Sono passati alcuni mesi dalla morte di padre Alberto, il sacerdote che per dieci anni mi ha fatto compagnia in Paraguay. E sono passati già 25 anni da quando il 7 settembre 1989, insieme a lui, sono partito da Milano con il solo biglietto di andata. È stato don Giussani a mandarmi in questo paese tropicale così diverso dal mio. E per mostrarmi tutto il suo affetto volle accompagnarmi all’aeroporto di Linate. Fu lì che mi consegnò a padre Alberto dicendogli: «Fagli compagnia». Da quel momento è stato per me un fratello, un amico e una guida senza la quale mi sarei perso nella disperazione della depressione. Riporto di seguito l’omelia che ho pronunciato a Forlì il giorno del suo funerale.
Caro Alberto, ricordo quando camminando nel parco dell’Iguazù ci siamo detti: il primo che sopravvive fra i due, avrà il compito di seppellire l’altro. E così eccomi qui, venuto dal Paraguay per rendere omaggio a questa promessa. È toccato a padre Alberto ritornare al Padre, anche se pensavo il contrario. Cosa ricordare di lui, della nostra amicizia se non alcuni fatti che documentano che solo vivendo per Gesù la vita è bella! E la nostra vita è stata bella perché eravamo coscienti di appartenere a Cristo. Don Giussani era certo che Alberto sarebbe stato in grado di sollevarmi da una situazione difficile. Debbo riconoscere che, dentro a tutte le difficoltà, ha saputo accompagnarmi come un padre fa col proprio figlio.
Quest’amicizia da subito è stata sacramentale e questa coscienza ci riconduceva alla verità di noi. Quando ci arrabbiavamo c’era un solo punto da cui ripartire: la confessione reciproca. Lo facevamo ogni lunedì mattina. E la penitenza era la recita del Salmo 125, dove pianto e canto sono in perfetta simbiosi. Nei primi 10 anni di vita insieme abbiamo sofferto molte vicissitudini, ma con la grazia di Dio nulla ha potuto schiacciarci.
Alberto era l’economo, il capo della casa, e lo faceva bene, anche se da buon romagnolo era tirchio. Per lunghi anni ho vissuto di ciò che mi insegnava. Abbiamo girato tutte le parti meridionali del Paraguay: io guidavo, Alberto leggeva ad alta voce un libro dopo l’altro, o diceva il santo rosario; lo stesso rosario che in questi mesi in cui siamo tornati a vivere insieme era ancora più frequentemente nelle sue mani. La libertà era il contenuto della nostra convivenza. Durante il giorno quest’amicizia era come una calamita che faceva sì che c’incontrassimo con frequenza. Per molti anni anni ci hanno fatto compagnia le Marlboro: due pacchetti al giorno. Rosario e Marlboro erano un bel duetto nel clima tropicale in cui vivevamo. Mi ricordo che quando la temperatura raggiungeva i 40° andavamo a recitare il rosario nell’aeroporto di Assunción, dove c’era l’aria condizionata.
Quanta pazienza ha avuto nel sostenermi, depresso com’ero. Usava il metodo più sano ed efficace che ci sia: l’affetto e il bastone. Il bastone in particolare per evitare che mi autocommiserassi e questo mi faceva inviperire perché mi rendevo conto che non c’erano alternative a quest’obbedienza. A causa della mia malattia dipendevo da lui, nonostante avesse otto anni in meno di me. Per non perdere ciò che amavo, non potevo non obbedire a lui che mi indicava il cammino. La circostanza più evidente della verità della nostra amicizia emerse dopo una litigata provocata da una mia domanda: «Chi dice che mi stai accompagnando secondo i criteri di don Giussani e non secondo i tuoi? Alberto, se non vai a Milano e non verifichi con lui il nostro convivere, è meglio che ognuno se ne vada per conto proprio». Due giorni dopo era sull’aereo per Milano. Tornato mi disse: «Giussani ha detto di dirti che devi avere fiducia nella nostra amicizia e che il metodo è quello giusto». Don Giussani me lo ripeteva sempre: «Alberto è un uomo umile, semplice, per cui intelligente». Che bello l’ultimo gesto vissuto insieme: dieci giorni prima di partire per l’Italia, ci siamo confessati seguendo il criterio che ci eravamo dati 25 anni prima.
Caro Alberto, chiedo una cosa per i nostri amici: che sperimentino che un’amicizia è vera sola quando nasce dalla confessione. È da lì che nasce la passione per Cristo. È un cammino lungo, noi lo stavamo percorrendo.
Articolo tratto da www.tempi.it
per gentile concessione della redazione (7-7-2023).
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