Infanzia e Matrimonio
Elisabetta Canori nacque a Roma il 10 gennaio 1774 in una famiglia agiata. La sua infanzia fu serena, ma la sua vita subì una brusca svolta quando la famiglia sprofondò nell’indigenza a causa dei problemi lavorativi e vicissitudini economiche del padre. Elisabetta e la sorella Benedetta furono mandate in convento a Cascia, mentre i genitori lottarono per rimettersi in sesto.
Tornata a Roma, Elisabetta sposò Cristoforo Mora, un avvocato. L’inizio del matrimonio fu apparentemente felice, ma ben presto Cristoforo si invaghì di un’altra donna, trascurando la moglie e le figlie. L’amante lo manipolò al punto da prosciugare gradualmente le sue risorse economiche e distrarlo dalla professione, portandolo infine alla rovina. E questo avvenne nonostante Elisabetta gli avesse dato quattro figlie, due sole delle quali sopravvissero.
Cristoforo, infedele marito e padre assente, non provò alcun rimorso nel lasciare la famiglia senza mezzi di sostentamento, ma concesse alla moglie piena libertà nell’educazione delle figlie. Elisabetta, pur soffrendo per il tradimento sfacciato consumato sotto i suoi occhi, non si lasciò indurire il cuore né perse la sua femminilità. Anzi, arrivò persino a pregare per l’amante del marito, sperando di incontrarla un giorno in paradiso e insegnò alle figlie a rispettarla, nonostante, da un punto di vista umano, non se lo meritasse.
Fedeltà e Sofferenza nelle Difficoltà Coniugali
Elisabetta reagì ai maltrattamenti fisici e psicologici del marito con totale fedeltà. Le figlie, Marianna e Maria Lucina, nacquero rispettivamente nel 1799 e nel 1801. Elisabetta fu costretta a guadagnarsi da vivere con lavori di cucito, mentre si occupava delle figlie e della cura della casa, dedicando però anche tempo alla preghiera, al servizio dei poveri e degli ammalati. Molte persone si rivolgevano a lei per necessità materiali e spirituali.
La situazione familiare precipitò ulteriormente quando Cristoforo, ormai completamente assente, lasciò la famiglia in balia delle cognate con cui tutti insieme vivevano. Queste, ostili e invidiose, trattarono Elisabetta con freddezza e disprezzo, arrivando persino a privarla delle figlie per un intero anno, impedendole di mandarle a scuola. Anche questa parte della sua vita confermò l’eroica fedeltà di Elisabetta a un uomo che arrivò a pretendere da lei, sotto la minaccia di un coltello puntato alla gola, un’autorizzazione scritta a frequentare l’amante, nella speranza di evitare la galera cui, a quel tempo, andavano incontro gli adulteri e gli immorali. La denuncia di adulterio partì dalle sorelle, ma a farne le spese fu principalmente Elisabetta, che iniziò a temere per la sua stessa incolumità.
La Vita Spirituale e l’Impegno nella Chiesa
Nonostante questi enormi problemi, Elisabetta non si lasciò abbattere e trovò forza e conforto nella preghiera, abbracciando una vita di profonda spiritualità e entrando nel ramo secolare dei Trinitari. Dedicò la sua vita alla conversione del marito, al Papa, alla Chiesa e alla città di Roma. Si impegnò nella cura dei bisognosi, aiutandoli con generosità e umiltà. La sua fede si intensificò, guidandola lungo un percorso mistico di purificazione e unione con Dio.
La fama della sua santità, delle sue esperienze mistiche e dei doni che ricevette, come la scrutazione dei cuori, lo spirito di profezia e i poteri taumaturgici, si diffuse. Raccontò la sua ascesi in un diario, scritto per obbedienza al confessore e pubblicato con il titolo «Nel cuore della Trinità». Come la beata Anna Maria Taigi, di cui fu amica, e san Gaspare del Bufalo, profetizzò un periodo di intensa oscurità durante il quale i demoni avrebbero ucciso i malvagi, mentre Pietro e Paolo, gli apostoli, avrebbero protetto “tutti i veri e buoni cattolici”.
Morte e conversione del marito
La sua vita divenne un esempio di amore incondizionato, perdono e dedizione al prossimo. Il sacrificio e la perseveranza di Elisabetta non furono vani. Prima della sua morte, il 5 febbraio 1825, vide un segno di speranza: il marito, pur rimanendo distante nelle sue abitudini, iniziò a mostrare un cambiamento; infatti durante i quaranta giorni di malattia che precedettero la sua morte, Cristoforo era più presente, disposto anche a starle vicino.
Elisabetta però non ebbe la gioia terrena di vederlo convertito: le sue abitudini al male erano immutate, e anche nella notte del 4 febbraio Cristoforo uscì per le sue infedeltà notturne, rientrando all’alba del giorno successivo. Ma Elisabetta era già morta da alcune ore: Cristoforo si abbandonò a pianti disperati davanti al corpo senza vita della moglie, un pianto sincero e profondo, l’inizio della purificazione dei ventisette anni di sofferenze inflitte a Elisabetta.
In quel momento ebbe inizio la sua conversione: pochi mesi prima, Cristoforo aveva perso anche la sua amante, e questo evento, unito alla morte di Elisabetta, lo scosse profondamente. Da impenitente donnaiolo, divenne un devoto vedovo che nella preghiera e nelle lacrime cercava di redimere il suo tremendo passato. Si innamorò nuovamente di Elisabetta, riconoscendo che «l’aveva fatta santa con i suoi strapazzi» e pubblicamente ammise i suoi errori e le sue infedeltà, dichiarando: «Una simile madre non si trova al mondo, e io sono indegno di esserle stato consorte». Il suo cammino di conversione culminò con il suo ingresso nell’ordine francescano e la sua ordinazione sacerdotale nel 1834, realizzando così la “profezia” della moglie che anni prima alle sue frequenti derisioni e prese in giro rispondeva con frasi che ora riusciva a capire: «Ridete, ridete, voi direte la Messa e confesserete», o anche: «Verrà anche per voi la Notte di Natale».
Elisabetta Canori Mora, morta il 5 febbraio 1825, lasciò un’eredità di fede e speranza, e nel 1994 fu beatificata da San Giovanni Paolo II, diventando un esempio luminoso di fedeltà a Dio, al matrimonio, alla vita.
Testo di Paolo Botti