Il termine “Cyberbullismo” fu coniato dall’educatore canadese Bill Belsey nel 2002 e venne definito come quella forma di prevaricazione volontaria e ripetuta nel tempo, attuata mediante uno strumento elettronico, perpetuata contro un singolo o un gruppo con l’obiettivo di ferire e mettere a disagio la vittima di tale comportamento, che non riesce a difendersi.
Spesso i genitori e gli insegnanti ne rimangono a lungo all’oscuro, perché non hanno accesso alla comunicazione in rete degli adolescenti. Pertanto può essere necessario molto tempo prima che un caso venga alla luce.
Il progetto ECIP-DAPHNE II, mette in risalto un decisivo aumento del fenomeno in Italia. Il 25% dei 1960 ragazzi intervistati ha dichiarato di aver subito episodi di cyberbullismo da due a più volte al mese.
Ricerche più recenti, confermano che l’età maggiormente coinvolta nel fenomeno è quella adolescenziale, con un picco notevole intorno ai 13-15 anni. Uno dei ragazzi intervistati dagli autori (M, 13 anni) commenta così la sua risposta: “Si, penso che ci siano meno bulli tra i ragazzi più piccoli, principalmente perché i più piccoli non possiedono ancora un cellulare o non lo sanno usare ancora bene”.
Un altro problema rilevato nell’analisi della letteratura scientifica sul bullismo elettronico riguarda il silenzio delle vittime. Nello studio di Slonje e Smith (2008) la metà delle vittime dichiara di non aver confidato a nessuno di aver subito atti di cyberbullismo. Per quanto riguarda la restante parte, il 35,7 % lo ha confidato ad un amico, l’8,9% ne ha parlato con i genitori e il 5,4% ha scelto un’altro adulto di riferimento con cui confidarsi. Tra le risposte ottenute nessuno ha segnalato di averne parlato con un insegnante. Uno dei ragazzi intervistato commenta così la sua risposta “essere vittima di cyberbullismo non deve essere facile. Anche perché nessuno oltre alla vittima lo verrà a sapere, quindi è più difficile chiedere aiuto!”.
Anche per quanto riguarda il bullismo online, la letteratura scientifica mette in evidenza come, essere coinvolti in un episodio di cyberbullismo, possa rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo di problemi psicologici piuttosto gravi, un’eccessiva passività nelle relazioni interpersonali e un progressivo isolamento sociale.
L’essere bersaglio delle prepotenze del bullo, ripetutamente nel tempo, denota una forma di vittimizzazione che può aggravarsi fino alla messa in atto di condotte auto- aggressive, come attacchi rivolti al proprio corpo, e nei casi più estremi comportamenti autodistruttivi, come il suicidio.
Negli Stati Uniti sono stati studiati diversi casi di aggressioni elettroniche, in cui le pressioni psicologiche che le vittime subiscono diventano così estreme da condurle al suicidio, episodi definiti da alcuni autori come Cyberbullicide.
A cura di Giuseppe Cuoghi, Psicologo, U.O. Medicina delle Dipendenze, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona. Tratto da “Formazione continua sulla personalizzazione delle cure” di Viviana Olivieri, Verona, 2015.