamo tempo da perdere qui!”. Rimasi immobile nel corridoio per non so quanto tempo, con quella mia frase che girava ancora nell’aria. Poi mi avviai verso l’uscita.
Al piano terra, forse perché ero visibilmente agitata, mi avvicinò una donna che, qualificandosi come assistente sociale, mi chiese cosa avessi. Le raccontai l’accaduto e per la prima volta mi venne fatto quel nome: “Ci sono degli aiuti per le ragazze come te, ci sono i Centri di Aiuto alla Vita” – mi disse – “Ti scrivo qui il numero del più vicino, la responsabile si chiama Rossana!” Tornai a casa con quel foglio tra le mani e sprofondai di nuovo nella mia disperazione. Per me era impossibile tenere il bambino, altro che Centri e aiuti e responsabili di nome Rossana; chiamai di nuovo in ospedale e fissai un altro appuntamento. Poco importava che i miei genitori, saputo della gravidanza, mi avessero dato tutto il loro appoggio e implorato di non abortire. Una parte di me quel figlio lo rifiutava, lo respingeva. Alla vigilia del mio secondo appuntamento in ospedale, chiamò il padre del bambino. Era passato più un mese dall’ultima volta che lo avevo sentito. Voleva sapere se avessi risolto il “problema”. Andai su tutte le furie, d’istinto gli dissi che avevo deciso di tenerlo, quel figlio che lui non voleva. Riattaccai, ero così sconvolta che ebbi un mancamento e cominciai a perdere sangue. Fu allora che diventai madre. Chiamai i miei genitori: “Portatemi al Pronto Soccorso, non voglio perdere questo bambino!” In ospedale mi dissero che avevo avuto una minaccia di aborto e mi curarono.
Una volta uscita, col mio bambino nel grembo, chiamai Rossana e la incontrai. Una, due, infinite volte. Lei e un sacerdote mi accompagnarono ogni giorno della gravidanza. Fu molto difficile, piena di angosce e di incertezze, ma loro erano lì, a ripetermi quanto questo bambino mi avrebbe reso felice, anche quando la madre che era in me scompariva di nuovo e tornava la ragazza impaurita che voleva farla “finita”. Oggi Gabriele è un bel bambino di quattro anni ed è la cosa più bella che abbia mai visto! Lo guardo dormire e mi avvicino per ascoltare i suoi respiri. Ha gli occhi che sembrano due stelle. È la stessa luce che ho trovato e trovo, ogni volta che ne ho bisogno, negli occhi di Rossana. Ora so cos’è: è la luce della vita! Lei prima, e poi il mio Gabriele, “Potenza di Dio”, hanno rimesso la luce nella mia vita.