Dall’avvento dell’islam ad oggi i cristiani nell’area oggi chiamata Turchia hanno sofferto molto e in forme diverse.
L’islam si espanse dal VII secolo verso la regione mediorientale e il Nord Africa; l’espansione ebbe una battuta d’arresto a Poitiers nel 732 grazie all’esercito franco di Carlo Martello. L’espansione fu anche verso Est, fino all’India.
Dopo gli imperi arabi dei califfi omàyyadi (661-750) e abbàsidi (750-1258), che ebbero per capitale prima Damasco poi Baghdad, sorse l’impero ottomano dei turchi selgiuchidi, che nel 1453 conquistarono Costantinopoli, la capitale dell’impero romano d’Oriente (cioè la seconda Roma) e vi trasferirono il centro politico e religioso dell’impero.
Stessa sorte toccò ai Balcani di fede ortodossa, fino al 1683 con l’infruttuoso assedio di Vienna da cui iniziò la fase calante dell’impero ottomano.
Vi fu quindi una grande espansione territoriale e militare con alcune sconfitte territoriali come in Sicilia nel X secolo e della penisola iberica tornata cristiana completamente nel 1492. Altre sconfitte furono temporanee come gli Stati crociati o franchi dall’XI al XIII secolo.
Tre dei quattro patriarcati cristiani dell’antichità: Gerusalemme, Antiochia e Alessandria passarono sotto il controllo Ottomano con il passaggio dei cristiani ad uno statuto particolare in società islamizzate. Fu il primo trauma, passare da una società cristiana alla condizione di Dhimmi: alle religioni del libro (ebrei e cristiani) era riconosciuto lo status di «protetti», o dimmi, per praticare la propria religione e conservare le proprie tradizioni, in cambio avevano limitazioni di ordine giuridico, religioso e sociale, e dovevano pagare la jizya, una tassa procapite.
Il sistema dei Millet
Per gestione della convivenza dei diversi popoli che aveva conquistato l’impero Ottomano adottò il sistema dei millet (nazioni), con cui si dava riconoscimento giuridico alle diverse componenti confessionali presenti nell’impero: il musulmano, che era quello principale e dominante, l’ebraico, il greco-ortodosso e l’armeno. Solo successivamente, su pressione occidentale nel XIX secolo, vennero riconosciuti i millet di varie comunità cattoliche orientali.
Ogni millet era una sorta di sotto-stato sottoposto a limitazioni giuridiche ed economiche, eccetto il millet musulmano. Ogni nazione era rappresentata davanti alla Sublime Porta dalla massima autorità religiosa riconosciuta, la quale aveva non soltanto un ruolo di rappresentanza degli interessi religiosi della singola nazione, ma anche di carattere politico e soprattutto amministrativo.
Le riforme del 1839 e del 1856 nell’Impero Ottomano portarono all’abolizione delle discriminazioni e ad un ruolo di protezione dalle potenze cristiane nei confronti dei rispettivi millet (le comunità religiose). Si ebbe una fase di prosperità in cui le comunità cristiane poterono studiare altre lingue e le dottrine politiche liberali e socialiste, migliorando la condizione sociale ed economica con le libere professioni e i commerci. Il relativo benessere permise di chiedere alla Sublime Porta riforme strutturali nell’organizzazione dello Stato, ispirate ai principi liberali e all’uguaglianza sociale.
Un ulteriore sviluppo si ebbe con l’opera di missionari europei, sia cattolici latini sia protestanti, che aprirono scuole e collegi e fondarono ospedali, portando nel XIX secolo, il tasso di scolarizzazione delle comunità cristiane ad un livello più alto di tutto l’Impero Ottomano.
Nel 1914, i cristiani costituivano circa il 24% della popolazione dell’Impero (30% nelle attuali Siria, Libano, Giordania e Palestina), ma con il nazionalismo del XX secolo questo sistema andò in crisi. Il primo grande crollo si ebbe con il primo massacro degli armeni (e di altre comunità), deciso dal Governo centrale.
Con la fine della prima guerra mondiale, l’impero ottomano si dissolse, ma per le comunità cristiane residenti nell’area, la nascita della nazione turca non fu positiva. I cristiani furono infatti estromessi dalle istituzioni. Al potere andarono i “Giovani Turchi” nazionalisti, che accentuarono il loro autoritarismo ed entrarono ben presto in conflitto con gli armeni, specialmente con la parte che chiedeva l’indipendenza o l’autonomia della regione abitata dalla maggioranza armena.
Il Conflitto con gli Armeni
Nella giovane Turchia, staccarsi dal mondo arabo era stato digerito, ma era invece impensabile l’autonomia di una parte dell’Anatolia a maggioranza armena. Gli armeni, considerati fedeli alla Sublime Porta, divennero un pericolo per lo stato turco e ritenuti braccio armato della Russia, che aveva da sempre lottato contro gli ottomani e li aveva da poco sconfitti, facendo degenerare l’Impero ottomano.
Il Massacro dei Cristiani Armeni
Si passò quindi a una repressione contro gli armeni, attuata sia con truppe regolari, sia incitando contro di essi le tribù curde e circasse, tradizionali nemiche delle comunità cristiane, facendo appello alla guerra santa, il jihad, contro gli infedeli cristiani. Paradossalmente, i Giovani Turchi erano laici e indifferenti al lato religioso, ma fecero ricorso al jihad e alla motivazione religiosa per poter fomentare le rappresaglie delle popolazioni musulmane contro i cristiani, avvertiti ormai come nemici irriducibili del nuovo ordine “panturco”. Gli storici calcolano che la sollevazione contro gli armeni costò la vita a circa un milione e mezzo di persone.
Il tutto avvenne senza particolari rilievi delle cancellerie europee, troppo coinvolte nella guerra in corso. Lo stato turco nacque così eliminando i non turchi e i non musulmani; infatti, oltre agli armeni, anche i greco-ortodossi furono espulsi. Nel 1922, dopo la guerra greco-turca, il governo turco decise uno scambio di popolazioni: 1.344.000 cristiani greco-ortodossi turchi furono deportati in Grecia e 464.000 musulmani greci furono trasferiti in Turchia.
La Turchia Laica di Kemal Atatürk
La Turchia moderna si definì una repubblica laica, in cui la costituzione sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge “senza distinzione di opinione o di religione”, e stabilisce solennemente “la libertà di culto, di religione e di pensiero”. Questa caratteristica rappresentò una grande differenza rispetto agli altri stati musulmani, ma non si trattò di una semplice separazione tra stato e Chiesa come avviene nei paesi occidentali.
Nell’Islam, sia nella sua forma più radicale e fondamentalista che in quella moderata, non c’è separazione tra la sfera religiosa e quella politica; le due dimensioni sono strettamente interconnesse. Invece, nel mondo cristiano, esistono due autorità distinte: quella spirituale di Dio e quella temporale di Cesare, entità separate e autonome nei rispettivi ambiti di competenza.
Per Mustafa Kemal Atatürk (1881-1938), il fondatore della Turchia moderna, laicizzare lo stato non significava distinguere e separare gli ambiti di competenza dei due poteri secondo il modello europeo, ma piuttosto eliminare la religione dall’ambito pubblico e sottoporre a tutela statale l’organizzazione del culto. Nel 1924 venne creata la Presidenza degli Affari Religiosi per assicurare che la religione non mettesse in discussione l’identità secolare della Repubblica Turca. Dal 2002 ad oggi serve a promuovere l’islam sunnita hanafita, confessione maggioritaria della Turchia, sostenendo uno stile di vita tradizionale in patria e promuovendo l’islam turco all’estero.
Ai tempi di ataturk emano’ il divieto per le donne di indossare il velo nelle università e negli uffici pubblici, divieto rimosso negli ultimi anni con l’avvento di governi più conservatori.
Atatürk: Un Modello di Islam Moderato
La maggioranza della popolazione turca si definisce musulmana sunnita, ma gli aleviti, un ramo degli alauiti sciiti, costituiscono più del 20% della popolazione e praticano un Islam moderato, considerato eretico da alcuni, comunque alieno dalle tendenze fondamentaliste. Gli aleviti non velano le donne, sono monogami, non pregano in moschea, non vanno in pellegrinaggio alla Mecca, non osservano le cinque preghiere giornaliere e sostituiscono il digiuno del Ramadan con l’astinenza dell’Ashura. Politicamente sono filokemalisti.
Il laicismo di stato praticato dai governi kemalisti fu seguito, negli anni della guerra fredda, da una politica più tollerante verso la religione. Di fronte all’incapacità dei governi kemalisti di affrontare il terrorismo curdo comunista e separatista, dopo il colpo di stato del 1980 il potere fu affidato, su suggerimento dei militari e degli Stati Uniti, a Turgut Özal, una figura religiosa sufi con ampio consenso popolare. In quel momento, l’appello alla comune fede musulmana sunnita sembrava l’unica via per controllare il separatismo curdo. La prematura morte di Özal aprì un periodo di instabilità politica e sociale, mentre guadagnava consensi il partito Refah (Benessere) di ispirazione islamica sunnita, guidato da Necmettin Erbakan. Nelle elezioni politiche del 1995, il partito ottenne la maggioranza dei suffragi: per la prima volta in Turchia, un partito di forte ispirazione religiosa vinceva e veniva chiamato a governare.
La Turchia di Erdogan
Dal 2002, Erdogan governa la Turchia e, sebbene i cristiani godano di alcune libertà, molti diritti sono loro negati come la libertà di culto. Nonostante la costituzione turca garantisca la libertà di religione, le autorità impongono limitazioni sulle nuove costruzioni di chiese o sinagoghe, e talvolta possono verificarsi atti di vandalismo contro luoghi di culto cristiani. Anche la libertà di espressione delle loro convinzioni religiose è parzialmente negata. Un cristiano straniero può frequentare le chiese liberamente; più rischioso e talvolta impossibile è per i convertiti turchi, ritenuti apostati e per questo pericolosi per la sicurezza del paese. L’apostasia non è un reato, ma nel concreto ha conseguenze gravi.
Inoltre, qualsiasi critica al governo o alla religione musulmana può portare a conseguenze legali o sociali. Per i cristiani, questo vuol dire non poter diffondere materiali catechistici, Bibbie o Vangeli, o diffondere in loco riflessioni in turco. Altro problema è la questione dei diritti di proprietà, che può riguardare sia le chiese che le proprietà personali. Le controversie sulla proprietà possono essere complesse e spesso si risolvono a favore delle autorità o di altri gruppi.
Paolo Botti