Shiho Ohtake è una scultrice giapponese di 29 anni. Per chi non la conoscesse, lavora stabilmente nell’imponente e singolare opera del genio Gaudí, la Sagrada Família, a Barcellona. Ebbene, un’artista di siffatta statura e di un simile livello si è presa, per così dire, una “pausa”, per dipingere alcuni murali nel settore di pediatria della casa Divina Provvidenza san Riccardo Pampuri, nella parrocchia San Rafael, situata nel quartiere Tembetary ad Asunción. Un’esperienza – ci racconta nell’intervista che segue – che le ha permesso di crescere e conoscere amici e compagni che affrontano i problemi guardando verso uno stesso ideale.
Il suo maestro è il giapponese Etsuro Sotoo, scultore incaricato di continuare i lavori della maestosa Sagrada Família di Antoni Gaudí, a Barcellona. Ciò che ha convinto Shiho Ohtake ad accettare questo impegno non come un azzardo ma come una scommessa interessante e ragionevole, (lei non conosceva nulla di questo paese) fu il vedere l’espressione che “riempiva” il viso del suo maestro di ritorno dal Paraguay: «Spesso Sotoo ci parlava di questo luogo, della Clinica e dei suoi amici in modo bello e appassionato». Shiho Ohtake ci svela che come artista è seguace della stessa “filosofia” del suo famoso maestro: non inventa niente, semplicemente «aiuta a far uscire quello che nella Creazione stessa Dio ha già messo» e che è reperibile dentro ogni frammento, ogni pietra e opera esistente. Guardare, osservare fino in fondo e con intensità ogni singola cosa per “scovare” la mano stessa del Creatore, capire come essa si è mossa e si muove.
È stato così sin dall’inizio della sua esperienza con Sotoo, quando lei si è proposta di lavorare insieme a lui per terminare la Sagrada Família: questa giovane insegnante di arte ci racconta che fu proprio il suo maestro a invitarla ad addentrarsi e immergersi nello stesso sguardo di Gaudí, cercando di comprendere in profondità l’opera del genio architetto e di coglierne il più possibile il senso.
Così, poco a poco, ha cominciato a scoprire il cristianesimo, la fede e la bellezza che nascono da Lui, e cioè quello che motivava tutta la creazione artistica di Gaudí. Ha desiderato e desidera tuttora guardare nella stessa direzione dove guardava Gaudí, e proprio per questo si è decisa a iniziare la catechesi: «Voglio ricevere il Battesimo – afferma la scultrice – questa esperienza mi ha aperto mente e cuore e nel mio lavoro ho scoperto un gusto prima impensabile».
Che cosa stai realizzando nella clinica Divina Provvidenza?
Sto dipingendo i corridoi del settore di pediatria, con scene e quadri della creazione del mondo. Io non sono definibile come “pittore” né voglio fare cose di per sé speciali; io non posso creare niente da me stessa, posso soltanto lasciare fare a Dio quello che Lui vuole. Desidero piuttosto essere strumento di Dio, il suo strumento in tutto il mio lavoro.
Come sei arrivata in Paraguay per questo incarico?
Non conoscevo niente di questo paese, però mi sono fidata del mio maestro Sotoo, perché quando parlo con lui del Paraguay, della clinica di San Rafael, di padre Aldo e dei suoi compagni, il suo viso si trasforma, si illumina, diventa allegro; veramente il suo volto cambia. Tra l’altro lui abitualmente non è un tipo che parla tanto, per questo ti viene sempre da osservare il suo viso, i suoi occhi. Ed è stato questo il fatto che ha acceso il mio desiderio di venire in questo paese, perché volevo vedere anche io quello che lui aveva visto quando è venuto qui.
Ti ha raccomandato qualcosa?
Certo. Prima di venire in Paraguay Sotoo mi ha detto che il mio compito era sì quello di dipingere dentro la clinica, ma che più importante di questo era il mio desiderio di imparare: «Devi saper guardare per capire come fare quello che vedi. Se non riesci a dipingere non succede niente, non c’è problema, la cosa importante è imparare a guardare», mi ha detto. Per questo, i giorni prima di iniziare a dipingere volevo osservare, conoscere tutto e tutti, perché se non conosco bene per me è impossibile dipingere.
Come è stato lavorare nell’ambiente della clinica?
Io non ho molta esperienza a stare con i pazienti di un ospedale. Per questo all’inizio avevo un po’ di paura e pensavo tra me e me quale fosse il modo migliore per avvicinarmi e diventare loro amica, fino a dove poteva giungere il mio rapporto con loro. Un compagno della Casa-Ospedale mi ha risposto dicendomi che potevo arrivare fino a dove volevo io, perché in questo posto, mi diceva, quelli che lavorano cercano di essere amici dei pazienti e di padre Aldo, guardando lui. Questo è veramente differente da come sono cresciuta io, perché in Giappone certamente rispettiamo molto le persone anziane, ma manteniamo una certa distanza da loro.
Che valutazione fai della tua esperienza in Paraguay?
Sebbene qui non mancano certo problemi di convivenza, di rapporto tra la gente, e ci sono persone che vivono grandi difficoltà, come i pazienti e le loro famiglie, ho visto questa grande cosa: che padre Aldo e i suoi compagni, i pazienti e le loro famiglie guardano veramente nella stessa direzione. Si vede quando camminano insieme, come guardano e vivono il medesimo ideale. Per me questo è molto importante. Questo modo di vivere lo voglio portare a Barcellona, e voglio parlare ai miei amici e compagni di questa esperienza. Mi sono sentita molto aiutata, è stata un’esperienza molto positiva. Posso dire che sono così contenta che vorrei ritornare qui.
Che cosa significa per te lavorare nella Sagrada Família?
Nella Sagrada Família lavoro tutti i giorni della settimana. Si tratta di costruire la chiesa, la cattedrale ma in realtà ho capito che questo tempio non significa solo pietre, mura, edificio. La genialità di questa opera è data dal fatto che rende visibili le cose invisibili (che sono ben più reali) come la cultura, l’amore, la bellezza, l’unità, la vita di una persona. È un’opera che per sua natura unisce la gente, fa guardare verso lo stesso punto.
Hai detto che «lavorare nella Sagrada Família mi ha fatto desiderare Dio». In che senso?
Quando lavoro nella Sagrada Família penso sempre a “dove” guardava Gaudí, perché dobbiamo seguirlo se vogliamo fare bene quest’opera. Per esempio, quando Gaudí nel suo progetto indica che va messa una pianta in un preciso posto, dice soltanto quello, nient’altro; ma quale pianta? Di quale forma? Allora dobbiamo immaginare e guardare quello che lui immaginava e guardava. Gaudí ci ha lasciato altri elementi che danno una traccia del suo pensiero, per questo diventa fondamentale uscire dal proprio pensiero per concentrarsi intensamente sulla sua opera. Quello che possiamo vedere con chiarezza è che per lui la cosa più importante è Dio, allora tutto il nostro muoverci e operare è per Dio, questo è quello che si impone a chi osserva.
È vero che hai chiesto di ricevere il sacramento del battesimo?
Lavorare nella chiesa della Sagrada Família mi ha fatto sorgere il desiderio di continuare la stessa esperienza che avevo vissuto in Paraguay, iniziata con l’incontro di Dio nella mia vita. Per sapere chi veramente fosse Gaudí ho dovuto immergermi nella sua esperienza. L’ho studiato molto, ma mancava ancora qualcosa. Per questo motivo voglio imparare il cristianesimo e ora sono impegnata nella catechesi perché voglio ricevere il battesimo per capire sempre di più. La questione è questa: se non faccio mio il cristianesimo, se non posso sentire Dio, non posso neppure lavorare.
Aldo Trento- 2013 – Tempi
Articolo tratto da www.tempi.it
per gentile concessione della redazione (7-7-2023).
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