Terapie e scelte: i diritti «mancanti» esistono già

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Esiste una retorica sui diritti alla fine della vita, secondo la quale ci sarà sempre una situazione aggiuntiva in cui i cittadini non potranno morire con dignità, cioè un “vuoto legislativo”.

Si fa leva sulle emozioni delle persone e crea un facile consenso, ma non si basa su dati reali:
basta osservare le precise disposizioni di legge e le illogiche disposizioni degli stessi medici per rendersi conto che le disposizioni sul pre-trattamento, il consenso informato e il diritto a morire con dignità sono questioni che sono state considerate in passato e che sono state definite con precisione. Non c’è quindi alcun vuoto legislativo e non c’è nemmeno un’urgenza. Esiste già il principio che lo Stato contribuisce a preservare la vita e non concede mai la morte.

E quando una vita sta per finire, non si interviene per accellerare la morte, ma per curare il dolore, alleviarlo, difendendo la su dignità fino alla fine.

Lo afferma la legge 38/2010, per cui è «tutelato e garantito» questo «diritto»: «Accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore», «al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona umana». C’è poi il tema del consenso informato, che già nel 2013 la Cassazione (sentenza 19220/2013) aveva definito «vero e proprio diritto della persona»: un diritto fondato sia sui «principi espressi nell’articolo 2 della Carta costituzionale, che tutela i diritti fondamentali dell’individuo», sia sugli «articoli 13 e 13» della stessa Carta, laddove sanciscono che «la libertà personale è inviolabile» e che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Princìpi ripresi dal Codice di deontologia medica, che dopo aver regolato all’articolo 33 «informazione e comunicazione con la persona assistita», al successivo articolo 35 tratta esplicitamente il «consenso e dissenso informato». Ma c’è di più. Questo testo, che in ambito medico ha forza di legge, già disciplina le cosiddette Dat. «Il medico – si legge infatti all’articolo 38 – tiene conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento espresse in forma scritta, sottoscritta e datata da parte di persona capace e successive a un’informazione medica di cui resta traccia documentale». Ma il sanitario, avverte il Codice, «procede comunque tempestivamente alle cure ritenute indispensabili e indifferibili».

Pertanto, è necessario garantire un fine vita dignitoso, il diritto di ricevere informazioni mediche complete e il diritto di scegliere le cure mediche da ricevere e da non ricevere (ad eccezione dell’alimentazione e dell’idratazione non mediche). Questa è una prova contraria alla posizione del “vuoto normativo”, poiché quasi tutti gli aspetti attualmente in discussione in Assemblea sono già regolamentati in dettaglio. In realtà, il problema è altrove. Coloro che promuovono questa prospettiva stanno contemplando un’inversione legale da una legge che protegge la vita a una legge che consente la morte su richiesta.

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