Il genocidio armeno (il Grande Male)

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Sémhur, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

Prima di parlare di ciò che avvenne in Armenia, occorre introdurre il Califfato e la potenza turca.

Nel 1453, Costantinopoli, un tempo conosciuta come la Nuova Roma e considerata la terza città santa della Cristianità, venne conquistata dai Turchi Ottomani. Sotto il loro dominio, la città subì una trasformazione radicale, diventando un importante centro musulmano. A partire dal 1517, Costantinopoli divenne la sede del califfato ottomano, mantenendo questo ruolo per circa 400 anni, fino al 1924, quando il califfato venne abolito con la fondazione della Repubblica di Turchia da parte di Mustafa Kemal Atatürk. Durante questo lungo periodo, la città divenne non solo il centro politico, ma anche il fulcro religioso dell’Islam.

Quando si pensa alla Turchia e al Califfato, in Occidente spesso emerge un senso di colpa legato a eventi storici complessi, difficili da interpretare secondo i parametri moderni, come le Crociate, intraprese per liberare Gerusalemme dall’occupazione musulmana e fermare l’espansione verso Occidente. Tuttavia, quando si discute delle colpe storiche, raramente si fa riferimento alle azioni turche, che per secoli dominarono vaste aree dell’Europa orientale, ritirandosi verso il Bosforo solo dopo una lunga serie di sanguinose guerre e rivolte.

I Turchi per secoli ostacolarono la libera navigazione nel Mediterraneo, devastandone le coste con frequenti incursioni piratesche. Questa minaccia costante contribuì al sottosviluppo del Sud Europa, costringendo molte popolazioni a ritirarsi dalle zone costiere, perennemente in pericolo, e rifugiarsi nell’entroterra, spesso in regioni montuose e inospitali, subendo gravi danni alle città costiere. Ad esempio, la presa di Rodi nel 1522 e il sacco di Nicosia nel 1570 sono tra gli episodi più noti che dimostrano l’influenza del califfato sulle coste europee. Anche le città come Algeri e Tripoli divennero basi per operazioni di corsa e incursioni contro le coste europee.

Fino alla metà del XIX secolo, i Turchi imponevano ogni anno a ogni famiglia cristiana nei Balcani, in Grecia e in gran parte dell’Europa orientale la cessione di un figlio maschio. Questo veniva convertito all’Islam e arruolato nel corpo d’élite dei Giannizzeri. Tale pratica militare crudele consentiva ai Sultani di utilizzare contro i cristiani guerrieri spietati, che erano i loro stessi figli.

Un genocidio oscurato

Eppure, i sensi di colpa ingiustificati legati alle Crociate hanno posto un silenzio pesante su temi come la pirateria ottomana, i Giannizzeri e molte altre atrocità commesse dall’Impero Ottomano, che appaiono trascurabili rispetto alla timidezza con cui l’Occidente ha affrontato — o meglio, ha taciuto — quanto accaduto al popolo armeno. E questo popolo non è come tanti altri: già nel 301, molto prima delle leggi di tolleranza di Costantino, in Armenia nacque il primo regno cristiano della storia.

Parliamo di un vero e proprio genocidio: “Atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale, tra cui: uccidere i membri del gruppo; causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo; infliggere deliberatamente condizioni di vita destinate a distruggere il gruppo; impedire la nascita di bambini all’interno del gruppo; trasferire forzatamente i bambini del gruppo a un altro gruppo.”

Il “Grande Male” (come gli armeni chiamano il loro Olocausto) iniziò con la crisi dell’Impero ottomano e l’emergere del nazionalismo turco, a cui la parte cristiana cercò di reagire. Alcuni partiti, di ispirazione socialista e condannati dalla Chiesa, ricorsero anche alla lotta armata. Tra il 1894 e il 1896, una serie di massacri ordinati dal sultano Abdülhamid portarono alla prima strage di 300.000 armeni e a migliaia di conversioni forzate all’Islam.

La pulizia etnica era solo agli inizi: pochi anni dopo, i “Giovani Turchi” del Comitato Unione e Progresso, che stavano preparando la rivoluzione del 1908, iniziarono a ipotizzare una strage definitiva per tutti gli armeni. Nel 1909, fecero una terribile “prova generale” con lo sterminio di 30.000 armeni della Cilicia, sotto l’occhio indifferente delle Potenze sedicenti cristiane, impegnate in un gioco politico tra Turchia e Russia. Come già in passato, la Chiesa cattolica fu l’unica a sollevarsi per denunciare e protestare, attraverso documenti, azioni diplomatiche e articoli ufficiosi su La Civiltà Cattolica.

Con lo scoppio della guerra, nel 1914, la Turchia, alleata dei Tedeschi e degli Austro-Ungarici, subì una disfatta contro i russi sul fronte caucasico (dicembre-gennaio 1915), in un’area a maggioranza armena. Nel Comitato Unione e Progresso si diffuse la sindrome dell’accerchiamento, la teoria del complotto e l’insistenza sulla necessità di creare una nazione etnicamente omogenea. Di conseguenza, gli armeni dai 18 ai 60 anni furono reclutati nell’esercito ottomano, quindi isolati in gruppi di cento e massacrati.

Mentre i soldati armeni nell’esercito ottomano venivano disarmati, sfruttati come bestie da soma fino all’esaurimento delle forze e poi fucilati, per il milione e duecentomila armeni del Caucaso giunse da Istanbul l’ordine di deportazione verso il remoto deserto asiatico, iniziando così a “scomparire”. Seguì una serie di eventi spaventosi: chi non veniva ucciso dalle baionette, dalla fatica o dalle percosse moriva di fame, sete e prostrazione, arrivando al “punto d’arrivo”, dove non c’era altro che sabbia. Il segnale per l’inizio della deportazione fu dato il 24 aprile, con l’arresto di numerosi membri dell’élite armena di Costantinopoli. Ufficialmente, venne avviata una deportazione per allontanare gli armeni, accusati di connivenza con le truppe zariste, dalle zone di confine. La gran parte venne sterminata lungo il cammino, in particolare tramite annegamenti collettivi. Chi sopravvisse fu internato in campi di concentramento nel deserto siriano, dove malattie, fame e sevizie terminarono l’opera del genocidio.

Alla fine della guerra, non c’erano più armeni nel Caucaso: lo sterminio aveva causato la morte di oltre un milione di persone, e i pochi superstiti si rifugiarono in Russia o si dispersero nella diaspora. Nelle regioni occidentali della penisola anatolica, Kemal Atatürk, l’eroe nazionale noto come “Padre dei turchi”, completò l’opera con nuove stragi e con la cancellazione della condanna a morte che, subito dopo la guerra, lo Stato ottomano aveva emesso contro i politici responsabili del genocidio. Dopo la fine del conflitto, i liberali ottomani avevano avviato un processo contro i responsabili dei massacri, sotto la pressione delle potenze alleate. Tuttavia, nel 1923, le stesse potenze, esauste dalla guerra in Europa e preoccupate per l’avanzata sovietica, negoziarono con Atatürk il trattato di Losanna, archiviando così la “questione armena” e garantendo l’impunità per i crimini commessi. In Turchia, parlare di “genocidio armeno” è oggi ufficialmente vietato.

Gli Stati Europei di Fronte al Genocidio Armeno

Le opinioni pubbliche europee furono informate quasi immediatamente dei massacri grazie alla rete di missionari americani, ancora neutrali nel 1915, che riuscirono a rimanere in Anatolia. Sebbene non sia riportato nel libro, gli archivi vaticani conservano l’esclamazione di Papa Leone XIII del 6 dicembre 1915: «Miserrima Armenorum gens ad interitum prope ducitur» [l’infelicissimo popolo armeno è quasi condotto all’annientamento].

Il 24 maggio 1915, un mese dopo i primi massacri in Anatolia, i governi alleati informarono pubblicamente la Sublime Porta, il governo dell’impero ottomano) che avrebbero ritenuto responsabili tutti i membri del governo turco e i funzionari coinvolti. Tuttavia, il cancelliere tedesco Von Bethmann-Hollweg dichiarò: «Il nostro unico obiettivo è conservare la Turchia al nostro fianco fino alla fine della guerra, che gli armeni debbano perire o meno». Inoltre, Otto Göppert, consigliere presso gli archivi tedeschi, sollecitò il governo a distruggere documenti per evitare future richieste di risarcimenti.

Dopo i massacri del 1894-1896, Jean Jaurès aveva assunto la guida in Francia di un vasto fronte pro-armeno, ma la reazione ai massacri di Adana del 1909 fu molto più cauta, nonostante tali eventi possano essere considerati una “prova generale” del genocidio. Nel primo caso, la responsabilità veniva attribuita al “sultano sanguinario”, simbolo del dispotismo ottomano; nel 1909, invece, liberali e socialisti europei volevano ancora credere nell’avvento della libertà nell’impero e nella fine del “malato d’Europa”.

La posizione turca sul genocidio è stata quella di ridurre il numero delle vittime: i 300.000 morti armeni che la Turchia è disposta a riconoscere non sarebbero eccezionali rispetto ai 3 milioni di turchi scomparsi nel primo conflitto mondiale. Inoltre, la Turchia ha negato l’esistenza di un piano preordinato di sterminio, attribuendo la maggior parte delle morti a bande irregolari o agli stenti causati dalla guerra. La deportazione degli armeni è stata giustificata con l’imminente “tradimento” armeno, amplificando il numero dei volontari nell’esercito zarista e attribuendo a tutta la popolazione rurale l’atteggiamento delle avanguardie rivoluzionarie più politicizzate.

Le cause ideologiche e politiche del genocidio armeno

Il genocidio armeno, che ebbe luogo durante l’Impero Ottomano, è spesso considerato da molti storici come l’atto di nascita della Turchia repubblicana. Le sue radici sono complesse, intrecciando fattori ideologici, politici e sociali.

Il genocidio armeno «costituisce l’atto di nascita della Turchia repubblicana» e ci sono numerose prove storiche che suggeriscono che gran parte dell’industria turca si sia edificata sui beni confiscati agli armeni, mai reclamati poiché i legittimi proprietari erano stati uccisi. Moltissimi edifici privati e pubblici, a cominciare dal palazzo presidenziale di Ankara, simbolo della “nazione turca”, fanno parte di questi beni (cfr. Bozarslan, Duclert e Kévorkian).

L’ideologia dei Giovani Turchi, secondo Bozarslan, si fondava su un darwinismo sociale che vedeva la storia come una competizione tra razze rivali, dove la razza più forte schiacciava inevitabilmente la più debole. In questo contesto, il Comitato Unione e Progresso rappresentava uno dei primi esempi di un regime non solo autoritario, ma decisamente totalitario. La celebre frase “Yok kanun? Yap kanun” (Non c’è una legge? Fai la legge) riflette perfettamente lo spirito di imposizione di un potere assoluto. Fu questa mentalità, più che la religione islamica, a costituire la vera radice del genocidio.

Secondo l’ambasciatore americano Henry Morgenthau, coloro che concepirono il crimine avevano motivazioni ben diverse: la maggior parte di loro era atea e non rispettava né l’Islam né il Cristianesimo. La loro motivazione principale fu un’implacabile politica di Stato. Tuttavia, l’Islam venne utilizzato come strumento per legittimare un’azione omicida che, pur facendo leva su un pretesto religioso, non aveva radici religiose vere e proprie, ma si fondava piuttosto sulla riattivazione del concetto e della prassi del jihad.

Nonostante le innumerevoli prove storiche e le testimonianze internazionali, nessun governo turco ha mai riconosciuto ufficialmente il genocidio armeno. Per decenni, il governo turco ha favorito una politica di negazione, amnesia e riluttanza. La memoria storica del genocidio è stata sistematicamente ignorata o distorta, alimentando una narrazione che ha reso difficile, se non impossibile, una vera presa di coscienza da parte della società turca. In questo contesto, gli atteggiamenti di molti leader turchi, sia del passato che del presente, riflettono il rifiuto di confrontarsi con il genocidio come parte integrante della storia nazionale.

Pur condannando i massacri del 1920 in un intervento parlamentare, definendoli un «atto vergognoso», Atatürk scelse però di affidarsi a membri locali del Comitato Unione e Progresso per occupare posizioni di potere. Nel 1920, Atatürk chiese a uno dei suoi generali di prestare aiuto agli armeni del Caucaso, ma subito dopo inviò un secondo telegramma cifrato in cui ordinava di «distruggere l’Armenia politicamente e fisicamente». La guerra di liberazione nazionale completò così ciò che il genocidio non aveva potuto realizzare: l’annientamento quasi totale della presenza armena in Turchia.

Erdoğan, nel lodare gli unionisti, li definisce «i nostri antenati», pur riconoscendo che fossero un po’ troppo atei per i suoi gusti. Tuttavia, l’ossessione uniformatrice del kemalismo non si limitò alle minoranze religiose. Nei decenni successivi alla proclamazione della Repubblica, anche le popolazioni curde, che furono tra gli autori materiali del genocidio, pagarono un prezzo elevato.

Taner Akçam, storico turco-tedesco tra i maggiori studiosi del genocidio, ha affermato: «La nostra esistenza… significa l’assenza di un’altra entità, i cristiani. Accettare il “1915” significa accettare che dei cristiani abbiano vissuto su queste terre, il che equivale a proclamare la nostra inesistenza». Come sottolineato da Papa Francesco, «ricordarli è necessario, anzi doveroso, perché laddove non sussiste la memoria, il male tiene ancora aperta la ferita; nascondere o negare il male è come lasciare che una ferita continui a sanguinare senza medicarla!» (Santa Messa per i fedeli di rito armeno, saluto all’inizio della celebrazione, 12 aprile 2015).

Testimonianze di un arabo musulmano sullo sterminio degli armeni

Una testimonianza importante dal mondo musulmano sul genocidio degli armeni è il testo scritto da Fayez el-Ghossein, Il beduino misericordioso. Testimonianze di un arabo musulmano sullo sterminio degli armeni (pagg. 120, € 14,00). Il libro di Fayez è ricco di testimonianze storiche. Lawrence d’Arabia lo cita nei Sette pilastri della saggezza come suo amico fidato; el-Ghossein fu inoltre consigliere di re Feisal, magistrato a Damasco e avvocato.

Composto in arabo nel 1916 e pubblicato l’anno successivo, non riuscì, tuttavia, a fermare l’opera di negazione del genocidio portata avanti dalla Turchia di Kemal Atatürk, Fayez el-Ghossein, giovane avvocato di Damasco e figlio di uno sceicco beduino della Siria ottomana, era un alto funzionario arabo. Accusato di guidare un movimento rivoluzionario, fu condannato prima a morte, poi all’esilio, confinato a Diarbakir. Lì, per sei mesi e mezzo, ebbe modo di «vedere e ascoltare, da fonti autorevoli, tutto ciò che accadde agli armeni».

Nel suo libro ricorda anche i pochi giusti che tentarono di sottrarsi alla barbarie e c’è una certa analogia tra i burocrati dello sterminio armeno e quelli tedeschi che trent’anni più tardi avrebbero compiuto i medesimi orrori verso gli ebrei.

El-Ghossein stimò il numero delle vittime in circa un milione e duecentomila, sulla base dei dati che raccolse personalmente, dei censimenti nelle province armene e del numero di sopravvissuti.
Provo’ a smontare le accuse dei turchi contro gli armeni , colpevoli secondo il governo turco di aver organizzato rivolte armate per ottenere la secessione. Accuse false dettate da motivazioni etniche più che religiose, tanto da coinvolgere anche gli armeni convertiti all’Islam. Vi era una spiegazione politica e sociale, legata alla vivacità intellettuale della comunità armena, che rappresentava una minaccia per i “Giovani turchi”.

Certamente El-Ghossein non nasconde che vi fosse una chiara intenzione anti-cristiana, ma, da musulmano fervente, ritiene che, al contempo, l’azione dei turchi fosse anche anti-islamica. Denuncia gli atti dei turchi come contrari alla religione di Maometto, citando passi del Corano che gli assassini hanno contraddetto con le loro azioni, e sottolinea il vero significato dell’Islam — un significato di fratellanza, umiltà e misericordia. Ed è proprio la difesa della sua fede che ispira la sua testimonianza, il che la rende ancora piu’ attendibile.

Ancora oggi, il genocidio armeno non è riconosciuto dalla Turchia e continua a essere causa di tensioni e ritorsioni nei confronti di qualsiasi nazione o personalità che lo menzioni o lo commemori.

La Chiesa Armena oggi

Solo una minima parte della storica patria armena è oggi conosciuta come Repubblica dell’Armenia. Questa terra, situata sull’asse Oriente-Occidente, è stata spesso schiacciata tra i conflitti e le mire espansionistiche dei suoi potenti vicini. Nonostante le innumerevoli perdite, il popolo armeno è sempre rimasto saldamente ancorato alla propria fede cristiana, riuscendo nel corso dei secoli a sviluppare una civiltà cristiana profonda e radicata. Tra i più eminenti intellettuali armeni, Khatchadour Abovian considerava irrinunciabile la difesa della Cristianità e della lingua madre, scritta con un alfabeto unico, creato nel 405 dal sacerdote della Chiesa Apostolica Armena, San Mesrob Mascdotz.

Gli armeni, per la maggior parte, non sono cattolici, ma appartengono alla Chiesa armena autocefala, che conta circa 8 milioni di fedeli. Questa chiesa è pre-calcedoniana, poiché le persecuzioni subite dai persiani impedirono ai patriarchi armeni di partecipare al Concilio di Calcedonia nel 451, separandosi così dottrinalmente dalla Chiesa Cattolica Romana. Solo una piccola parte della popolazione armena è cattolica, e i cattolici armeni sono oggi circa 100.000, sparsi in diverse regioni del mondo. Nonostante questa divisione, entrambe le tradizioni cristiane condividono una radice comune, seppur distinte nei loro sviluppi teologici e liturgici.

La Chiesa Armena ha deciso di canonizzare le vittime del Genocidio Armeno, un atto che affonda le sue radici in una tradizione secolare. La decisione è stata presa grazie alla convocazione di tutti i vescovi armeni, tra cui quelli guidati da Sua Santità Gareghin II, Catolicos e Supremo Patriarca di Tutti gli Armeni, e quelli legati al Catolicosato della Grande Casa di Cilicia, presieduto da Catholicos Aram I. Questo Sinodo è stato l’unico luogo in cui si poteva prendere serenamente la decisione di santificare i martiri caduti durante il Genocidio del 1915. L’ultimo Sinodo di tale portata era stato riunito nel 1441, quando venne sancito il ritorno della Sede del Catolicosato alla Santa Sede di Etchmiadzin, dopo che era stata spostata in Cilicia alla fine dell’XI secolo per motivi bellici. La canonizzazione dei Martiri è stata una questione su cui i venerabili vescovi delle quattro sedi della Chiesa Apostolica Armena (Etchmiadzin, Cilicia, Costantinopoli e Gerusalemme) avevano lavorato per decenni, e il Sinodo del settembre 2013 ha rappresentato il culmine di questo lungo e laborioso processo.

La Chiesa Armena si è sempre battuta per il riconoscimento del Genocidio Armeno e per il risarcimento dei danni subiti. A causa di quel “Grande Male”, il popolo armeno ha subito violazioni inenarrabili. Numerosi sacerdoti sono stati torturati e assassinati, mentre conventi, istituzioni religiose, scuole, ospedali e abitazioni, tanto private quanto appartenenti a organizzazioni religiose, sono stati distrutti o confiscati. I sopravvissuti sono stati costretti a emigrare in tutto il mondo, dovendo ricostruire le proprie vite lontano dalla loro terra natale.

Oggi, più di 10 milioni di armeni vivono sparsi in 120 Paesi diversi, creando una situazione che può essere definita “anomala”. Questo rappresenta un crimine contro l’umanità. Si auspica che il popolo turco riconosca ufficialmente il Genocidio perpetrato dai propri antenati, consentendo alle nuove generazioni di distaccarsi dall’etichetta di “criminali assassini”.

In Italia, la Chiesa Apostolica Armena è presente con una sede centrale a Milano, nella Chiesa dei Quaranta Martiri, attiva dagli anni ’50. Centinaia di armeni vivono nella città e nella provincia di Milano. Esistono la Casa Armena, l’Unione degli Armeni d’Italia e il Consolato Onorario della Repubblica Armena. Il Pastore della Chiesa Armena di Milano, considerato anche il Pastore degli Armeni d’Italia, si occupa delle anime degli armeni che risiedono a Roma, Bari, Torino, Perugia, Venezia e in tutte le altre città italiane dove la comunità armena è presente.

Bibliografia:

Il genocidio degli armeni – Marcello Flores, Einaudi, 2006.
Storia del genocidio armeno. Conflitti nazionali dai Balcani al Caucaso – Vahakn N. Dadrian, Rizzoli, 2003.
Il genocidio armeno: 100 anni di silenzio. Lo straordinario racconto degli ultimi sopravvissuti – Alessandro Aramu, Gian Micalessin, Sandro Teti Editore, 2015.
1915: genocidio armeno – Hasan Cemal, Guerini e Associati, 2016.
Il genocidio armeno. Una storia lunga un secolo – Omar Viganò, Edizioni Paginauno, 2020.
Comprendre le génocide des arméniens. De 1915 à nos jours – Hamit Bozarslan, Vincent Duclert, Raymond H. Kévorkian, Tallandier, 2016.
Il beduino misericordioso. Testimonianze di un arabo musulmano sullo sterminio degli armeni – Fayez el-Ghossein, Guerini e Associati, 2005.

Paolo Botti

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