Eremiti nel deserto delle città

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Chi sono gli eremiti? e dove vivono?
Gli eremiti italiani sono generalmente di età compresa tra i 50 e i 60 anni e sono per lo più laici, anche se non mancano sacerdoti, suore e frati.
Vivono da soli, dedicandosi alla preghiera, al lavoro silenzioso e si danno regole di vita differenti:
alcuni scelgono di non dormire mai fuori dalla loro abitazione, mentre altri possono allontanarsi per necessità, sempre con l’approvazione di un superiore.
Vi sono casi in cui accolgono gruppi di preghiera silenziosa, mentre in altri si dedicano alla direzione spirituale e alle confessioni, ed hanno diverse modalità di comunicazione con il mondo: alcuni usano la posta elettronica o il telefono, altri evitano internet o rispondono al cellulare solo in determinati orari.
Alcuni eremiti sono più restii alla visibilità, rifiutando interviste o permettendo di essere fotografati solo sotto particolari condizioni.
Si tratta quindi di realtà diverse, animate tutte dal desiderio di preghiera e vicinanza a Dio.
Le regole degli eremiti, pur variando da persona a persona, condividono alcuni principi fondamentali, tra cui la preghiera e il silenzio, che sono al centro della loro vita. Queste regole, pur mantenendo la centralità di questi elementi, vengono sempre approvate dal vescovo della diocesi in cui l’eremita risiede.

Codice di Diritto Canonico, can. 603
§ 1.
Oltre agli istituti di vita consacrata, la Chiesa riconosce la vita eremitica o anacoretica con la quale i fedeli, in una più rigorosa separazione dal mondo, nel silenzio della solitudine, nella continua preghiera e penitenza, dedicano la propria vita alla lode di Dio e alla salvezza del mondo.
§ 2.
L’eremita è riconosciuto dal diritto come dedicato a Dio nella vita consacrata se con voto, o con altro vincolo sacro, professa pubblicamente i tre consigli evangelici nelle mani del Vescovo diocesano e sotto la sua guida osserva il programma di vita che gli è proprio.

Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 920 – 921 e 2687
920.
Senza professare sempre pubblicamente i tre consigli evangelici, gli eremiti, “in una più rigorosa separazione dal mondo, nel silenzio della solitudine e nella continua preghiera e nella penitenza, dedicano la propria vita alla lode di Dio e alla salvezza del mondo” [⇒ Codice di Diritto Canonico, 603, 1].
921.
Gli eremiti indicano ad ogni uomo quell’aspetto interiore del mistero della Chiesa che è l’intimità personale con Cristo. Nascosta agli occhi degli uomini, la vita dell’eremita è predicazione silenziosa di Colui al quale ha consegnato la sua vita, poiché egli è tutto per lui. È una chiamata particolare a trovare nel deserto, proprio nel combattimento spirituale, la gloria del Crocifisso.
2687.
Numerosi religiosi hanno dedicato l’intera loro vita alla preghiera. Dopo gli anacoreti del deserto d’Egitto, eremiti, monaci e monache hanno consacrato il loro tempo alla lode di Dio e all’intercessione per il suo popolo. La vita consacrata non si sostiene e non si diffonde senza la preghiera: questa è una delle vive sorgenti della contemplazione e della vita spirituale della Chiesa.

San Giovanni Paolo II, Vita Consecrata, nn. 7 e 42
7.
Gli eremiti e le eremite, appartenenti ad Ordini antichi o ad Istituti nuovi, o anche dipendenti direttamente dal Vescovo, con l’interiore ed esteriore separazione dal mondo testimoniano la provvisorietà del tempo presente, col digiuno e la penitenza attestano che non di solo pane vive l’uomo, ma della Parola di Dio (cfr. Mt 4, 4).
Una tale vita «nel deserto» è un invito per i propri simili e per la stessa comunità ecclesiale a non perdere mai di vista la suprema vocazione, che è di stare sempre con il Signore.
42.
[…] Gli eremiti, nella profondità della loro solitudine, non solo non si sottraggono alla comunione ecclesiale, ma la servono con il loro specifico carisma contemplativo.

Testimonianze di Eremiti Contemporanei

Don Michele Fortino – L’eremita nel cuore di Cosenza

Don Michele Fortino, dopo anni passati in clausura, nella certosa di Serra San Bruno, ha fatto la scelta di consacrarsi, con l’approvazione del vescovo, come eremita nella città di Cosenza.
«A prima vista può sembrare una contraddizione, ma in realtà non lo è. La presenza di un eremita in città dice che l’uomo non è un ostacolo all’incontro con Dio, anzi ne è una via privilegiata. Può esserci, in città, l’accoglienza dell’altro nell’ascolto, senza che si perda di vista la contemplazione, il silenzio, il nascondimento».
«Semi radicati nelle pieghe della città e nella storia degli uomini».

Padre Domenico Maria Fabbian – L’eremita nel cuore di Padova

Anche Padre Domenico Maria Fabbian abita in città, e fa l’eremita nel cuore di Padova dal 2000.
La sua giornata inizia alle 5 del mattino con la Liturgia delle Ore, seguita dalla Messa e dall’adorazione eucaristica. Trascorre il pomeriggio confessando nella chiesa del Corpus Domini, dove molte persone lo cercano per consigli spirituali. È arrivato alla decisione definitiva dopo aver frequentato per qualche tempo il seminario minore e poi una comunità. Sono seguiti gli anni di medicina, il fidanzamento, un’esperienza di lavoro in Francia, l’incontro con la fraternità di Gerusalemme, che pratica l’eremitismo nel cuore di Parigi.
«In città c’è il massimo di relazioni e il massimo di cose da fare, da vedere e da vendere. Al centro di questa realtà, in cui si concentrano tutte le possibilità dei beni umani, con il rischio di dimenticare Dio, al Signore piace mettere un richiamo al senso della vita, a qualcosa di diverso da ciò che si fa tutti i giorni. L’eremita, in un certo senso, rappresenta una specie di campanello e di provocazione». Va considerato anche l’aspetto economico: vivere in città ha un suo costo. Per chi è sacerdote e può ricevere l’aiuto dall’istituto per il sostentamento del clero, le cose sono più semplici, ma per i laici, uomini e donne, la scelta diventa quasi proibitiva. Spesso c’è chi aspetta l’età minima per avere una piccola pensione per poter vivere da eremita, mentre, dopo una mezza giornata di lavoro, dedicano al silenzio e alla contemplazione il resto della giornata.
«Per questo è importante la nostra presenza. In una città come Padova, dove un terzo dei nuclei abitativi è composto da single, ci sono molte persone che subiscono la solitudine. La presenza di qualcuno che sceglie l’isolamento, ma che è sereno, è un segno di speranza per tutti. Il solo fatto di esserci dice agli altri che anche chi è solo non è destinato a una vita triste e non è destinato a essere fallito nella vocazione fondamentale di ciascuno, che è quella all’amore».

Diverse vocazioni

Un altro eremita racconta così il suo cammino:
«Ho preso in considerazione questo tipo di vocazione quando avevo trent’anni ma è passato molto tempo per il discernimento. Ho avuto una direzione spirituale, ho provato se questa poteva essere la vita a cui ero chiamata, ho pregato. Si tratta di un impegno serio che si può portare avanti solo se è davvero la propria vocazione. Non si sta in solitudine per forza di volontà, ma perché si è pieni di una Presenza».

Mentre un altro ancora:
«Il Signore chiama dove vuole. Forse prima era più radicato un certo sospetto, nato con il Concilio di Trento, nei confronti di queste figure che apparivano meno controllabili di altre. Nelle regioni più vicine a Roma può essere rimasta una eredità che ha reso un po’ più difficile riconoscere queste vocazioni. Ma è una realtà che fa sempre di più parte del passato. Eremite ed eremiti si possono trovare ovunque. Magari nel nostro stesso quartiere, accanto al nostro palazzo».

Adriana Zarri (1919-2010) – L’eremita teologa

Teologa, saggista, ha scritto su diverse riviste.
Ha spiegato molto bene il senso dell’essere eremiti.
“L’eremo non è un guscio di lumaca in cui ci si rinchiude, ma una scelta di vivere la fraternità nella solitudine. L’isolamento è un tagliarsi fuori dal mondo, mentre la solitudine è un modo profondo di abitarlo. Non è vuota, ma ricca di presenze, calda, percorsa da voci interiori: è la forma eremitica dell’incontro.

Molti si chiedono a cosa serva pregare così intensamente. La risposta è che, in senso pratico, la preghiera “non serve” a nulla, proprio come l’amore, l’arte o la bellezza. Si potrebbe vivere senza, così come si può mangiare senza mai sorridere, ma sarebbe un’esistenza povera, priva di profondità.

Diventare eremiti è una scelta radicale, un ritiro dal mondo per incontrare se stessi e offrire un aiuto invisibile all’umanità. È una vocazione universale, presente in tutte le religioni: dall’eremita indiano nelle grotte dell’Himalaya al monaco esicasta del Monte Athos. In Occidente, l’eremitaggio nasce prima di Costantino, con uomini che fuggono nel deserto per sfidare non solo leoni e serpenti, ma anche le tentazioni interiori.

Spesso, però, la solitudine dell’eremita attira discepoli e persone inquiete alla ricerca di un senso, trasformando l’eremo in comunità. È accaduto anche a Benedetto da Norcia, che, spinto dalla sua fama di santità, si trovò a guidare una comunità di novizi, passando dalla solitudine assoluta alla regola del “ora et labora” che diede vita ai primi monasteri.”

Anna Maria Pucci – L’eremita tra preghiera e semplicità

Anna Maria Pucci, un tempo maestra di scuola materna e oggi eremita in una cittadina toscana a pochi chilometri da Firenze:
«Il mio tempo è dedicato completamente alla preghiera e alla vita manuale. Ma la maggior parte delle ore le trascorro nella cappella dove faccio anche adorazione. Non lo trovo in contraddizione con la scelta che ho fatto e poi non faccio nulla di straordinario, la mia vita è molto semplice. È stato un cammino nel tempo piano piano mi sono resa conto che il Signore mi chiedeva di dedicarmi alla preghiera solo per lui. Il tempo è necessario perché bisogna avere certezza della volontà di Dio. Altrimenti diventa un discorso personale, quasi di buona volontà. E questo non basta. La nostra vita non sempre è capita, tanti si chiedono perché non facciamo attività apostolica e qual è il senso della nostra solitudine. È difficile comprendere che la mia scelta di essere eremita, ma all’interno di un centro abitato, significa poter avere un rapporto profondo con Dio e, nello stesso tempo, poter avvicinare le persone per comunicare questo spirito di preghiera».

Don Paolo Giannoni – Il cuore universale dell’eremita

Don Paolo Giannoni ha abitato per molti anni in romitaggio. Oblato camaldolese, fiorentino doc. Ex docente di teologia spirituale alla Facoltà teologica dell’Italia centrale e parroco.
«Per san Benedetto ogni ospite che bussa è Gesù che viene e quindi ha la precedenza su tutto. Non ho mai detto a nessuno: “aspetta”. Chi viene da un eremita, in realtà ha già scelto di mettersi alla ricerca dell’infinito…»

Don Mauro – L’eremita in totale isolamento

Don Mauro vive in completo isolamento, in una casa di tre stanze, accanto a una chiesetta del XIII secolo dedicata a Maria Mater Gratiae.
«Entrai a Camaldoli nell’85, ma quasi subito capii che quella non era la mia strada… Un eremita richiama la società al primato di Dio nell’esistenza, a cercare quell’incontro personale con il divino cui ognuno di noi è chiamato».

Don Giuseppe Forlai – L’eremita di Roma

Don Giuseppe Forlai è l’unico eremita a Roma. La vocazione a contatto con le detenute: “La libertà non dipende da un luogo”.
«Star soli è già morire, ma un morire bene; godere della solitudine è segno che si potrà uscire di scena con serenità».

Paolo Botti

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