I frequenti favori del Signore (dal Diario di Elisabetta Canori Mora)

Elisabetta Canori Mora
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2.1. La prima visione

Questi consigli maligni mi avrebbero sicuramente vinta, se la pietosa Madre sempre Vergine con grazia speciale non avesse fortificato il mio cuore. Sentite come.

La mattina del 7 settembre 1803, vigilia della Natività di Maria santissima, fui sorpresa da leggero sonno, mi apparve un personaggio molto rispettabile, con autorevole comando mi obbliga ad andare con lui. Vado, e questo si conduce sopra un alto loggiato, vedo apparire nobile e leggiadra signora, ammantata di candide vesti, maestoso era il suo portamento, teneva nelle sue mani bella e risplendente colomba, questa spiegava le nobili sue ali e si sollevava fino all’altezza dei cieli.

Nel veder tanto splendore e tanta luce, fissai lo sguardo verso quella risplendente colomba, e con sommo mio stupore, osservo che sotto le ali vi erano impressi i chiodi che crocifissero il mio Signore, e questi li vedevo di colore sanguigno, ma risplendenti al pari del sole. Questa nobilissima colomba tramandava dardi di fuoco; allo sfolgoreggiare di questo sacro fuoco fui sorpresa da sommo timore, mi apparve un brutto mostro e mi disse: «Fuggi, fuggi».

2.2. Un dardo di fuoco

Ero già risoluta di dare mente al tentatore, quando il pietoso condottiere mi impose di restare; ecco che quella divina colomba mi invia prezioso dardo, di sacro fuoco restò colpito il mio cuore intimamente. Il prezioso colpo mi cagionò deliquio mortale; tornata che fui, mi trovai tutt’altro di quella di prima, mi intesi trasmutare in un’altra; tutto fervore, tutta carità, sentivo nel mio cuore gli effetti mirabili di quel dardo amoroso, qual vampa di sacro fuoco incendiava il mio spirito, e mi rendeva quasi pazza; di amore accesa andavo esclamando: «Hai vinto, hai vinto pure una volta, o santo amore! hai vinto la durezza del mio ostinato cuore, o sacro dardo di amore, trapassa viepiù il mio cuore!».

Non posso spiegare quali e quanti fossero i mirabili effetti che producesse questa grazia di essere stata ferita dal dardo amoroso, particolarmente nelle orazioni. Non avevo terminato l’orazione preparatoria, che lo Spirito del Signore mi rapiva con tanta forza, che il mio corpo come morto restava disteso sul suolo. La frequenza di questi ratti, la violenza che faceva lo spirito al corpo, che cercava di slanciarsi avidamente verso il suo Dio, cagionò un moto irregolare nel mio cuore, molto sensibile, che scuoteva la sedia in cui sedevo, il letto in cui riposavo. Stavo molto avvertita di non avvicinarmi ad alcuno, mentre più volte mi domandavano cosa fosse quel moto così violento che si sentiva nel mio cuore.

Per quanto cautelata stessi, non passò molto tempo che i miei parenti si avvidero del palpito violento del mio cuore, questi supponendo un male naturale, vollero sentire il parere dei medici. Mi fu da questi ordinato il levarmi del sangue, ma non furono giovevoli due buone sanguigne, mentre il palpito veniva viepiù crescendo, per i frequenti favori che ricevevo dal mio Signore, tanto nelle orazioni, quanto nella santa Comunione. Finalmente, per liberarmi da questa vessazione dei medici e dei parenti, che pretendevano di curare gli effetti, mentre si rendeva impossibile curare la causa, che a me solo era nota, si raccomandai caldamente alla mia benefattrice Maria santissima, acciò degnata si fosse di liberarmi da quel palpito tanto sensibile. Questa divina Madre mi esaudì, solo nelle orazioni e Comunioni, a seconda dei favori e delle grazie di Dio, più o meno era violento il palpito del cuore. Quanto fossero frequenti le comunicazioni di Dio con la povera anima mia, non è possibile numerarle, ne riferirò qualcuna in particolare alla maggior gloria del mio Signore Gesù Cristo.

2.3. La comunione quotidiana

Correva l’anno 1803, il mese di dicembre, quando cresceva ogni giorno più nel cuore della povera Giovanna Felice il fervore di piacere al Signore, e per conseguenza, desiderosa di perfezionare il mio spirito, il mezzo più efficace conoscevo per esperienza essere la frequente Comunione. Desideravo ardentemente di riceverla quotidianamente, ma non avevo coraggio di manifestarlo al mio confessore. Mi pareva troppo ardire, come ancora tenevo celato al suddetto quanto passava nel mio spirito, per mancanza di coraggio. Ricorsi dunque alla mia benignissima Madre Maria santissima, con orazioni, con lacrime, con mortificazioni, con promesse grandi, mentre qualunque sacrificio, benché gravoso, mi pareva lieve in confronto del desiderio, dell’ardore, della brama che sentivo di ricevere questo divin sacramento.

Non passò molto tempo che fui esaudita. La vigilia della santissima concezione di Maria santissima il dì 7 dicembre 1803 fui sorpresa da leggero sonno; nuovamente mi apparve il mio carissimo condottiero, con il suo maestoso portamento mi obbligò ad andare con lui. Riverentemente mi prostrai ai suoi piedi, lo ringraziai per avermi, con la sua valevole intercessione, ottenuto la remissione dei miei gravissimi peccati.

Mi condusse dunque in un sacro tempio, dove vidi nel mezzo un altare magnifico, riccamente adornato e illuminato, vidi nel suddetto tempio nobilissima processione, era questa formata da molti religiosi, vestiti di lana bianca, con cotte e stole, con torce accese nelle loro mani. Era questa nobilissima processione preceduta da personaggio molto insigne, nobile era suo portamento, molto ricchi erano i suoi vestimenti, per sovrano guerriero lo ravvisavo, era scortato da molti nobili altri guerrieri a lui inferiori. Restai ammirata di tanta magnificenza, domandai al mio condottiero chi fosse quel nobile guerriero, mi disse che quello era il glorioso san Michele Arcangelo.

Ecco dunque che in bell’ordine disposta era la processione, in fine di questa vi erano le persone più degne di questo sacro Ordine, vestiti con i paramenti sacri. Infine di questa vedevo la gran Madre di Dio, nobilmente vestita, portava nelle sue braccia il suo santissimo Figliolo con molta reverenza. Qual tenerezza, qual sottomissione provò il mio povero cuore, quante lacrime versarono i miei occhi, di amore, di tenerezza! caldamente mi raccomandai a questa divina Signora ad ottenermi la grazia di ricevere quotidianamente Gesù sacramentato. Mi diede segno di avere esaudito le mie preghiere.

2.4. Non castigate la vostra Chiesa!

Prima di collocarlo sopra l’altare si cambiarono scambievolmente le belle corone, che tenevano sopra il loro capo; quella di Gesù se la mise Maria, e quella di Maria se la mise Gesù. Collocato dunque che lo ebbe sopra l’altare, si prostrò riverente ai suoi piedi, raccomandò tutto il mondo, particolarmente Roma, il clero regolare e secolare, il sommo Pontefice; così pregò questa divina Signora: «Sospendete, o mio diletto figlio, il rigore della vostra divina giustizia; vi piaccia di non castigare la vostra Chiesa con disperdere tanti vostri ministri. ricordatevi che vi sono Madre, degnatevi di esaudirmi».

Il divino fanciulletto non volle esaudire le sue preghiere, alzò la sua onnipotente voce, così parlò: «La mia giustizia più non vuole sostenere tante abominazioni: siete mia Madre e mia creatura ancora».

A queste parole si prostrano tutti quei buoni religiosi con la fronte a terra, adorando i divini decreti di un Dio giustamente sdegnato contro di noi. Fummo tutti sorpresi da sommo timore, mentre chiaramente si conobbe il castigo che era per mandare sopra di noi e sopra la sua Chiesa.

I superiori, ovvero i fondatori di questo sacro Ordine offrirono l’incenso delle loro buone opere, unito al culto che gli rendeva tutto questo sacro Ordine. Allora il divino fanciulletto alzò la sua onnipotente mano, e benedì con particolare benedizione non solo i buoni religiosi, ma tutti quelli che appartenevano e che erano per appartenere a questo sacro Ordine, mi pare di poter dire che tutti quelli che si trovavano in quel vasto tempio, tutti appartenessero a questo sacro Ordine. Anche io fui benedetta particolarmente e fui ammessa nel numero di questi, mentre mi trovavo vicino al sacro altare, per speciale grazia di Maria Santissima, potei godere la vicinanza di quegli insigni personaggi; che erano capi di questa religione; che io non conoscevo, mentre vestiti con i paramenti sacri, come dissi di sopra.

Approssimata che si fu, unitamente a tutta la processione, al magnifico altare, collocò sopra di questo il suo santissimo Figliolo. La grazia mi ottenne.

Correva l’anno 1803, la vigilia del Santo Natale, quando il mio confessore per particolare impulso di Dio fu obbligato a darmi la santa Comunione quotidianamente. Quali e quanti fossero i buoni effetti che produceva in me questo divino Sacramento è veramente impossibile poterlo ridire, pure qualche cosa dirò, per obbedire a vostra paternità reverendissima, che così mi comanda.

2.5. Da timida pecorella a forte leone contro il demonio

Correva l’anno 1804, quando il mio Dio mi fece vedere da quale pericolo mi aveva salvato per mezzo della sua infinita misericordia, mi fece vedere in quale stato si era ridotta la povera anima mia per i miei peccati. Mi vidi dunque in una caverna profondissima, afferrata da forti e orrendi giganti, che erano sul momento di uccidermi, mentre mi trovavo distesa sul suolo e questi forti giganti avevano posto il loro forte ginocchio sopra il mio petto, impugnato avevano un tagliente ferro, lo avevano appuntato alla mia gola, erano sul momento di uccidermi. In questo pericolo così eminente, invocai il mio Dio, acciò mi salvasse la vita. Immediatamente vedo apparire una luce chiarissima, all’apparire di questa si misero in fuga i forti giganti. La misera situazione in cui ero non mi permetteva di potermi da me alzare. Proseguo dunque a raccomandarmi al Signore, quando vedo apparire, in mezzo a quella luce forte braccio, nobile mano che mi trasse fuori dal mortale pericolo. Stavo rendendo infinite grazie al mio Dio, e immersa nel pianto, per avere veduto in quale stato mi avevano ridotto i miei peccati, quando sonora voce così mi parla: «Eri già esangue quando ebbi compassione di te. Se la mia misericordia non fosse stata tanto liberale, cosa sarebbe di te?». A queste parole fui sopraffatta da sommo timore.

Non tardò il demonio con le sue insidie di desuadermi dall’intrapreso metodo di vita, mentre ad altro attendevo che alla santa orazione, alla pratica delle sante virtù, particolarmente alla mortificazione dei sentimenti, ero molto diligente di mortificare gli occhi, e la gola procuravo di mai soddisfare; quando questo forte nemico mi fece intendere, per mezzo di vive suggestioni, che avessi pure dimesso il pensiero di attendere alla vita spirituale, mentre sarebbero tali e tante le forti tentazioni; persecuzioni e insidie che lui avrebbe ordito contro di me, che vittima sarei restata della sua forza. Le insidie di costui mi rendevano molta pena; perché scioccamente mi dava a credere di non poter resistere alle forti battaglie di questo orgoglioso nemico.

Una mattina, dopo ricevuta la santa Comunione, con santa semplicità raccontai tutto a Gesù Cristo, e piangendo gli dicevo: «Gesù mio, sicuramente resterò vinta, Gesù mio, pensateci voi». In questo tempo fu sopito il mio spirito, e il mio caro Gesù mi si diede a vedere sotto forma di pastorello. La povera anima mia la vedevo in forma di pecorella, questo divino pastorello mi chiamava a sé, dopo avermi accarezzato, pose sopra la mia fronte prezioso segno, e mi fece intendere che, per parte di questo segnale, nessuno dei miei nemici mi avrebbe potuto prevalere

Incominciai in quel momento a sperimentare i buoni effetti, intesi in quel momento somministrare al mio spirito forza sufficiente per vincere i miei forti nemici, sicché da timida pecorella passai a possedere la forza di forte leone, armata di fede, di speranza e di carità in quello che tutto regge e governa, io stessa sfidai i miei orgogliosi nemici.

2.6. Cambia confessore

Correva l’anno 1804, mese di settembre, quando fui obbligata, con somma mia pena, di dare ascolto a particolare ispirazione, che mi obbligò a mutar confessore, nonostante la pena di entrambi. Per obbedire al mio Dio, che così mi comandava, mi portai dunque ad un altro sacerdote, che trovai in confessionale, senza che sapessi chi fosse; ma, come piacque al Signore, trovai un uomo di molta esperienza.

Questo ministro di Dio, esaminato che ebbe il mio spirito, si avvide del lavoro della grazia di Dio, sebbene non gli manifestai niente di quanto passava nel mio spirito, nel tempo delle orazioni e Comunioni; prese dunque a coltivare la povera anima mia, qual giardino prediletto di Gesù Cristo.

Nel sentire la mia giovanile età di anni ventinove, che non soffrivo la minima molestia della carne, mentre erano passati tre anni che il mio consorte più non mi ricercava, ne tampoco io ricercassi di lui, ma tutta intenta a deliziarmi con il mio Signore Gesù Cristo crocifisso, dove trovavo ogni mio sollievo e consolazione, questo buon ministro del Signore volle sapere qual fosse il motivo della dimenticanza del suddetto; quando intese che era per l’amicizia che aveva contratto con altra donna, procurò di impedire questa amicizia con farne intesi i superiori; ma tutto indarno. Obbligò a me di richiedere; allora gli dovetti dire che infatti era di cattivo male, conoscendo chiaramente che il suddetto non aveva più alcun diritto sopra di me, ma che il Signore mi voleva tutta per lui. Conoscendo la buona disposizione che il Signore aveva dato al mio intelletto, mi obbligò a lasciare le orazioni vocali, che solevo recitare quotidianamente, ma che tutto il tempo che avevo, dopo avere adempito il mio dovere, lo avessi impiegato nella santa orazione mentale, la sola recita del Rosario, e questo ancora voleva, che trattenuto avessi il mio intelletto a meditare per mezzo quarto d’ora circa i misteri del suddetto.

Fu molto facile alla povera Giovanna Felice obbedire al suo confessore, mentre le mie povere orazioni venivano prevenute dalla grazia del Signore. Nella recita del santo Rosario non solo mi trattenevo un mezzo quarto d’ora, ma eziandio mi passavano le ore intere, quando mi avvedevo che stavo ancora alla prima posta del Rosario, tanto era la penetrazione del mio intelletto, che si profondava a meditare i misteri del suddetto Rosario. Una volta tra le altre, nel meditare i misteri dolorosi, fui trasportata dallo Spirito del Signore nell’orto del Getsemani, dove mi si diede a vedere il buon Gesù agonizzante. Si degnò in questo luogo di darmi molti ammaestramenti. I buoni effetti che produsse questa visione li lascio immaginare a vostra paternità degnissima, per non dilungarmi di più.

2.7. Persecuzioni e angustie per la condotta del marito

Varie affiliazioni, persecuzioni e angustie che passò la povera Giovanna Felice nel 1804.

Per la cattiva condotta del consorte, che aveva sprecato tutta la metà del suo patrimonio, dovetti lasciare il piccolo appartamento che abitavo, e ritirarmi in quello del mio suocero, soffrire di vedere venduto parte del mobilio di questo, per riparare in qualche parte ai molti debiti che aveva formato, come ancora dovessi spogliarmi di varie gioie che avevo, consistenti in diversi anelli, pendenti, vezzo di perle, orologi, ma tutto per amore di Gesù mi riuscì facile.

Dovetti dunque lasciare libero il mio appartamento e abitare una camera dell’appartamento di mio suocero, e convivere con suocera, cognate, zie ed altri, che formavano il numero di nove o dieci persone. Mi fu assegnata da questi una camera che aveva tre comunicazioni, sicché si rendeva comune a tutti, e per esservi persone di diverso sesso, molta era la soggezione, la pena, l’incomodo.

Avevo due figlie: una di anni tre, l’altra di anni cinque; molto dovetti soffrire per queste, mentre una delle due cognate aveva preso tanto sopravvento sopra le suddette, che io non avevo più padronanza alcuna, ciò per mantenere la pace e per le necessità che avevo di essere mantenuta dal suocero, giacché il consorte non pensava più né a me né alle figlie, mi conveniva soffrire di vedere strapazzare le figlie, non solo con parole, ma alle volte con percosse irragionevoli. Sentivo al vivo la pena, ma tutto mi pareva poco, in paragone di quello che meritavano i miei peccati, tutto offrivo in sconto di questi. Permise ancora il Signore che questa buona cognata mi perseguitasse in varie maniere.

L’altra ragione del mio patire fu per vedermi priva di un luogo libero, per potermi con libertà trattenere in orazioni, in questa angusta situazione, domandai in grazia alla mia suocera di potermi ritirare per fare le mie orazioni in un piccolo ripiano di scala, che conduceva al pianterreno e alle cantine. Scelsi questo luogo perché era segregato dall’appartamento, per avere libertà di potermi trattenere con il mio Dio, senza che alcuno si fosse avveduto di quanto seguiva, mentre il più delle volte ero sorpresa dallo Spirito del Signore, che violentemente mi rapiva, e non era in mio potere resistere alla sua forza, sicché ora mi trovavo distesa sul suolo, ora dalla violenza il mio corpo balzava senza ritegno, ora mi trovavo con le mani distese al Cielo, e il mio corpo lo sentivo leggero al pari di una paglia, mi scuotevo come intimorita, alle volte la forza dello spirito faceva prova di tirarsi dietro anche il corpo, quando mi avvedevo di questo cagionava in me sommo timore.

Per pura misericordia di Dio godevo molta libertà, mentre quando avevo mandato alla scuola le piccole figlie, dopo averle istruite nelle cose appartenenti alla dottrina cristiana, dopo varie orazioni, che quotidianamente le facevo recitare, restavo in santa libertà. Per lo spazio di circa sette anni spendevo sei ore in orazioni, e queste divise in quattro tempi: la mattina, subito levata, mi ritiravo al mio caposcala, mi trattenevo in orazione per un’ora circa, dopo mandavo a scuola le ragazze, come dissi di sopra, e mi portavo alla chiesa, mi trattenevo un’ora e mezzo o due. Il giorno dopo pranzo altre due ore, la sera dopo che avevo custodito le figlie, tornavo all’orazione, e mi trattenevo altre due ore, sicché sei ore o sette mi trattenevo in orazione, senza mai tediarmi, ma sempre più avida di più orare.

Non avevo altra azienda in casa che di cantiniere e gallinara, ero molto attenta al mio dovere, del resto andavo a tavola apparecchiata, come suol dirsi, senza alcun pensiero.

Non andò molto in lungo che una vecchia zia, che doveva trapassare la mia camera, non si avvedesse che io mi levavo prima di lei, mentre ella era molto sollecita a levarsi, questa cosa molto mi dispiacque, me ne lamentai con il Signore nelle mie povere orazioni.

2.8. Sono Gesù Nazareno

Il Signore mi fece intendere che due erano le ragioni per cui aveva permesso che mi venisse destinata quella pubblica camera: primo per esercizio di pazienza, secondo per dare buon esempio a questa famiglia.

Intanto mi diede a vedere una strada stretta, ripidissima, per la quale voleva che io camminassi, dalla parte sinistra di questa vi era uno sprofondo rovinosissimo, che faceva terrore il solo mirarlo. Conobbi la gran difficoltà che vi era di reggermi per questa stretta strada senza rovinare in quel precipizio. Mi rivolsi al mio Signore, piangendo dirottamente: «È impossibile, Gesù mio, è impossibile che io possa camminare questa strada senza precipitare».

Allora mi apparve Gesù Cristo, e mi fece vedere come questa strada, tanto difficile non mi sarebbe, mentre lui avrebbe sempre scortato la povera anima mia, acciò sicura fosse di non rovinare in quel profondo. Mi fece vedere come questa strada mi avrebbe sicuramente con il suo aiuto condotto al cielo, mi fece ancora intendere con quanta facilità si può deviare dal retto sentiero: mi fece osservare come certe tortuose strade, che vedevo unite a quella dritta strada, conducevano altronde che al cielo, mi fece intendere che poco ci vuole per deviare dal retto sentiero.

Conosciute che ebbi queste cose, mi raccomandai al mio caro Gesù, acciò volesse aiutarmi. Mi pongo dunque a camminare, scortata da Gesù Cristo medesimo. Molto facile trovai il camminare per questa, ma quando mi fece intendere che non sempre voleva accompagnarmi nella medesima maniera, ma che si sarebbe nascosto, per vedere come mi fossi portata, così mi disse e disparve.

Tornata in me stessa e mi trovai tutta smarrita: «Mio Dio», dicevo, «è vero oppure sogno quanto ho veduto? Mio Dio, e come crederò che quel nobile giovanetto, tanto amabile, che ha destato nel mio cuore tanta purità, tanta devozione, sia Gesù Cristo?».

Stavo perplessa se credere lo dovessi, quando dallo Spirito del Signore nuovamente là fui condotta, e mi si diede a vedere il mio caro Gesù, e così mi parlò: «Figlia, che non mi conosci? sono Gesù Nazareno». E per accertarmi del vero, mi mostrò le sue cicatrici, mi fece coraggio a camminare, mi disse ancora che avessi invocato il suo nome in tutti i miei bisogni, che avrei sperimentato il suo particolare aiuto. I buoni effetti che produsse nel mio cuore furono molto copiosi, senza dilungarmi di più, lascio a vostra paternità immaginarlo.

Elisabetta Canori Mora

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Una grave malattia e la comunione tutte le settimane (dal Diario di Elisabetta Canori Mora)

Elisabetta Canori Mora

Mi fece riposare sopra il suo petto (dal Diario di Elisabetta Canori Mori)