Guardo la morte e vedo la bellezza che c’è oltre

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Léon Bonnat, Public domain, via Wikimedia Commons

«Memorare novissima tua, et in aeternum non peccabis». «Vita breve, morte certa, un’anima sola si ha, se si perde che sarà?». «Memento mori». Sono alcune delle massime che da quando ho avuto l’uso della ragione mi accompagnano giornalmente. Il pensiero della morte è ormai parte della mia vita. Non solo come meditazione quotidiana ma anche come modalità di vivere ogni cosa intensamente. Quando ancora vivevo in Italia, lassù nelle Dolomiti, le quattro stagioni mi facevano vibrare di commozione perché erano l’immagine della vita. Ricordo il fascino che aveva per me l’autunno soprattutto il mese dedicato ai defunti, novembre. Contemplare le foglie degli alberi, in particolare di faggi, roveri, o gli “aghi” dei larici era come immedesimarmi cercando di capire quanto oggi mi appare chiaro, grazie ai 65 anni che ho. L’imbrunire della vita è molto simile all’autunno con il suo carico di bellezza.

Giunto in missione e in un paese tropicale e subtropicale ciò che mi è mancato di più è stato l’avvicendamento delle stagioni. Verde, solo verde. Ogni tanto qualche albero che perde le foglie mi fa ricordare il cammino della vita. In particolare un albero chiamato la “sombrilla de playa” (ombrellone da spiaggia): nei mesi freddi le sue foglie assumono il colore dei tigli che caratterizzano i viali della mia piccola e bella cittadina, Feltre. Ormai anche i miei capelli sono diventati bianchi e pochi, per ricordarmi che il cammino che conduce all’eternità si fa sempre più corto. Per cui non posso permettermi di perdere tempo in chiacchiere, cioè dimenticare che ogni istante ha un valore infinito, come l’orizzonte della grande pianura paraguaya all’imbrunire.

Tornando dalla fattoria dove vivono un gruppo di giovani malati di Aids, mi sorprendo nel vedere la “puesta del sol” (il tramonto) con i suoi mille colori che rendono il cielo bellissimo. Come non ricordare ogni volta i versi del poeta Montale: «Sotto l’azzurro fitto del cielo qualche uccello di mare se ne va; né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto “più in là”». Ed è quel “più in là” che mi permette di tornare alla clinica dove mi aspettano i miei figli che sono in attesa della morte con una serenità nel volto infinitamente più bella dell’orizzonte all’alba o al tramonto.

In questi otto anni più di mille hanno raggiunto il paradiso. Spesso mi chiedono cos’è il paradiso e l’unica risposta che so dare è molto semplice perché nasce dal cuore. Il paradiso è l’esplodere del desiderio di infinito che incontrando l’oggetto del proprio desiderio si spalanca a un desiderio ancora più grande. Potremmo dire che è come passare da un desiderio infinito a una risposta infinita che genera sempre un desiderio ancora più grande di infinito e una risposta ancora più grande a questo desiderio. Se non fosse così sarebbe una noia senza fine. Solo oggi comprendo perché in certi ordini religiosi il saluto del mattino e della notte è “memento mori”! Non si tratta di masochismo ma di non perdere lo sguardo da ciò che vale, come ci ricorda un versetto dei salmi: «Signore, insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore».

Certi della vittoria finale
Fin da bambino, la Chiesa, i miei genitori, i nonni e poi nel seminario mi hanno educato a guardare la morte spaventandomi. Ricordo quando a 15 anni ho visto Il settimo sigillo di Bergman. Credo di aver avuto per giorni interi l’incubo di quella donna vestita di nero, con la faccia pallida e fredda che accetta la supplica del cavaliere di sfidarla a una partita a scacchi. La morte accetta e vince; al povero cavaliere non resterà che seguirla. Porto ancora nella mente quell’immagine impassibile e fredda. Un’immagine che oggi mi fa sorridere perché per i miei pazienti non è così. Non perché la battaglia sia facile, tutt’altro, ma perché si respira la certezza che la vittoria è Cristo. Quando alla domenica celebro la Messa, insieme alla consacrazione uno dei punti più belli è il versetto finale della professione di fede: «Credo nella resurrezione della carne, la vita eterna. Amen».

Guardo quei corpi martoriati che giacciono sui letti coperti con le lenzuola bianche, corpi spesse volte già con i segni della putrefazione e quello che un tempo mi riempiva di angoscia, oggi è un riconoscere che quella carne è stata il tempio dello Spirito Santo e che un giorno resusciterà. La ragione stessa di questa clinica è solo di testimoniare la bellezza piena di verità di quell’ultimo versetto del Credo che rare volte noi preti commentiamo e che la maggioranza delle persone che viene alla Messa recita in modo distratto. Eppure senza quella parte finale il Credo non avrebbe senso, anzi, sarebbe una burla. Per questo è commovente quanto afferma san Paolo rispetto alla resurrezione dai morti. La Chiesa, madre e maestra, ci ricorda tutti i giorni di pregare per i defunti, come ogni anno ci fa rivivere la bellezza liturgica del giorno dedicato a loro, il 2 novembre. Per questo fatto, diceva Eliot, il mondo odia la Chiesa, perché è l’unica realtà a ricordare all’uomo il suo destino finale. È l’esperienza che vivo anche rispetto alla clinica, perché il mondo non può accettare che possa esistere un luogo in cui il destino dell’uomo sia così evidente fino al punto che si può toccare con mano e vedere con gli occhi. Guardare in faccia la morte, significa per me e i miei amici vedere già la bellezza di ciò che c’è oltre la morte. Dio voglia che avvicinandosi la festa di tutti i defunti, possiamo recuperare la saggezza della giaculatoria posta all’inizio di questa mia meditazione.

Mi permetto anche di aggiungere la preghiera per una buona morte. Per me è la descrizione di quello che succede tutti i giorni nella nostra clinica. Questo luogo è di una umanità impressionante perché tanto i medici come il personale sono continuamente provocati a chiedersi il perché della vita e qual è il suo destino. Auguro a tutti di prendere sul serio ciò che diceva Pavese: «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi».

Preghiera per la buona morte

Gesù Signore, Dio di bontà, Padre di misericordia, io mi presento innanzi a te con cuore umiliato e contrito; ti raccomando la mia ultima ora e ciò che dopo di essa mi attende. Ti offro, o Signore, tutte le circostanze, anche le più dolorose, che accompagneranno il mio passaggio all’eternità in riparazione dei miei peccati e per meglio meritare di vedere te, bontà infinita.

Quando le mie mani, o Gesù, non potranno più stringerti Crocifisso, e ti lascerò cadere sul letto del mio dolore. Misericordioso Gesù, abbi pietà di me.

Quando i miei occhi offuscati dalla morte imminente, fisseranno in te lo sguardo moribondo. Misericordioso Gesù, abbi pietà di me.

Quando le mie labbra, fredde e tremanti, pronunzieranno per l’ultima volta il tuo nome adorabile. Misericordioso Gesù, abbi pietà di me.

Quando le mie orecchie, presso a chiudersi ai discorsi degli uomini, s’apriranno per udire la tua voce, che pronuncerà l’irrevocabile sentenza e fisserà la mia sorte per tutta l’eternità. Misericordioso Gesù, abbi pietà di me.

Quando la mia mente sarà immersa in mortali tristezze e il mio spirito sarà turbato dal timore della tua giustizia, intendo, Gesù, invocare Maria Immacolata, tua e mia Madre, perché mi ottenga la grazia di confidare nella tua clemenza. Misericordioso Gesù, abbi pietà di me.

Quando verserò le mie ultime lacrime, ricevile o Gesù, in sacrificio della mia espiazione, affinché io spiri come una vittima di penitenza e di amore. Misericordioso Gesù, abbi pietà di me.

Quando gli ultimi sospiri del cuore forzeranno l’anima mia a uscire dal corpo, accettali come atti di una santa impazienza di venire a te. Misericordioso Gesù, abbi pietà di me.

Quando l’anima mia uscirà per sempre da questo mondo e lascerà il mio corpo freddo e senza vita, accettalo come omaggio alla tua divina maestà, perché è stato tempio dello Spirito Santo. Misericordioso Gesù, abbi pietà di me.

Quando finalmente l’anima mia comparirà innanzi a te e vedrà per la prima volta lo splendore immortale della tua divina Maestà, non la rigettare da te, ma degnati di riceverla nel seno amoroso della tua misericordia, affinché canti eternamente le tue lodi. Misericordioso Gesù, abbi pietà di me.

Aldo Trento –  2013 – Tempi

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Articolo tratto da www.tempi.it
per gentile concessione della redazione (7-7-2023).

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